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SI SALVA POTENZA, MA S’AMMAZZA MARATEA

I mal di pancia della maggioranza si riverberano sui territori. Braia e Polese almeno c’hanno provato


MAL DI PANCIA


DI MASSIMO DELLAPENNA


SALVARE POTENZA

Salvare Potenza, un imperativo categorico che si ripete ciclicamente ad ogni legislatura, un titolo da film eroico, quasi una missione per mamma Regione che ogni tanto deve prendere i soldi di tutti i cittadini lucani e destinarli alla città di Potenza che non è in grado di camminare sulle sue gambe.

Sarebbe opportuno che le varie classi politiche che si sono avvicendate alla guida della città capoluogo inizino a spiegare perché Potenza sia ciclicamente da salvare, quali siano i problemi strutturali che rendono impossibile alla città di camminare con le sue gambe.

Tra dissesti e salvataggi la città di Potenza non ha quasi mai avuto i conti in ordine e periodicamente è chiamato l’erario ad intervenire per evitare il fallimento.

LA CITTÀ DEI SERVIZI, LA CITTÀ DELLA POLITICA

La motivazione ufficiale che si ripete in continuazione è che la città offrirebbe servizi a tutta la Regione, qualsiasi colore politico abbia governato il capoluogo ha ripetuto questo mantra. Verrebbe da chiedersi come facciano tutti gli altri capoluoghi di Regione in Italia perché Potenza non è l’unico capoluogo di Regione in Italia, non è l’unica città che offre servizi all’hinterland.

Verrebbe da chiedersi perché la concentrazione di servizi continui ad essere una zavorra e non un’opportunità per la città, perché il transito di migliaia di persone non residenti, la stabilità occupazionale e demografica data dal “posto pubblico” siano un problema e non una opportunità.

Salvare Potenza non può ridursi ad una periodica elargizione a spese di tutta la Ragione, deve diventare una riforma strutturale del sistema e della governance economica della città, un’occasione per ripensare il tutto e trasformare la centralità della città-regione in una opportunità.

POLICORO, MELFI, MATERA E LE ALTRE

Esistono città che, senza avere servizi amministrativi continuano a crescere economicamente e socialmente, sono in grado di camminare con le proprie gambe, di attirare investimenti, di creare occupazione partendo dalle imprese, dal turismo, dal commercio.

Possibile che Potenza non debba mai essere in grado di farcela da sola? Qual è la vocazione della città che con i suoi 60.000 residenti gode di tutti i palazzi regionali, di tutti gli uffici periferici dello Stato, dell’Università, del grande polo ospedaliero con il conseguente indotto di incassi e di opportunità lavorative? Se la vocazione della città è quella di garantire i servizi, città del pubblico impiego e del relativo indotto forse è opportuno che chi la governa si concentri su questo e non più su vocazioni culturali e turistiche il cui ritorno economico è attualmente invisibile o, comunque, sproporzionato alle spese.

Quanto rende ogni Euro investito in turismo a Policoro, Matera, Maratea e quanto hanno reso gli euro spesi per le varie inziative culturali della città capoluogo? Quale indotto hanno portato? Quanto incassa la città di Potenza dal transito quotidiano di decine di migliaia di pendolari che dalla provincia si riversano quotidianamente per svolgere tutte le attività dalla scuola all’ospedale? Sono questi gli interrogativi che è il momento di porsi se si vuole davvero salvare Potenza.

MARATEA ABBANDONATA

Nella stessa notte in cui la burocrazia della città di Potenza veniva salvata, il Consiglio Regionale bocciava un emendamento a firma Braia-Polese per aiutare gli imprenditori turistici di Maratea danneggiati dalla chiusura della strada che conduce alla perla del Tirreno.

Imprenditori danneggiati dalla mancanza di servizi offerti dagli enti meritano meno attenzione della città che ha la concentrazione di tutti i servizi? È un esempio, un piccolo esempio che serve a far capire perché non sia possibile continuare in questo modo.

Esempi se ne potrebbero fare migliaia perché non solo il bilancio di Potenza deve essere salvato ma anche quello di tanti altri Comuni che, invece, vengono penalizzati per essere stati virtuosamente capaci di spendere meno di quello che incassavano, anche tante imprese che hanno sofferto la crisi, la pandemia e ora la guerra meritano di essere salvate. Mamma Regione non può avere figli e figliastri perché questo è palesemente ingiusto.

I MAL DI PANCIA NELLA MAGGIORANZA

La frattura che si è consumata nella maggioranza altro non è che il risultato di un comune sentire diffuso, Vizziello, Zullino, Piro, Leone, Aliandro con le loro posizioni hanno espresso esattamente questo sentimento che è stato più forte di qualsiasi disciplina di partito, l’emendamento è passato lo stesso grazie al soccorso del centro- sinistra a dimostrazione che esiste una traversalità sulla città e sul suo destino.

Una trasversalità che è di visione, da un lato chi crede che Potenza debba continuare a godere di un privilegio per il suo essere città-regione, dall’altro chi crede che la Regione dei 130 campanili non possa più consentire questi privilegi. Fino ad’ora su questo punto non ci sono differenze tra il centro-sinistra ed il centrodestra né in città né in Regione ed è forse arrivato il momento di fare chiarezza.


 

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