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TRAFFICO DI CELLULARI IN CELLA

Matera, notificati 29 avvisi di garanzia in carcere: tutto è partito dal rinvenimento di un pacco


Ifatti risalgono, a settembre 2020. In un bagno del carcere di Matera la polizia penitenziaria aveva individuato un pacco con 9 microtelefoni cellulari e altrettante sim card. Da allora l’avvio di una indagine per scoprire chi aveva introdotto illegalmente quei telefonini nella casa circondariale e chi poi li avrebbe utilizzati. Ora la Polizia di stato e la Polizia penitenziaria hanno notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari a 29 indagati, all’epoca dei fatti detenuti nella casa circondariale di Matera. Per loro, è stato ipotizzato il reato di “accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti”.

La pena prevista, da uno a 4 anni di reclusione. È una delle prime indagini in Italia in applicazione dell’articolo 391-ter c.p., introdotto dal c.d. “decreto sicurezza 2020”, che punisce l’accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di detenuti, comportamento che in precedenza costituiva un semplice illecito disciplinare. Alcune delle schede erano state inserite e usate anche con altri cellulari già in uso ai detenuti; molti cellulari sarebbero stati utilizzati da più detenuti, solitamente ospitati nella stessa cella.

Su indicazioni della Squadra Mobile, personale della Polizia Penitenziaria nel mese di gennaio 2021 aveva sequestrato diversi cellulari e sim, anche differenti rispetto a quelli costituenti l’oggetto dei fatti in questione. Tutti i detenuti indagati appartenevano al circuito penitenziario di “media sicurezza” «La conclusione delle indagini preliminari nei confronti di 29 detenuti nel carcere di Matera per possesso di telefonini e sim card, fatti risalenti al 2020, ripropone l’ampia diffusione di cellulari nei penitenziar».

A sostenerlo è il segretario generale del S.PP. Aldo Di Giacomo che aggiunge: «è il caso di ricordare che nel 2020 nelle carceri italiane sono stati rinvenuti 1.761 telefoni cellulari. Erano stati 1.206 nel 2019 e 394 nel 2018. Solo una piccola parte arriva attraverso droni contro i quali non credo serva a molto la “schermatura” delle carceri come pure qualcuno ha proposto tenuto conto che come è stato accertato la “consegna” avviene in tanti altri modi».

Il segretario del Sindacato Penitenziari sottolinea che «la disponibilità di un telefono cellulare durante il periodo di detenzione, altro che per parlare a fidanzate ed amanti, è funzionale a obiettivi criminali e a coltivare la supremazia nell’ambito dei rapporti carcerari perché quella disponibilità permette al detenuto di mantenere continui rapporti con il proprio ambiente esterno di provenienza e persino di continuare ad impartire disposizioni criminose da eseguire al di fuori della struttura carceraria, con ricadute assai negative sia sulla praticabilità di percorsi rieducativi (ove si tratti di condannati definitivi), sia per il soddisfacimento di eventuali esigenze cautelari per i così detti ‘non definitivi’, sia in generale per l’ordine pubblico. In proposito a sostenere il nostro allarme sono le parole del procuratore aggiunto di Bari, coordinatore della Direzione distrettuale antimafia, Francesco Giannella – «il carcere non ostacola più l’operatività delle mafie, che operano su due binari, dentro e fuori gli istituti penitenziari grazie a una circolazione incontrollata di telefoni cellulari di piccolissime dimensioni, introdotti nelle carceri di tutta Italia nei modi più fantasiosi.

E’ la più autorevole conferma che bisogna fermare subito la diffusione di telefonini nei penitenziari ». Pur essendo quella di Matera una delle prime indagini in Italia in applicazione dell’articolo 391-ter c.p., introdotto dal c.d. “decreto sicurezza 2020”, che punisce l’accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di detenuti, comportamento che in precedenza costituiva un semplice illecito disciplinare (la pena prevista adesso è quella della reclusione da uno a quattro anni) non basta l’inasprimento di pena


 

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