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QUANDO IL RE CHIESE IL VINO DI MELFI

Carlo I d’Angiò amava il pane e l’aglianico lucano

Era un re e amava essere trattato regalmente, ma anche se figlio e fratello di sovrani francesi,  apprezzò subito le delizie lucane. Carlo D’Angiò, in attesa della costruzione del suo castello nella capitale Napoli, passava molto tempo a Melfi e a Lagopesole, dove trasferiva  con la corte in primavera e estate per oltre venti anni. . Carlo I apprezzò il buon pane lucano,   Come scrive la storica e archivista Valerio Verrastro:  Nei registri angioini leggiamo di un ordine dato dal re il 26 settembre 1278: oltre al forno esistente nella regia masseria di Carda presso Lagopesole, doveva essere costruito un altro forno, mediante il quale si potessero cuocere ogni giorno, in due volte, sei salme di pane per uso della casa reale. Il pane  accompagnava l’uso abbondante di carne o di pesce. Il 9 dicembre 1279 il re disponeva che fossero prese nei pantani regi di Versentino e di Salpe diecimila piccole anguille le quali, portate in barili a Lagopesole, fossero immesse in quel lago per moltiplicarsi.  Signore della tavola era il vino della zona, l’Aglianico, cui si fa sicuramente riferimento nei documenti quando si parla del “vino rosso di Melfi”.  Giustino Fortunato nella sua opera Il castello di Lagopesole, riporta un documento del 16 settembre  1280 settembre 16, dove Carlo I da Melfi ordina: È stato scritto al nostro giustiziere di Basilicata. Con il nostro beneplacito si provveda Affinché nel nostro palazzo di Lagopesole possa trovarsi del vino rosso di Melfi della migliore qualità che si possa avere, della vendemmia dell’anno presente, che, nella misura di quattrocento salme, dovrà esser diligentemente e in modo salubre riposto e conservato nello stesso palazzo, affinché quando giungeremo lì nella prossima estate, lo stesso vino possa esser trovato buono e utile per il consumo nostro e del nostro ospizio. Ci raccomandiamo pertanto fermamente ed   espressamente alla tua fedeltà affinché, sotto pena di cento oncie d’oro, scelti quattro uomini di Melfi fedeli ed esperti e affiancato ad essi un uomo forestiero della tua famiglia oppure qualcuno dei nostri stipendiati che dimorano con te  e  di  cui  tu  goda  piena  fiducia, tu faccia  da  loro  comprare del  predetto  vino,  col denaro della nostra Curia, del migliore vino rosso di questa terra che si possa trovare, s’intende mosto [vino nuovo], della vendemmia di  questo  anno, che si possa trovare sulla migliore piazza, sino alla quantità predetta di quattrocento salme… Nell’acquisto e nella deposizione del vino farai in modo che siano poste la diligenza e la cura opportune, in modo che la prossima estate possiamo trovare il vino buono e adatto al consumo nostro e  del  nostro  ospizio,  poiché,  se  sarà  altrimenti, unicamente a te faremo reclamo».

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