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IL VIAGGIO APOSTOLICO DI BERGOGLIO IN CANADA 1º GIORNO

Il racconto della prima giornata del Papa

Il Papa in Canada, gli incontri con gli indigeni in un viaggio di riconciliazione

Popoli indigeni del Canada, un caleidoscopio di lingue e culture

Le comunità aborigene che abitano da migliaia di anni il territorio canadese compongono una varietà di popolazioni, con usi e costumi diversi. Il viaggio apostolico di Papa Francesco, che si svolge nel Paese nordamericano fino al 30 luglio, è scandito oggi dall’incontro con questi popoli

Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano

First Nations, Inuit e Métis. Sono queste le popolazioni che Papa Francesco incontra a Edmonton, nella giornata del 25 luglio, durante il 37.mo viaggio apostolico. Un “pellegrinaggio penitenziale”, come ha detto il Santo Padre all’Angelus dello scorso 17 luglio, “per contribuire al cammino di guarigione e riconciliazione intrapreso già”

La storia delle popolazioni aborigene di questo Paese è segnata da profonde ferite. Riferendosi alle delegazioni dei popoli indigeni del Canada il Pontefice lo scorso primo aprile aveva detto: “Provo vergogna, dolore e vergogna, per il ruolo che diversi cattolici, in particolare con responsabilità educative, hanno avuto in tutto quello che vi ha ferito, negli abusi e nella mancanza di rispetto verso la vostra identità, la vostra cultura e persino i vostri valori spirituali. Tutto ciò è contrario al Vangelo di Gesù. Per la deplorevole condotta di quei membri della Chiesa cattolica chiedo perdono a Dio e vorrei dirvi, di tutto cuore: sono molto addolorato”. Più di 1,67 milioni di persone in Canada (4,9% della popolazione canadese) appartengono alle popolazioni indigene. Nell’ampio panorama di questi gruppi si riscontra una grande varietà di popoli. 

First Nations

Il termine “First Nations” è utilizzato per indicare le popolazioni indigene del Canada che non sono Métis o Inuit. Erano presenti sul territorio prima dell’arrivo degli europei. In base al Censimento del Canada, nel 2016 c’erano 820.120 Indiani registrati, il 49% della popolazione indigena. Secondo il Registro indiano, che è un elenco amministrativo di tutti gli indiani registrati gestito dagli Indigenous Services Canada, nel 2016 c’erano 970.562 indiani registrati e, al 30 dicembre 2019, 1.008.955. Sono 634 le comunità First nation in Canada, che rappresentano più di 50 nazioni e 50 lingue indigene. Sono concentrate in Ontario e nella regione della Columbia Britannica e sono presenti in tutte le province canadesi. Sempre in base al Censimento del Canada del 2016, circa il 40% vive in una riserva, il 45% vive in aree urbane, il 14% vive in aree rurali (fuori dalla riserva). Un rapporto del 2019 curato dall’Assemblea delle First Nations e dal “Canadian Centre for Policy Alternatives” indica che il 47% degli oltre 254 mila bambini delle First Nations in Canada vive in povertà. La promozione delle aspirazioni collettive degli individui e delle comunità di questa popolazione indigena su questioni di interesse nazionale o internazionale è affidata all’Assemblea delle First Nations.

Copricapo di una persona appartenente alla popolazione indigena “First Nations”
Inuit

Gli Inuit sono una popolazione indigena che abita soprattutto le regioni settentrionali del Canada. I gruppi Sivullirmiut e i Thule più di 8.500 anni fa hanno fornito le basi da cui si è sviluppata la cultura Inuit. Nel 2016, secondo “Statistics Canada”, la popolazione Inuit era composta da oltre 64 mila persone. Rappresentano il 4% della popolazione indigena totale del Canada. Gli Inuit definiscono la loro patria con il termine Nunangat, parola che si riferisce alla terra, all’acqua e al ghiaccio. La maggior parte degli Inuit vive in 51 comunità sparse nella regione dell’Inuit Nunangat, una arra che comprende circa il 35% della superficie del Canada e il 50% della sua costa. L’Inuit Tapiriit Kanatami, in precedenza Inuit Tapirisat of Canada, è una organizzazione fondata in occasione di un incontro a Toronto nel febbraio 1971 da sette leader di comunità Inuit. L’impulso a formare questo organismo è scaturito dalla preoccupazione condivisa dai leader Inuit sulla situazione delle terre e delle risorse nell’Inuit Nunangat.

Due donne e un bambino della popolazione Inuit. (Ansgar Walk, CC BY-SA 3.0 , via Wikimedia Commons)
Métis

Il termine Métis è usato per descrivere comunità di origine mista europea e indigena. Tali comunità sono presenti in tutto il Canada, in particolare nelle regioni delle pianure, nella parte occidentale . I primi Métis erano figli di donne indigene e di commercianti di pellicce europei nella zona in cui oggi si trova la provincia di Manitoba. In base al censimento del 2016, le persone appartenenti a questa popolazione, sono più di 537.000 in Canada. I diritti dei popoli aborigeni sono stati riconosciuti nella legge 35 della Costituzione del 1982 con l’esplicito riconoscimento dei Métis come uno dei tre distinti popoli aborigeni in Canada. Dal 1983 l’organizzazione Métis National Council rappresenta questa popolazione a livello nazionale e internazionale. Il suo obiettivo è quello di garantire i diritti. Nel 2022 l’Assemblea generale Métis National Council ha adottato questa definizione: “Métis indica una persona che si auto-identifica come Métis, che si distingue dagli altri popoli aborigeni, che è di ascendenza storica della Nazione Métis”. La lingua parlata da una parte della popolazione Métis è il Michif, derivata dalla lingua cree e dal francese.

Canada, il Nunzio: Francesco viene per portare consolazione

Monsignor Ivan Jurkovič da Ottawa illustra il significato del “pellegrinaggio penitenziale” del Papa che oggi entra nel vivo con i primi appuntamenti a Edmonton e a Maskwacis. “Il Papa è consapevole delle molte ingiustizie subite dai popoli indigeni: sarà un percorso lungo ma la Chiesa vuole essere parte della soluzione”

Antonella Palermo – Città del Vaticano

Il 37.mo viaggio apostolico di Papa Francesco, all’insegna del motto Camminiamo insieme, è un segno molto atteso deciso per contribuire al cammino di guarigione e riconciliazione intrapreso con le comunità native, gravemente danneggiate, in passato e in diversi modi, da politiche di assimilazione culturale in cui sono stati coinvolti molti cristiani e anche membri di istituti religiosi. Una visita incentrata sul percorso di dialogo, ascolto, solidarietà con le popolazioni autoctone canadesi che il Pontefice ha intrapreso la scorsa primavera: ora si tratta di “andare avanti” come afferma il nunzio apostolico nel Paese nord-americano, monsignor Ivan Jurkovič:

Francesco è in Canada per quello che lui stesso ha definito “un pellegrinaggio penitenziale”. Qual è il significato di questo viaggio?

Da quando sono stato nominato nunzio, nel 2021, ho potuto vivere immerso nell’atmosfera particolare che si è creata nella società canadese con atteggiamenti molto critici nei confronti della Chiesa per il suo passato. Intendiamoci, la Chiesa ha fatto moltissime cose buone, ma qui parliamo dei coinvolgimenti sulla preservazione dell’identità culturale degli indigeni.
Anche se i Papi e i vescovi hanno parlato più volte, spiegando e anche chiedendo scusa, c’era bisogno di affrontare in modo diverso il problema. La Conferenza episcopale, negli ultimi tre anni ha progettato un percorso più complesso che contemplava, come primo obiettivo, l’incontro personale del Santo Padre con quattro delegazioni.

Si è trattato di incontri molto importanti avvenuti tra fine marzo e inizio di aprile, che hanno aperto la porta a questo gesto straordinariamente generoso del Santo Padre di venire qui di persona, e presentare a testimoniare in prima persona l’atteggiamento della Chiesa. Il Canada è un Paese enorme. Un territorio immenso con una differenziazione culturale molto accentuata specialmente tra francofoni e anglofoni. Negli ultimi 20-30 anni c’è stato un massiccio fenomeno di migrazioni. Il Papa arriva dunque in questo contesto, arriva con la sua sensibilità che è universale.
Le attese sono davvero grandi.

E lei con quale partecipazione emotiva lo sta preparando?

È un viaggio certamente atipico, che comporta tantissime responsabilità. Avrà anche la parte celebrativa, quella gioiosa che sempre contraddistingue ogni preghiera, specialmente se guidata dal Santo Padre. Dall’altra parte, si vede questa grande responsabilità di fronte all’opinione pubblica che a volte si è basata su presupposti non sempre presentati nella loro complessità. È vero che si è creata un’atmosfera molto pesante nei confronti della Chiesa, anche a motivo di alcune semplificazioni mediatiche, ma del resto è una vera responsabilità che si è accumulata nella storia. C’è la grandissima gioia di avere il Santo Padre che, nonostante tutto, affronta un viaggio complicato anche dal punto di vista fisico, ma allo stesso tempo c’è trepidazione perché si spera che questo viaggio possa portare una consolazione alle popolazioni che hanno sofferto, e anche un chiarimento, un atteggiamento della Chiesa più sereno. Una Chiesa che continuerà a lavorare per la promozione anche dei popoli indigeni e che non sia dissociata da una enorme responsabilità sociale più globale.
La Chiesa infatti è solo una piccola parte di ciò che è successo. Ci sono altre responsabilità, e la Chiesa non si può dissociare specialmente da quelle del governo. Sono fiducioso: anche i media mi sembra che adesso percepiscano questo potenziale che potrà avere la visita del Santo Padre.

Il Papa ha già chiesto perdono quando ha ricevuto in Vaticano i rappresentanti di alcune comunità indigene. Con questo viaggio compie un passo un più…

Io penso che sia il massimo che si può fare: il Papa con la sua personale testimonianza, con le sue parole, mostrerà la sua vicinanza alle popolazioni indigene. Con una convinzione coerente, una sensibilità umana profonda e un atteggiamento di umiltà si è mostrato consapevole delle molte ingiustizie subite dagli indigeni. Andiamo verso il futuro con un ottimismo rinnovato e una nuova visione: non vogliamo dissociarci da un problema che è reale, vogliamo essere parte della soluzione. L’unico che può aiutarci in questo è il Santo Padre.

Cosa può dirci degli incontri preparatori che finora lei ha avuto con i rappresentanti delle comunità indigene?

Ho avuto incontri a vari livelli. Ci sono accuse verso la Chiesa per aver partecipato a un progetto del governo che mirava alla quasi eliminazione della identità indigena per creare una nuova società canadese. C’è stato certamente un danno terribile, ma c’è anche da dire che la Chiesa ha avuto grande generosità, ci sono stati fattori anche positivi. La Chiesa e la sua Dottrina sociale sanno guardare al passato in maniera critica.

Ci ho messo molto tempo per capire veramente di che cosa si trattava.
Si è trattato davvero di una cosa grave e che non riguarda solo il Canada e la questione non può essere risolta dall’oggi al domani.
Ci sono altri continenti dove si dovranno fare i passi necessari per superare le ingiustizie del passato.

Quindi sarà un viaggio che interpellerà l’agire della Chiesa nel mondo soprattutto in relazione al concetto di inculturazione. Quali frutti ritiene ci saranno per la Chiesa in Canada e nel mondo?

Se si guarda al mondo intero, 500 anni della storia sono stati caratterizzati da profonde ingiustizie: le modalità della conquista da parte degli europei e poi il ritardo nel riconoscere a tutte le culture una propria identità e di rispettarle come sono, e di annunciare a queste culture il Vangelo non come qualcosa di preparato in maniera uguale, invece di comprendere il loro sentimento religioso.
È un lungo percorso, la società cambia. Per la Chiesa è un impegno enorme.

La componente ucraina è consistente in Canada. La guerra è l’altra preoccupazione che attraversa costantemente i pensieri del Papa…

La questione dell’Ucraina è molto sentita perché c’è una notevole presenza di ucraini venuti nel corso degli ultimi cent’anni.

Il Canada guarda con particolare attenzione al Santo Padre e alla sua sensibilità di fronte a questa tragedia in Europa.
Il Papa dunque viene anche come portatore di una pace più universale, non solo per una riconciliazione nazionale.
Una preoccupazione per la pace nel mondo così drammaticamente messa in pericolo.

Il Papa in Canada, gli incontri con gli indigeni in un viaggio di riconciliazione
Francesco è ad Edmonton.
L’areo papale, con i giornalisti al seguito, è atterrato ieri all’aeroporto internazionale della capitale dello Stato dell’Alberta, prima tappa di questo 37° viaggio apostolico in Canada.
Oggi due eventi all’insegna del riconoscimento dei dolori inflitti dalla colonizzazione ai popoli indigeni

Giancarlo La Vella – Edmonton (Canada)

È subito entrato nel vivo il viaggio di Francesco in Canada, un viaggio di penitenza per ricucire il dialogo con le popolazioni indigene ferite nella loro cultura, nelle loro tradizioni.
Un cammino insieme, che deve essere compiuto da tutto il Paese.

Sono state loro le protagoniste ieri all’aeroporto internazionale di Edmonton. Rappresentanti di First Nations, Metis e Inuit, le realtà autoctone riconosciute dal governo canadese, in costume tradizionale hanno accolto il Pontefice con un canto rituale eseguito coralmente.

Il saluto delle popolazioni indigene al Papa

Dopo il saluto delle autorità civili e religiose, il Papa si è trasferito al Seminario di St. Joseph, dove soggiornerà nei primi giorni di questo viaggio.

Oggi i primi due appuntamenti: alle 18 ora italiana, la visita alle popolazioni indigene nelle riserve di Maskwacìs, 100 chilometri a sud di Edmonton; dopo la mezzanotte nuovo incontro con gli indigeni nella chiesa del Sacro Cuore alla presenza della comunità parrocchiale.

“Camminare insieme”

Il messaggio di riconciliazione, di scuse, di perdono e di consolazione, che Francesco porta in questa terra, vuole essere rivolto a tutte le realtà della società canadese in un percorso che necessariamente deve essere fatto insieme.
Ed è proprio questo il tema scelto per il viaggio: ‘Marcher Ensamble – Walking together’, camminare insieme, espresso nelle due lingue ufficiali del Paese.
Un cammino intrapreso insieme anche in Vaticano nell’aprile scorso.

Il racconto della prima giornata del Papa

https://youtu.be/pWy4vVktnTI

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