L’AUTISMO NELL’ETÀ ADULTA, UN DISTURBO DIMENTICATO
Voci lucane, l’appuntamento con le tematiche sociali che attanagliano il nostro tempo
DI ANTONIO SALERNO
Spenti i riflettori sulla giornata mondiale per l’autismo la nostra rubrica vuole riaccenderli in un giorno normale, unendosi alle voci che intendono sensibilizzare la comunità rispetto al disturbo autistico descritto da Kanner negli anni 40 nei cui confronti la scienza medica compie grandi progressi a differenza della società civile che non riesce a reggere il passo rimanendo spesso attonita ed impreparata di fronte alla necessità d’integrazione dei pazienti e dei bisogni delle famiglie.
La grande mole di dati e di conoscenze sull’argomento non ha purtroppo prodotto ancora delle cure risolutive e questo ha creato una spaccatura tra il mondo scientifico e le famiglie da una parte e la società civile dall’altra.
È comprensibile la necessità, nel rapportarsi ad un problema così complesso, di conoscerlo a fondo in modo da collocare i comportamenti, il linguaggio non verbale e le esigenze di affetto e di accettazione di cui sono portatori bambini, ragazzi e adulti affetti da autismo in un quadro di normalità come avviene in tanti altri contesti.
Ad oggi molti passi in avanti sono stati compiuti sia sul fronte della diagnosi precoce, e in questo la nostra Regione può sicuramente vantare un’eccellenza ospitando nel comune di Chiaromonte il centro studi per i disturbi dello spettro autistico gestito dall’istituto di ricerca Fondazione Stella Maris Mediterranea, sia sul fronte del percorso riabilitativo e del coinvolgimento della famiglia.
Bisogna constatare però che rimane un vuoto nella vita del paziente autistico e della sua famiglia.
Sin dall’infanzia questi bambini sono accolti con l’amore che gli è dovuto ed accompagnati nel loro percorso di vita dalle istituzioni sanitarie, dal mondo della scuola e anche del contesto sociale ma al raggiungimento dell’età adulta l’argomento sembra perdere improvvisamente la propria importanza e l’impreparazione a cui prima si faceva riferimento arriva a coinvolgere non solo la sfera sociale ma persino il mondo delle istituzioni.
Questo non deve essere avvertito da nessuno come una colpa e il nostro accenno non vuole essere assolutamente un’accusa ma semplicemente un’esortazione ad andare avanti, magari con passo spedito, sulla strada della ricerca di soluzioni ad un problema che vede coinvolti così tanti giovani e così tante famiglie.
Alla fine del percorso scolastico questi ragazzi rischiano di rimanere isolati nell’ambito della famiglia con poche possibilità di vedersi riconosciuto il diritto all’integrazione.
Per questo, negli anni futuri, sarebbe auspicabile che da parte delle istituzioni fossero contemplati programmi di informazione, sensibilizzazione e anche di investimenti infrastrutturali sia in ambito sanitario che socio-sanitario finalizzati a sostenere e mantenere vivi gli stimoli che i processi interattivi forniscono a queste persone consentendo loro di accrescere progressivamente e senza soluzioni di continuità le loro capacità relazionali e di acquisire gli strumenti comunicativi e comportamentali necessari ad una ottimale integrazione nell’ambito dei vari contesti di cui una comunità risulta costituita