AttualitàBasilicata

LA GUERRA NEGLI OCCHI

Ucraini in Basilicata

I rifugiati dall’Ucraina, i profughi di guerra, i civili che scappano dai bombardamenti, chiamateli come volete, ma una cosa é vederli nello schermo del televisore, altra cosa é incontrarli dal vivo. É come guardarsi in uno specchio in cui non ci si vorrebbe mai riflettere perché sgomenta pensare che fino a un mese fa stavano vivendo le loro vite come noi e oggi, invece, si trovano sbalzati in un angolo di mondo che non saprebbero indicare su una cartina, a parlare con gente che non li comprende, separati, smembrati in una diaspora che potrebbe non avere un ricongiungimento con chi è rimasto in Ucraina per resistere. Fa paura sentire l’odore del loro lungo viaggio, intercettare il loro sguardo spaventato ed incerto, fa paura perché è il loro, oggi, ma potrebbe essere il nostro. Le guerre sono tutte un abominio, ma certe guerre sono, emotivamente e geograficamente, così lontane che ci sembra che si stiano svolgendo su Marte. Altre, come quella divampata un mese fa a seguito dell’invasione della Ucraina da parte della Federazione Russa ce la sentiamo addosso, con tutto il suo carico di orrori, e non solo perché è alle nostre porte e veniamo costantemente minacciati di esserne travolti. Non è solo per questo. É perché settant’anni fa eravamo noi gli ucraini, invasi e trucidati dai nostri ex alleati e nei loro volti rivediamo quelli che siamo stati e quelli che, di colpo, abbiamo capito che potremmo tornare ad essere.

Guardando i rifugiati, avvertiamo il loro sgomento, dignitoso e composto, ma sentiamo anche il nostro, quello dell’Europa, dell’Italia gaudente, che ripugnerá anche la guerra ma non può impedirle di scoppiare.

I loro sguardi raccontano tanto. I bambini più che spaventati sembrano disorientati. I bambini hanno bisogno di certezze e la loro perdita improvvisa li ha lasciati turbati, smarriti. Pur avendo un intero campo di calcio e un pallone per giocare, restano fermi, immobili, sotto la porta, come sotto un arco protettivo.

Le donne più anziane sembrano ancor più spaesate. Si rivolgono alle volontarie della Caritas con naturalezza, convinte che possano comprenderle mentre parlano nella loro lingua e sommessamente chiedono qualcosa.

Le ragazze sono come sarebbero le loro coetanee italiane se per un mese non potessero prendersi cura di sé, con un po’ di ricrescita tra i capelli che segna, come uno strano orologio, il momento in cui per loro ha avuto termine, così bruscamente, la vita normale.

Sgomenta quanto poco sia bastato perché l’illusione della pace evaporasse per ricatapultarci indietro. Quello che sembrava essere un percorso irreversibile, dopo la caduta del muro di Berlino e la nascita dell’Unione Europea, si è rivelato sono l’ennesima tregua da due guerre e, per rassicuraci, non può bastare cullarci sugli esiti dei conflitti precedenti pensando che per chissà quale patto speciale con il Dio della Guerra, questi debba sempre sorriderci.

Qualunque sia l’esito di questa, della quale nessuno avrebbe mai pensato di dover riferire, una lezione l’abbiamo già avuta tutti. Oltre a non poter mai dare per scontati ideali, quelli della pace e della sicurezza, tanto difficili da ottenere e da mantenere, abbiamo imparato cosa sia la dignità di un popolo che difende strenuamente il suo territorio e la propria identità, tanto in Ucraina che in tutti i paesi in cui sono giunti i loro cittadini con una compostezza ed una consapevolezza che ti rimane addosso e ti costringe a guardare in quello specchio in cui non vorremmo mai vederci riflessi.
N.G.

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