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TUTE, PANNOLINI E ORDINI: LE RIUNIONI DI FAMIGLIA

Tramite i colloqui, Stefanutti comandava dalla cella e se il «reggente» Lorusso non obbediva ordinava di riferirgli: «Bossariello… ha detto papà non rompere i coglioni»


Se per il clan Martorano- Stefanutti, lo Stato e la legalità erano dei virus, allora la necessità di sviluppare degli «anticorpi» per la sopravvivenza del gruppo criminale stesso. Se il dominio del clan sul territorio di Potenza è rimasto inalterato per quasi 20 anni, secondo l’Antimafia di Potenza è anche grazie «agli anticorpi interni» di cui gode il sodalizio che «riesce a ritrovare in se stesso la forza per superare i propri momenti di criticità, ricomponendo i suoi equilibri attraverso un inestricabile nodo di interessi nelle cui trame si dipana la capacità di autoconservazione e consolidamento ».

Sul palcoscenico delle attività criminose del clan Martorano- Stefanutti, gli inquirenti hanno visto “recitare” anche i «postini» di «pugno d’oro» Dorino: i suoi familiari che consentivano di garantire «un “filo diretto”» tra il capo e il sodalizio, in riferimento agli «affiliati liberi », «ricevendo informazioni ed impartendo direttive», anche quando Stefanutti era in regime di reclusione carceraria.

È proprio grazie ai video della sala colloqui del carcere di Melfi, che gli inquirenti hanno compreso la valenza concorso esterno di Elvire D’Ascoli, ex moglie e attuale compagna di Dorino, di Manuela e Albina Stefanutti, rispettivamente figlia e sorella della «bestia», come lo chiamava Martorano, ed, infine, del genero Valentino Scalese (nell’edizione di ieri erroneamente indicato una volta col nome di Manuel Scalise, ndr).

I «“pizzini”» e le «ambasciate » dal e per il carcere , consentivano di captare i resoconti del denaro, tanto in relazione alla «bacinella», la cassa comune per il sostegno dei sodali detenuti, quanto agli esiti delle attività criminose, ed anche di fare il punto sullo “stato di salute” del clan.

SE L’«ARMA» NON È UN «GIOCATTOLO», MA NEANCHE «CARTE»

Già dal primo colloquio in carcere pochi giorni dopo la carcerazione del novembre 2019, tra Stefanutti e parenti, la “favella” criptica. Albina al fratello: «Senti ma io tengo pure la cosa a casa… carte … quelle carte!!!». Alla domanda di Stefanutti, «quali carte?», Albina «avvicinando la mano alla bocca per coprirla», risponde: «Quelle carte che mi hai lasciato tu». Al gesto, Dorino «fa un gesto convenzionale con la testa intendendosi con lo sguardo con la sorella», chiudendo con «e quella dalla a Valentino!… Tanto quella è “giocattolo”!… ma di ad Elvira che non andasse a casa ». Per gli inquirenti, « la sorella Albina ammetteva di detenere un’arma per conto dello Stefanutti che, evidentemente, per non farla spaventare assumeva che si trattava di un giocattolo».

E comunque, come ripostiglio occulto, Dorino ricordò ai parenti dell’esistenza di una vano, ricavato nel bagno di casa, dove evidentemente poter occultare qualsiasi cosa: «Vedere se vicino al bagno, (dal video: Stefanutti simula con la mano il gesto di una manopola) nello scarico… se ne viene!… la staffa vicino al bagno!… cioè io là io avevo fatto mettere… ». In previsione di un’altra importante udienza in Cassazione, da Stefanutti l’indicazione di andare da un tale a dirgli di «“togliersi il pensiero” », cioè con verosimile riferimento al consegnare soldi per pagare l’avvocato. Il «“pensiero”» come quando, nei riscontri incrociati, Lorenzo Bruzzese nelle dichiarazioni agli investigatori fatte nel luglio 2020 , spiegava che «per ogni affare criminale che viene fatto sul territoriodella provincia di Potenza si deve fare un pensiero, in proporzione al guadagno dell’affare illecito che si ottiene, a Renato Martorano ».

«TUTE» E «PANNOLINI»

Molti gli ordinativi che Stefanutti faceva di «tute», «mi pigliasse una tuta di quelle là che lui sa bene»… «ha mandato a prendere le tute »… «ma sta tuta da chi la doveva andare prendere»… «c’era una tuta ma non te l’abbiamo portata», ma ad attirare l’attenzione degli inquirenti l’uso del termine «pannolini». In un colloquio, rivolto a Valentino Scalese, «… Mario se porta i pannolini… li porti tu da Saverio! (Postiglione Saverio, ndr) e se passi da Saverio gli dici: “tanti saluti a Renato!”… e gli dici se mi può fare un pensiero!».

DISTRUGGERE IL TELEFONO

In un colloquio, Stefanutti si mostrò preoccupato che il telefono che aveva usato durante il breve periodo di libertà in regime sorveglianza speciale, potesse finire nelle mani della Procura. «Peppe (marito della sorella Albina) lo ha buttato quel telefono? Quello è il telefono che tengo per 2,3.. qualche amici… i numeri ci sono… non andare a vederli». La sorella, cambiando discorso, ma informando prima che almeno la sim era già stata «tagliata», lo avvisa di aver saputo di un prossimo trasferimento di detenuti dal carcere di Melfi, grazie all’uscita che aveva fatto con una persona. “Contento” dell’arrivo in carcere di alcuni calabresi affiliati a cosche della ‘ndrangheta, «mi hanno invitato tutti… sono già amici che conoscevo», ordina di impegnare Donato Lorusso, considerato il “reggente” fuori di attivarsi per trovare l’abitazione proprio a un detenuto calabrese: «Che c’è un amico qua che si vuole fittare una casa qua a Potenza! Per la famiglia! Per stare vicino a lui!».

LA MOGLIE DELL’ASSASSINATO ABRUZZESE E LO SGARRO DELLA FOTO: «LE DOVEVO FARE UNA SALIATA»

Per gli inquirenti, «inquietante » il passaggio del colloquio durante il quale Stefanutti e i suoi familiari discutono della vedova di Donato Abruzzese, che «assunta dal sodale Gianluca Di Giuseppe», lavorava in un bar-pizzeria del capoluogo. «Sono andato a prendere una pizza – racconta Scalese – mi sono girato e l’ho vista con il telefono in mano e la luce accesa… aveva fatto un video!». Stefanutti: «Lasciala fare… non devi dire niente che quelli vanno trovando proprio scuse… io ho sbagliato ora che ero fuori… le dovevo fare una “saliata” (ndr) e via! e le facevo togliere pure questo fatto di fare tutta (dal video: mima un atteggiamento di prepotenza-presunzione) e la facevo vedere come si piange».

I RIMPROVERI A LORUSSO: «BOSSARIELLO E MASTRO A CAPOCCHIA»

Tema dei colloqui anche i rapporti nel clan e tra clan: «Quelli non vogliono la pace ». In più di una occasione, Stefanutti s’innervosisce con i parenti nell’apostrofare l’operato del “reggente” Lorusso.Parlando con la figlia: «Gli devi dire una cosa a Donato, ha detto papà non rompere i coglioni!… ma questo dovesse fare che si è messo in testa di fare il “bossariello”… l’ho comandato io… mi deve fare proprio incazzare ». Altre espressioni da vari colloqui, sempre dello stesso tenore: «Vuole fare lui il “mastro del cazzo”! Quando è… vediamo che sa fare». E ancora: «Mo se esco io! lo aggiusto io a questo… questo vuole fare il “mastro” a capocchia!».


 

Ferdinando Moliterni

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