LETTERE (LUCANE) E INTELLETTUALI
Taccuino del sabato a cura di Enzo Santochirico
Ci scopriamo un pò più poveri e soli all’abbrivio di questo nuovo anno senza le “LETTERE LUCANE” di Andrea Di Consoli.
E’ stato l’appuntamento quotidiano nell’ultimo anno e mezzo con ricordi, aneddoti, richiami, plausi, stroncature, critiche, plausi, segnalazioni, analisi, esortazioni, dissuasioni, proposte, ecc, riguardanti fatti, persone, storia, cultura, politica, vita della Basilicata, attraverso il filtro della memoria e della prospettiva. Alla base, la consapevolezza dell’importanza di rimestare continuamente in questa materia, a volte inerte altre incandescente, che non merita l’abbandono o la resa all’inesorabile fluire delle cose.
Non lo dico perché siamo amici e spesso anche concordi quando capita di confrontarci, nonostante la sua congenita anarchia e insofferenza verso gli schemi e il mio ostinato organicismo di adolescenziale matrice gramsciana. Lo dico, invece, perché Andrea, ancor più con la fatica quotidiana delle Lettere Lucane, rappresentava una presenza che esaltava un’assenza nella società lucana: quella di intellettuali che, fuori dal cerchio delle loro discipline e competenze, intervengono pubblicamente, polemizzano, criticano, suggeriscono, segnalano, indicano, propongono. Solo qualche mese fa, Sabino Cassese, prestigioso giurista e già giudice emerito della Corte Costituzionale, con un agilissimo volumetto, intitolato appunto “Intellettuali”, ce ne ha ricordato l’importanza e il ruolo di critico essenziale nel mercato delle idee contro la pandemia dell’ignoranza e i suoi effetti negativi sulla società e sulla democrazia.
Di loro continua a esserci bisogno – ricordava- per diverse ragioni: auspicava che non rimanessero prigionieri delle loro discipline e intervenissero sui mezzi di informazione per alimentare la cultura civica, diffondere il metodo della riflessione che fa soppesare le ragioni degli altri, far capire l’importanza della storia, per dare qualcosa di più, per suscitare “ragionevoli speranze”, insegnando razionalità e dialogo, reinventandosi senza tradire il proprio mestiere. Fra chierici e eretici, integrati e apocalittici, custodi e sovvertitori, conformisti e rivoluzionari, l’Italia vanta una tradizione più o meno sempre viva e rigenerata di attiva animazione del discorso pubblico da parte degli intellettuali.
Ancora oggi, le prime pagine dei quotidiani e quelle dei commenti vedono firme di studiosi, esperti, artisti, che commentano, denunciano, teorizzano. Anche sulla pandemia non è mancato un confronto, e a volte anche uno scontro, di idee e opinioni diverse (non parlo dell’ottusità no vax). Perché in Basilicata non accade? Perché c’è il silenzio di chi dovrebbe fare della parola e del pensiero gli strumenti (stavo per dire le armi) non solo della convenienza personale ma del civismo, della partecipazione, della condivisione, delle scelte, del destino stesso di questa terra? Un ulteriore sintomo o epifenomeno della debolezza di un tessuto civile e sociale, cui mancano autonomia, libertà, coraggio a fronte di un potere politico tanto condizionante quanto incolto? Non sarà forse un caso che Andrea Di Consoli si congeda dalla sua rubrica con un’invettiva (pasoliniana?) contro l’incultura e l’inconsistenza delle classi dirigenti?
Ma proprio in epoca di penuria di una classe politica illuminata, lungimirante, interprete dei bisogni veri di una realtà e di un popolo, sarebbe ancor più essenziale una coscienza critica, una voce libera, un pensiero profondo che ricreassero una sintonia fra governanti e governati. Il deficit contemporaneo dell’una e degli altri fa disperare sul futuro. A volte le assenze sono ancor più rumorose, ingombranti, ingiustificate quando contagiano, fino a diventar tabe, di settori e istituzioni culturali nelle quali la libertà di pensiero, l’esercizio critico dell’analisi, la diffusione e il confronto di idee dovrebbe essere, è il suo DNA.
Mi riferisco, per esempio al mondo dell’istruzione in generale e dell’’Università in particolare. Sono spesso utili e alcune volte anche preziosi gli studi e le ricerche che vengono svolti e pubblicati a seguito di incarichi affidati ai Dipartimenti. Ma, oltre a tali lavori disciplinari, coloro che insegnano, fanno ricerca, studiano la realtà, vivono problemi e ansie di una regione che ha fame di futuro e ora persino di sopravvivenza, perché tacciono, non animano lo spazio pubblico, si mimetizzano in attese, ritrosie, reticenze che non liberano forze, energie, creatività, protagonismi? E la stessa domanda si potrebbe porre a chi fa della creatività, dell’arte, della cultura i suoi campi privilegiati di attività e di vita.
Chi darà impulso, solleverà dubbi, favorirà stimoli, provocherà rotture, sconvolgerà schemi, lancerà ponti, se non gli intellettuali? O sono troppo impegnati nelle contiguità che offrono opportunità e convenienze, ma esigono acquiescenza, fedeltà, conformismo? Sia chiaro, il problema non nasce oggi e non si risolverà domani, è annoso e ciclicamente riemerge, soprattutto quando l’opacità, la miopia, l’ignoranza del presente diventano asfissianti e opprimenti.
Ma è proprio in quei momenti che occorre un colpo d’ali, “stringersi a coorte”, uscire allo scoperto, donarsi con generosità per evitare derive valoriali, chiusure identitarie o territoriali, trappole della contingenza, furti di futuro. Caro Andrea sarei felice se da domani non avvertissi più la mancanza di Lettere lucane, si dissolvesse la sensazione di povertà e solitudine che mi hanno lasciato, venendo invece sommersi e invasi – io, tu, i giornali, tout le monde – da voci, pensieri, opinioni, critiche, proposte, che delle tue pillole quotidiane facessero un pallido ricordo, materiale di archivio, tracce di passato, sostituite dal calore e dall’intelligenza di intellettuali che si scrollano pigrizie e inerzie, e tornano ad essere o diventano anime e corpi del loro, del nostro tempo.