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LAVORO IRREGOLARE: BASILICATA OTTAVA

Drammaticamente alta l’incidenza dell’economia prodotta dal sommerso sul totale regionale: all’8° posto in Italia


Caporalato e lavoro nero, l’allarme in Basilicata


Il caporalato e il lavoro nero, «da sempre a braccetto soprattutto nel settore dell’agricoltura », sono una «piaga sociale» presente non soltanto nel Mezzogiorno come i numeri Istat fanno emergere: segnalati 3,2 milioni di lavoratori irregolari presenti in Italia. Date le caretteristiche del fenomeno, che è sommerso, verosimilmente la stima è quasi certamente sottodimensionata. Ad ogni modo, la piccola Basilicata, sulla tematica, presenta numeri davvero allarmanti. Il tassello dell’Ufficio studi dell’Associazione artigiani e piccole imprese Cgia di Mestre, rappresenta il punto di partenza di un’analisi che mira a rinforzare la drammatica ipotesi che con il Covid-19, il lavoro irregolare sia aumentato.

Così, fissato lo stato dell’arte al 2019, l’anno pre-pandemia. Considerando le 19 regioni italiane più, separatamente, le due Province autonome di Trento e Bolzano, la Basilicata è all’ottavo posto. Prima, in ordine decrescente, ci sono Calabria, Campania, Sicilia, Puglia, Molise Abruzzo ed Umbria. Non è il numero dei lavoratori irregolari a fare la differenza, evidentemente in Basilicata ci sono meno occupati in nero che nel Lazio che occupa il decimo posto della classifica. Ad essere decisivo per il posizionamento, è sia il tasso di irregolarità, ma soprattutto l’incidenza dell’economia prodotta dal sommerso sul totale regionale

. In Basilicata al già alto tasso di irregolarità, 14%, va aggiunta l’incidenza dell’economia prodotta dal sommerso sul totale regionale che, dato il rapporto tra valore aggiunto del lavoro irregolare sul valore aggiunto totale pari a 654 milioni di euro, è pari al 5,6%. Come ha inteso sottolineare l’Ufficio studi della Cgia di Mestre, «la maggioranza di chi lavora irregolarmente è costituita, in particolar modo, da persone molto “intraprendenti”, che ogni giorno si recano nelle abitazioni degli italiani a fare piccoli lavori di riparazione, di manutenzione (verde, elettrica, idraulica, fabbrile, edile, etc.) o nel prestare servizi alla persona (autisti, badanti, acconciatori, estetiste, massaggiatori, etc.)». Un esercito di “invisibili” che, «non sono alle “dipendenze” né di caporali né di imprenditori aguzzini ma, attrezzati di tutto punto, si spostano in maniera del tutto autonoma e indipendente, provocando danni economici spaventosi».

Secondo l’Ufficio studi, questi lavoratori irregolari «sono in gran parte costituiti da pensionati, dopo-lavoristi, inattivi, disoccupati o persone in Cig che arrotondano le magre entrate con i proventi recuperati da queste attività illegali». A rimetterci, quindi non solo le casse dell’erario e dell’Inps, ma anche le tattività produttive e dei servizi, le imprese artigianali e quelle commerciali regolarmente iscritte presso le Camere di Commercio che, così, subiscono la «concorrenza sleale» dei lavoratori irregolari. I lavoratori in nero, ha spiegato l’Ufficio studi, non essendo sottoposti ai contributi previdenziali, a quelli assicurativi e a quelli fiscali, «consentono alle imprese dove prestano servizio, o a loro stessi se operano sul mercato come falsi lavoratori autonomi, di beneficiare di un costo del lavoro molto inferiore e, conseguentemente, di praticare un prezzo finale del prodotto/servizio molto contenuto».

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