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IN CARCERE PER ERRORE, NON SARÀ RISARCITO

Oltre 2 anni di carcere e poi assolto in via definitiva: la Cassazione rigetta il risarcimento danni


Il colpo milionario del 5 febbraio 2011 alla gioielleria in via della Spiga, ancora oggi è annoverata come uno dei più eclatanti avvenuti a Milano nel cuore del Quadrilatero della moda.

Oltre 10 le persone che furono arrestate per la rapina da 9 milioni di euro e tra queste, al secondo blitz che chiuse il cerchio investigativo, anche l’allora 71enne originario di Venosa, Andrea Giannetti, noto, tra l’altro, per aver fatto parte del gruppo che equipaggiato con armi da guerra rapinò, nel 1993, il Banco Ambrosiano Veneto di Padova, durante il colpo morirono un addetto alla sicurezza e uno dei ladri, e Nicola Donato Gaetano Dapoto, nato a Potenza nel l’agosto del 1966.

Le vicissitudini processuali si conclusero con approdi diversi per il folto gruppo di indagati. Tra loro c’è chi, per esempio a 12 anni di reclusione, è stato condannato, ma anche altri che, invece, sono stati assolti.

È questo proprio il caso del potentino Dapoto prosciolto dalle accuse, in concorso e a vario titolo, di rapina aggravata perchè a mano armata e sequestro di persona dei dipendenti della gioielleria, con la formula «per non avere commesso il fatto».

Così stabilì il Tribunale di Milano nel 2014, mentre all’anno successivo, risale la conferma della Corte di Appello del capoluogo lombardo con sentenza divenuta irrevocabile nel 2015.

Da allora, il lucano ha intrapreso la battaglia legale per ottenere dallo Stato la riparazione monetaria per ingiusta detenzione. Dapoto venne assolto, ma è stato sottoposto a custodia cautelare in carcere per 2 anni e 2 mesi, ovvero dall’11 dicembre del 2012, il giorno dell’arresto, al febbraio del 2015.

Il potentino, però, non riceverà 1 euro di indennizzo. La Corte di Cassazione ha respinto il suo ricorso contro il verdetto della Corte di appello di Milano che già l’anno scorso rigettò la sua richiesta. Innocente per la rapina da film del 2011, ma a “tradirlo” le «frequentazioni pressanti» con pregiudicati poi risultati coinvolti nel colpo armato alla gioielleria di via la Spiga.

L’avvocato difensore di Dapoto ha puntato principalmente sulla «erronea interpretazione dei tabulati telefonici con riferimento agli spostamenti nei mesi precedenti alla rapina ed agli incontri con i coimputati », smontando così anche la presunta rilevanza della circostanza che il potentino si trovasse la mattina prima della rapina nella zona della casa di un ex coimputato, accusato, quest’ultimo, di aver fornito «i mezzi rubati usati» per il colpo milionario, ma gli “ermellini” hanno dato parere opposto all’interpretazione dei fatti.

Da precisare che la valutazione del giudice della riparazione si svolge su un piano diverso, e soprattutto autonomo, rispetto a quello del giudice della cognizione penale, pur dovendo eventualmente operare sullo stesso materiale. Per il caso Dapoto, in sintesi, riscontrata la colpa ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo di tipo extraprocessuale: frequentazioni ambigue con connivenza non punibile, ma che dà adito a comportamenti «idonei ad essere percepiti all’esterno come contiguità criminale».

Per cui, richiamato il contenuto delle dichiarazioni rese dal potentino al G.i.p. nel corso degli interrogatori sostenuti a proposito «del motivo e della intensità delle frequentazioni con i coimputati nella rapina», nonchè della «sospetta improvvisa interruzione subito dopo il fatto», la Cassazione ha evidenziato «la non credibilità» delle stesse sia a causa della mancanza di riscontri, «i temi della ricerca del lavoro e dell’accompagnamento continuo della fidanzata in banca, sia a causa «della illogicità » delle affermazioni.

Soprattutto per 3 di queste, evidenziata «la implausibilità »: «essersi rivolto a persone non qualificate per avere consigli infermieristici per gestire i genitori malati», «avere continuamente e costantemente accompagnato la fidanzata in banca senza che ne risulti la necessità» e, infine, il «trovarsi in stato confusionale a causa del subito arresto ». Per questi e altri motivi, per i 2 anni e 2 mesi di carcere, negato l’indennizzo per detenzione ingiusta.


 

Ferdinando Moliterni

3807454583

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