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QUELLO STRANO CASO DEL RAGIONIER PACE

Il provvisorio che diventa durevole, all’Agenzia del lavoro il “badante” per il personale che si occupa del Bilancio


Aleggere che una determinata mancanza, di professionalità e di organico, «si è, peraltro, ulteriormente accentuata nel corso degli anni a causa del pensionamento di complessive 20 unità al 31 dicembre 2020», riducendo la dotazione organica da complessive 115 unità, ad «appena» 78 unità a tempo indeterminato, sembrerebbe di aver impattato contro un Ente dalla decennale storia. E invece no. I dati accennati, come ufficializzati pochi giorni fa, sono quelli dell’Agenzia regionale per il lavoro e l’apprendimento Basilicata (Arlab), istituita solo 5 anni fa, nel 2016. All’Arlab, sin dall’inizio, non solo è stata “donata” un’andatura zoppicante, dato il turn over già noto e imminente al quale però nessuno ha posto rimedio, ma è stato concesso l’ulteriore “regalo” di un’altra zavorra, questa non numerica poichè relativa alle competenze.

Non a caso, il fatto che il personale trasferito all’Arlab fosse quello già impiegato nelle due Agenzie Provinciali, Apof-Il e Ageforma, «ha reso subito e sempre più problematica, per mancanza di sufficienti adeguate professionalità, l’attività “ordinaria” di gestione dell’Ente». Così, tra le altre cose, a 5 anni dalla sua istituzione, il «progressivo e sempre più accentuato» sottodimensionamento dell’organico dell’Arlab, «l’età media elevata del personale in servizio», nonchè il fatto che si tratti, «per la maggior parte», di formatori, «molti dei quali, peraltro, in possesso del solo diploma di scuola superiore », sono solo alcune delle principali criticità dell’Arlab.

Il fatto, inoltre, che il presidente della Regione Basilicata, Vito Bardi, abbia Commissariato l’Agenzia per 2 anni, di certo non ha aiutato a risolvere le problematiche dell’Agenzia per il lavoro, in un territorio che di lavoro ne avrebbe bisogno. Per la politica, però, dove c’è crisi c’è speranza e causalmente o casualmente di cose strane all’Arlab ne accadono. Tra queste, il Direttore generale Di Ginosa se n’è ritrovata una confezionata dal predecessore Commissario, Antonio Corona. Per risalire alla genesi della vicenda, bisogna fare un salto temporale nel recente passato: marzo scorso.

All’improvviso, senza accenni alla mancanza di professionalità interne e il perchè lo si può intuire, Corona con una lettera di contratto subordinata a un «capitolato speciale d’appalto », ha affidato l’incarico diretto al ragioniere Tommaso Pace, “pescato” così, non si sa come, dal mazzo. Ad ogni modo, il ragioniere Pace preso per curare l’«ordinario», ovvero «l’espletamento degli adempimenti e degli atti correlati al bilancio» e, pertanto, per «affiancare», per 5 mesi e al costo, per l’Arlab, di 6mila e 344 euro, «il personale preposto in servizio».

In questo tipo di ricorso a personale esterno, a quest’ultimo è, come da quadro normativo relativo, richiesta una prestazione qualificata e ciò a differenza di quanto avviene nel caso di un appalto, in presenza del quale l’obbligo della prestazione viene assunto da un’impresa, la quale si avvale di un’organizzazione di mezzi, con la figura dell’appaltatore che rimane in secondo piano. Col «capitolato speciale d’appalto» non è chiaro cosa intendesse il Commissario Corona. In ogni caso, ciò che sembrava, seppur nebulosamente, una prestazione di natura temporanea, si è, poi, rivelata l’opposto.

La spesa è raddoppiata, salita a 15mila e 225 euro, così come anche la durata dell’incarico. La proroga, altra anomalia, dura di più dell’originario incarico. Il Commissario Corona, prima di cedere il posto al Direttore generale Di Ginosa, scelto da Bardi dopo 2 anni e dopo 2 Avvisi pubblici, nel frattempo regole e requisiti sono stati, con più che dubbia legittimità, modificati in corsa, anzi peggio, a primo bando esperito, ha firmato, tra gli ultimi suo atti, quello della proroga al ragioniere Pace. Allo scelto non si sa come Pace, rinnovato il mandato dal 1 settembre scorso fino al 31 agosto dell’anno prossimo. All’Arlab, quando vogliono e per chi vogliono, il lavoro ce l’hanno.

Ferdinando Moliterni

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