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PEPE: «SÌ, LA SEVERINO È INGIUSTA», ROSA: «DA FDI LEGGI PIÙ RISOLUTIVE»

Referendum giustizia, continua il dibattito su Cronache Tv


Nel secondo approfondimento di “Cronache Tv” all’interno della tribuna politica volta ad affrontare la questione del Referendum sulla giustizia.

Sono 5 i quesiti – promossi da Lega e Radicali – che vedranno coinvolti, il prossimo 12 giugno, al voto gli elettori italiani, oltre i ben 22 Comuni lucani interessati alle amministrative.

Per approfondire le regioni del “sì” e del “no” sulle cinque interrogazioni referendarie – riguardanti le misure cautelari, la separazione delle funzioni dei magistrati, le elezione del Csm, i Consigli giudiziari e l’incandidabilità dei politici condannati – ne abbiamo ascoltato le argomentazioni dalla viva voce dei protagonisti: il senatore della Lega Pasquale Pepe e l’ex assessore regionale ed esponente di Fratelli d’Italia Gianni Rosa che ne hanno approfondito, punto per punto le ragioni, da parte di Rosa favorevole al voto di due no e di sì , e quelle dei 5 sì, argomentate di contro dal senatore Pepe.

INCANDIDABILITÀ E DECADENZA

Il primo dei quesiti referendari chiama in causa la cosiddetta legge Severino che disciplina il regime di incandidabilità e decadenza per i parlamentari (anche europei), i rappresentanti di governo, i consiglieri regionali, i sindaci e gli amministratori locali.

Prevede tra le altre cose l’incandidabilità alle cariche di deputato, senatore e membro del Parlamento Europeo di coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a 2 anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, di maggiore allarme sociale (ad esempio mafia, terrorismo, tratta di persone), di coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a 2 anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, contro la Pubblica Amministrazione (ad esempio corruzione, concussione, peculato) e di coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a 2 anni reclusione per delitti non colposi, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 4 anni. Ebbene, se vincesse il “sì” decadrebbe l’intero provvedimento.

Per tutte queste ed altre motivazioni, il senatore Pasquale Pepe si dichiara pienamente a favore del “sì” perché «riteniamo che il decreto Severino, così come è stato impostato sin dall’inizio, sia ingiusto nei confronti dei nostri sindaci e dei nostri amministratori locali.

Così com’è previsto adesso dalla norma basterebbe una banale condanna di primo grado per sospendere fino a un anno e mezzo dalla carica il soggetto, creando un vuoto amministrativo e tutti i conseguenti disservizi.

E vi sono numerosi esempi che nella maggioranza dei casi ci dimostrano come, a postumi, tali condanne, nei gradi di giudizi successivi, nel secondo grado o in Cassazione, si sono dimostrate poi infondate.

Oltretutto, questo tipo di impostazione, stride con i principi costituzionali, perché ricordiamolo: per la nostra Costituzione si è innocenti fino a sentenza definitiva di condanna».

Di contro, a favore del votare la nota referendaria con un “no” è l’esponente di FdI Gianni Rosa secondo cui la «questione è facilmente risolvibile discutendo ed approvando, la esistente proposta di legge di FdI depositata in Parlamento con la quale si potrebbero risolvere le anomalie esposte da Pepe.

Seppure la legge Severino, per quanto mal scritta, ha messo uno stop al fenomeno della corruttela dell’ambito della Pubblica Amministrazione.

Quindi abrogarla di colpo potrebbe esporre la nostra società a un pericolo importante».

MISURE CAUTELARI

Le misure cautelari, tema messo in discussione nel secondo dei quesiti referendari, sono dei provvedimenti limitativi della libertà dell’imputato, emessi generalmente nel periodo dell’istruzione preliminare e successivamente nel corso del processo.

Vengono adottati dall’autorità giudiziaria sulla base di specifici presupposti: per scongiurare il pericolo di inquinamento delle prove; il pericolo di fuga; la possibilità che vengano compiuti delitti di mafia o gravi delitti con uso delle armi; oppure delitti della stessa specie.

Benché sia presentato come inerente la sola custodia cautelare, il quesito interessa tutte le misure cautelari, sia coercitive (oltre la custodia in carcere e gli arresti domiciliari, anche l’obbligo o il divieto di soggiorno, l’allontanamento dalla casa familiare, il divieto di avvicinamento nei luoghi frequentati dalla persona offesa), che interdittive (divieto temporaneo di esercitare una professione o un’impresa, ovvero di esercitare pubbliche funzioni).

Se vincesse il “sì” decadrebbe la possibilità di emettere qualsiasi misura cautelare ove ricorra l’ipotesi di un pericolo attuale e concreto di reiterazione del reato.

E qui Gianni Rosa precisa che «il Referendum interviene solamente sull’aspetto delle misure cautelari nel caso di reiterazione del reato. Non sono a favore dell’abolizione di questo aspetto perché, sono del parere chi è abituato a delinquere continuerà a delinquere».

A fare altrettante precisazioni per sostenerne il suo “si” all’abrogazione è il senatore Pasquale Pepe che evidenzia come «i casi nei quali una persona si è trovata ad essere tratta in arresto durante la fase delle indagini, per poi ritrovarsi assolta, sono nella stragrande maggioranza».

«Non sottovalutando, poi, gli esborsi a cui lo Stato successivamente è dovuto a risarcire il cittadino per ingiusta detenzione che sono alquanto ingenti».


SEPARAZIONE DELLE FUNZIONI DEI MAGISTRATI

Il terzo dei quesiti referendari chiama direttamente in causa i magistrati e le loro funzioni.

Attualmente, questi, possono passare nel corso della loro vita professionale dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa, ma con delle forti limitazioni e non più di quattro volte nell’intera carriera.

Se vincesse il “sì” decadrebbe questa previsione: il magistrato dovrebbe scegliere all’inizio della carriera la funzione giudicante o requirente, per poi mantenere quel ruolo durante tutta la vita professionale.

Ebbene, su questo terzo quesito, così come per i successivi quarto e quinto, sia il leghista che il forzista si trovano pienamente d’accordo nella scelta del votarne “sì” nell’abrogazione.

Nel dettaglio, Pasquale Pepe considera «doverosamente giusta la volontà di decidere fin dall’inizio delle loro carriere da che parte stare.

Non dimentichiamo che da quasi 25 anni abbiamo il cosiddetto “processo accusatorio” dove c’è il giudice terzo che giudiva, valuta e poi decide; e in cui ci sono le parti che dovrebbero essere sullo stesso livello: l’accusa da un lato e la difesa dall’altro, ma è chiaro che con il principio di separazione delle funzioni delle carriere si renderebbe un atto concreto e doveroso in funzione del processo accusatorio che viene chiamato, in tal caso, “il giusto processo”.

È una questione eticamente doverosa che un Giudice all’inizio della sua professione decida da che parte stare: da quella di chi accusa, quindi di chi dirige e fa le immagini; oppure dalla parte di chi deve giudicare ».

A fare da eco alle sue parole, sono quelle di Gianni Rosa che storicamente, lui quanto la destra italiana, è della convinzione che «è giusto che ci sia questa separazione e fin da subito.

E se lo strumento referendario può rivelarsi la soluzione, finalmente, per metterci la quadra, visto che il Parlamento non riesce a chiarire questo aspetto, ben venga.

Oltre che garantire una maggiore professionalità dei magistrati perché il fatto che ci si specializzi in un ramo, significa conoscere perfettamente quello che si sta svolgendo. Comportando, di conseguneza, la gestione di una Giustizia migliore».

VALUTAZIONE DEI MAGISTRATI

La valutazione professionale dei magistrati è una competenza che la Costituzione assegna all’organo di autogoverno, che decide anche sulla base dei pareri formulati dal Consiglio Direttivo della Cassazione e dai Consigli giudiziari.

Il Consiglio Direttivo della Corte di Cassazione è un organismo formato sulla falsariga del Consiglio Superiore della magistratura.

È composto da membri di diritto (il primo Presidente, il Procuratore Generale ed il Presidente del Consiglio nazionale forense), da 8 magistrati eletti dai loro colleghi, nonché da 2 professori universitari e da un avvocato (membri laici).

I consigli giudiziari sono organismi territoriali anch’essi formati sulla falsariga del consiglio superiore della magistratura.

Essi sono composti da membri di diritto (il presidente della Corte d’appello, il procuratore generale e il presidente dell’ordine degli avvocati), da magistrati eletti dai loro colleghi e da membri laici, avvocati e un professore universitario, nominati con metodi vari e da un componente eletto dai Giudici di Pace.

I Consigli formulano pareri su questioni che riguardano l’organizzazione e il funzionamento degli Uffici giudiziari, esercitano la vigilanza sulla condotta dei magistrati in servizio e formulano le pagelle relative all’avanzamento in carriera dei magistrati. Su queste ultime due competenze hanno voce solo i componenti togati.

Se vincesse il “sì” i membri “laici” parteciperebbero a tutte le deliberazioni del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei Consigli giudiziari. Gianni Rosa è palesemente dell’opinione che «sia giusto aprirla a tutti, perché relegarlo alla sola categoria di appartenenza potrebbe presupporre un giudizio di parte.

Ricordando che non sarebbe, in prospettiva, un giudizio vincolante, quindi, perchè limitarlo?».

Pasquale Pepe, dal canto suo, reputa la decisione di aprirne le porte anche ai membri esternoi«creerebbe equilibrio oltre che garantirebbe una equa valutazione.

Questa riforma darebbe finalmente voce alla stragrande maggioranza dei magistrati e non più a chi, invece, è parte di una minoranza sparuta ma evidentemente molto potente di lobby costruite all’interno della magistratura».

CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA (CSM)

Il quinto ed ultimo quesito referendario, riguarda il Consiglio superiore della magistratura (Csm) che è l’organo di amministrazione della giurisdizione e di garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza dei magistrati ordinari.

È composto dal Presidente della Repubblica, che ne è membro di diritto, in ragione della funzione svolta, e lo presiede; dal Primo Presidente della Corte di Cassazione, che ne è membro di diritto, in ragione della funzione svolta; dal Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, che ne è membro di diritto, in ragione della funzione svolta.

Gli altri componenti, il cui numero è stato fissato in 24, sono eletti per 2/3 da tutti i magistrati e per 1/3 dal Parlamento riunito in seduta comune.

La carica elettiva ha la durata di quattro anni, con divieto di immediata rieleggibilità.

Dei sedici componenti eletti dai magistrati, due sono scelti tra coloro che svolgono funzioni di legittimità presso la Corte di Cassazione, dieci tra i giudici di merito (presso le Corti di Appello o i Tribunali), quattro tra i pubblici ministeri (che operano nelle Procure Generali presso le Corti di Appello o le Procure della Repubblica presso i Tribunali).

Gli otto componenti eletti dal Parlamento, come componenti laici, sono scelti tra professori universitari in materie giuridiche e avvocati che esercitano la professione da almeno quindici anni.

Un magistrato che voglia candidarsi a far parte del Csm deve raccogliere dalle 25 alle 50 firme di magistrati a sostegno della propria candidatura.

Se vincesse il “sì” decadrebbe questa previsione.

Ebbene, sulla questione sia il senatore Pasquale Pepe che l’ex assessore regionale Rosa si trovano concordi: il primo valuta «la Riforma del Csm una “minestra riscaldata”, perché dovrebbe essere invece un’Organo completamente svincolato dal potere delle correnti, che equivale a dire che deve essere svincolato dal potere della politica e libero dalle infiltrazioni politiche e dalla incidenza di determinati partiti.

Il modo per farlo? Togliere qualsiasi strumento perché tali correnti possano incidere sulle elezioni del Csm: quindi togliere le firme, chiunque può candidarsi e votare».

Una liberazione quella che avverebbe, quindi, con il Referendum: secondo quanto valutato anche da Gianni Rosa che vede in questa abrogazione la «possibilità che ogni singolo magistrato possa candidarsi direttamente, senza alcun tipo di supporto o condizionamento di cordata, perché l’inidipendenza e la libertà di potersi candidare in maniera autonoma è estremamente importante».


 

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