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IL LUPO DELLA STEPPA: OMAGGIO AL PENSIERO DI UN PACIFISTA

L’appuntamento con le tematiche sociali che attanagliano il nostro tempo


DI ANTONIO SALERNO


Stenta ad apparire all’orizzonte la vela tesa che conduce l’uomo nuovo. Come le vedette di Clitennestra nella tragedia di Eschilo i filosofi scrutano il buio che gli si para innanzi con stereotipata rassegnazione. Fuochi fatui si accendono nei loro occhi allorquando il baluginìo della tecnica crea artefatti e miraggi.

Quella nave è attesa da quando ha preso il varo nell’ampia vorago delle coscienze dei movimenti pacifisti, ambientalisti, dei diritti umani, nel concetto di globalizzazione delle idee e dei costumi.

Ma oggi, osservando gli eventi, nulla appare tra i flutti. Forse si è trattato nient’altro che di un inganno? O dobbiamo continuare a credere e ad attendere? Da più di vent’anni la vecchia e saggia Europa è impegnata in guerre in Paesi situati nella parte sud orientale del pianeta.

Adesso che la guerra, mai cessata, si è pericolosamente avvicinata alle porte dell’Europa e la voce delle armi sovrasta l’armonia a cui la storia recente ci aveva abituati a noi lucani, circondati dalla quiete che regna sovrana nei nostri borghi, lontani dal chiasso e dai rumori caotici e convulsi di un mondo malato e febbricitante giungono come voci lontane, portate dal vento, le parole del poeta: “ ogni popolo e anzi ogni uomo, invece di lasciarsi ninnare da questioni politiche circa la colpevolezza, deve fare l’esame di coscienza e vedere se i suoi errori, le omissioni o le cattive abitudini non siano fino ad un certo punto responsabili della guerra e di tutta la miseria che vi è nel mondo” e poi, come un mugghio di dolore, continua” mi mette addosso una grande tristezza il fatto che due terzi dei miei concittadini leggono questa razza di giornali ( all’epoca non c’erano trasmissioni televisive), leggono mattina e sera queste parole, vengono lavorati ogni giorno, esortati, aizzati, resi cattivi e malcontenti, e al fine di tutto ciò ci sarà di nuovo la guerra.

Tutto ciò è semplice e limpido ma nessuno vuole concedersi un’ora di riflessione e chiedersi fino a qual punto ognuno è partecipe e colpevole del disordine e della cattiveria del mondo”.

Così Harry, il protagonista del romanzo, filosofo, letterato, giornalista e intellettuale che incarna nel suo personaggio la crisi dei valori dell’era moderna, si sfogava con la propria amica Erminia, negli anni venti quando una umanità non paga dei milioni di caduti nel corso della prima guerra mondiale si preparava a perseverare nella follia dell’odio e della distruzione reciproca.

La voce flebile del poeta continua: “ da quando lo so mi sono sentito tagliare le gambe e mi sono disperato e non ho più patria, non ho più ideali perché tutto questo non è che uno scenario per quei signori che preparano la prossima carneficina” …” non ha scopo pensare pensieri umani e dirli e scriverli, non ha scopo rimuginare pensieri di bontà: per due o tre persone che lo fanno ci sono in compenso ogni giorno migliaia di giornali e di riviste e discorsi e sedute pubbliche e segrete che vogliono il contrario e lo otterranno”.

Doveroso, in questo momento storico, il richiamo al pensiero del genio letterario di Hermann Hesse insignito del Nobel nel 1946, doveroso perché sopra le parti, imperituro nella sua stessa essenza di pacifista capace di esporre, nel 1927, su una ribalta senza quinte e senza veli quei pochi, elementari, immutabili, insulsi fili che muovono i passi dell’uomo vecchio, ancora oggi vivente, attivo, attuale nelle menti e negli animi di coloro che amano credersi dei burattinai. Ragni piuttosto.

Esseri rapaci rinchiusi nella spelonca dell’ignoranza che li priva della luce della ragione. Lo stesso Hesse aggiungeva: “ loro sono tutti innocenti: l’imperatore, i generali, i grandi industriali, gli uomini politici, i giornali ( gli uomini dell’alta finanza, gli speculatori, i fabbricanti d’armi, aggiungiamo noi per ammodernare il quadro): nessuno ha nulla da rimproverarsi, nessuno ha la minima colpa…”.

L’uomo nuovo che giungerà dal mare infinito del futuro guarderà con un sorriso ironico alle ambizioni colonialistiche, robaccia del passato, di quando gli uomini erano dei barbari. Egli sarà felice di trovare soluzioni per tutti, di scoprire le meraviglie contenute in ogni singola lingua e cultura, sarà forse persino pervaso da un pacifico, irenico, sentimento religioso e le sue sfide saranno la vita, l’ambiente, la felicità.

Forse si avvicinerà più di Nietzsche e Schopenhauer al senso autentico della vita. E di questo vecchio di tremila anni, divenuto maturo a forza di tentativi ed errori, che oggi reputa normale far oscillare sulla testa del pianeta, dei nostri figli e dei nostri nipotini una terribile spada di Damocle cosa ne sarà? Non vuole morire né cedere il passo al pensiero nuovo, quello sgorgato dalla caduta degli idoli e dalla capacità previsionale delle macchine. Di sicuro l’umanità del futuro non dovrà macchiarsi di parricidio proprio perché avulsa da quei costumi. Il pensiero vecchio dovrà essere amorevolmente custodito nei libri, nella cinematografia, nella mirabile bacheca dell’arte a memoria degli errori e degli orrori del passato.

A noi, forse oggi ancora troppo pochi, e alle generazioni future il compito di aprire le porte e dare voce al pensiero nuovo, spogliato degli appetiti e dell’ottuso egoismo che caratterizzano il vecchio ma sopratutto libero dai fili invisibili che vorrebbero presentarci come reale uno spettacolo di marionette brutale e privo di ogni morale


 

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