Te si’ fatta na vesta scullata, nu cappiello cu ‘e nastre e cu ‘e rrose… stive ‘mmiez’a tre o quatto sciantose e parlave francese…è accussí?”

Così recita Reginella, scritta nel 1917 da Libero Bovio e ricordata oggi come una delle canzoni napoletane più famose di tutti i tempi. Ma chi era la sciantosa?

Certo, i napoletani conoscono bene questo termine, ma non è così chiaro per tutti.

Questa parola, grazie a quella canzone, è ormai divenuta di uso comune anche nella lingua italiana e si identifica con una donna di bell’aspetto, vanitosa e civettuola.

Una delle sciantose più famose della storia fu Liliana Castagnola che era una delle donne che hanno amato Totò fino ad arrivare al punto di togliersi la vita, schiacciata e affranta da quel suo amore trascurato.

Liliana Nacque a San Martino, vicino Genova l’11 Marzo del 1895 e da allora girò l’Europa facendo la carriera da chanteuse.

Si meritò la fama di donna fatale corteggiata da regnanti, ministri, industriali, patrizi. A Marsiglia due marinai si sfidarono in duello rusticano per lei, uno morì. A seguito di questo episodio venne espulsa dalla Francia, successivamente a Montecatini fu ferita da un amante geloso che le sparò due colpi di pistola e si uccise. Un principe veneto sperperò per lei un patrimonio e fu interdetto dalla famiglia.

Infine, l’amore fatale della sua vita. Giunse a Napoli per lavorare in Teatro. Una sera di dicembre del 1929 si recò al Teatro Nuovo per vedere uno spettacolo di Totò, il quale, il giorno seguente le inviò un mazzo di fiori accompagnato da un biglietto.

Lei rispose: “Vi ringrazio, gentile signore, delle belle rose che ho gradito con molto piacere. Intanto, suppongo che non dimentichiate che dopo un certo numero di giorni queste meravigliose rose appassiranno e che, di conseguenza, occorrerà sostituirle con altri fiori”. Era un sì. Si innamorarono. Fu una relazione tempestosa, pure se Liliana si dedicò totalmente all’attore napoletano.

Ma la loro relazione, che fu da subito difficile. I due amanti condividevano la passione per il teatro ma erano rosi dalla gelosia, che ben presto li portò alla rottura, dalla quale Liliana non riuscì a riprendersi.

E così la donna si abbandonò nella camera di una pensione e decise di ingerire un intero tubetto di sonniferi per porre termine alla sua vita.

Fu proprio l’amato principe De Curtis a trovare il corpo esanime della povera Liliana. Da quell’episodio Totò rimase sconvolto per tutta la vita, e negli anni successivi si tormentò su cosa avrebbe potuto fare per cercare di porre rimedio, seppur tardivo, a quel gesto estremo, assolutamente imprevedibile.

E così quando ebbe una figlia dalla moglie di allora, Diana Rogliani, diede a quella bambina il nome della sua sfortunata amante: Liliana.

Totò fu estremamente turbato dalla notizia della morte di Liliana; si rimproverò di non aver compreso pienamente il sentimento di lei nei suoi riguardi, anzi di aver pensato: «ha avuto molti uomini, posso averla senza assumermi alcuna responsabilità ma non aveva tenuto conto che l’amore di quella donna per lui era diverso dagli altri che lei aveva avuto in passato.

Per darle tutto quello che in vita non era riuscito a regalarle, decise che il suo corpo fosse tumulato nella cappella di famiglia e poi le dedicò anche una breve poesia:

«È morta, se n’è ghiuta ‘n paraviso!
Pecchè nun porto ‘o llutto?
Nun è cosa, rispongo ‘a gente

e faccio ‘o pizzo a riso
ma dinto ‘o core è tutta n’ata cosa!»

 

Totò conservò in tutti gli anni della sua vita un fazzoletto sporco di mascara, raccolto nella stanza di quella pensione che aveva visitato dopo la morte dell’attrice, ritenendo verosimilmente che Liliana vi si fosse asciugata le lacrime prima di morire. Franca FALDINI, l’ultima moglie di Totò, avrebbe poi bruciato quel fazzoletto dopo il decesso del marito nel 1967.

Quando la trovò priva di vita, in quel 3 marzo del 1930, accanto al suo corpo il principe De Curtis trovò anche una lettera, l’ultima che lei scrisse per il suo amato:

Antonio, potrai dare a mia sorella Gina tutta la roba che lascio in questa pensione. Meglio che se la goda lei, anziché chi mai mi ha voluto bene.

Perché non sei voluto venire a salutarmi per l’ultima volta?

Scortese, omaccio!

Mi hai fatto felice o infelice? Non so.

In questo momento mi trema la mano… Ah, se mi fossi vicino!

Mi salveresti, è vero?

Antonio, amore mio, sono calma come non mai.

Grazie del sorriso che hai saputo dare alla mia vita grigia e disgraziata. Non guarderò più nessuno. Te l’ho giurato e mantengo.

Stasera, rientrando, un gattaccio nero mi è passato dinnanzi.

E, ora, mentre scrivo, un altro gatto nero, giù per la strada, miagola in continuazione.

Che stupida coincidenza, è vero…?

Addio.

Lilia tua


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