LE GRAVI RESPONSABILITÀ DEGLI IMPRENDITORI
Lettere lucane
Chi mi ha letto nel tempo sa quanto col passare degli anni io abbia maturato un sentimento di ostilità verso lo statalismo paternalistico e un atteggiamento favorevole rispetto all’impresa privata. E tuttavia sono sempre più perplesso rispetto alla classe imprenditoriale lucana e meridionale, che mi appare indifferente al fatto di essere parte della classe dirigente. Se davvero la “razza padrona” intendesse attenuare l’omologante e narcotica pervasività statalista, dovrebbe anzitutto sentire il dovere di comportarsi in maniera virtuosa, rispettando le leggi e trattando dipendenti e collaboratori in maniera adeguata. In Basilicata e al Sud – principalmente qui, purtroppo – l’orientamento liberale è ai minimi storici, perché chi ha potere economico tende ad arraffare ricchezze senza un minimo di visione morale e sociale. E tutto questo sfruttando impiegati e operai, che infatti, non appena perdono un lavoro, preferiscono percepire il reddito di cittadinanza. Ovviamente sto generalizzando; ma sempre più spesso sento parlare di offerte di lavoro a tempo pieno retribuite con 600 o 700 euro mensili. Non è più tollerabile; e bene fa lo Stato, a questo punto, a “commissariare” l’economia privata, sempre più rapace e sfruttatrice. Agli imprenditori vorrei dire questo: i grandi capitani d’industria – quelli che aiutano a creare una mentalità liberale svincolata dal clientelismo politico – non sono unicamente tesi a privatizzare i profitti e a socializzare le perdite, ma contribuiscono con generosità e lungimiranza alla creazione di una società più libera e più giusta. Invece vedo una triste sommatoria di padroncini che non hanno quasi mai cultura liberale, né consapevolezza di avere una grande responsabilità, finanche morale. È inutile lamentarsi dello Stato padrone se poi facendo impresa si sa solo chiedere soldi pubblici e trattare dipendenti e collaboratori a pesci in faccia.