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UN RAGAZZO DI ROTONDA SCRIVE A INDRO MONTANELLI

Lettere lucane

Non so per quale ragione uno che si definiva marxista leggesse i libri e gli editoriali su “Il Giornale” di Indro Montanelli. Forse perché all’epoca prevaleva in me una sorta di moralismo anti-italiano, per cui chiunque contribuiva a demolire lo status quo antropologico dei miei concittadini mi andava bene. Come tutti gli adolescenti, la vita così com’era non mi piaceva, e sognavo anch’io, come tanti, un astratto homo novus da costruire con la rivoluzione. Poi le mie idee sulla vita cambiarono, e divenni più indulgente con il presente e con i difetti degli altri – non fosse altro perché iniziai a vedere anche i miei, di difetti. Alla metà degli anni ‘90 Montanelli teneva una rubrica sul “Corriere della sera” nella quale rispondeva alle lettere dei lettori. Non ricordo se nel 1995 o nel 1996, ma ebbi l’onore di veder pubblicate ben due lettere che gli avevo inviato via fax – altro che email; per trovare un fax a Rotonda bisognava sudare sette camicie. In una di queste lettere – molto ingenue, devo dire – lui mi appellò così: “Caro collega…”. Non potevo crederci: il più grande giornalista vivente – quello che aveva raccontato la resistenza finlandese, la rivolta d’Ungheria e tante altre pagine cruciali della nostra storia – mi stava accogliendo urbi et urbi nel club esclusivo dei giornalisti. Ma ovviamente mi mise in guardia da un’idea troppo romantica di giornalismo – idea che, confesso, continuo ad avere, tant’è che mi reco quotidianamente in edicola e continuo a sfogliare i giornali con la stessa sensazione che aveva da ragazzo di compiere un rito sacro – la famosa “preghiera dell’uomo laico” di Hegel. Era bellissimo, leggere le sue memorie e i suoi aneddoti; sembrava essere stato testimone di tutto, anche di cose molte lontane storicamente. Il suo essere anti-italiano non mi piace più, ma le sue doti di memorialista continuano a suscitare la mia ammirazione.

diconsoli@lecronache.info

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