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LA TESTIMONIANZA DI ALINA MIGLIORI LA “CAPITANO” DEL TEAM ITALY

Endometriosi, quella parola sconosciuta allora, è diventata la mia battaglia personale contro chi non crede che questa malattia sia invalidante

Mi chiamo Alina Migliori ed ho cinquant’anni.

Ho sentito parlare si endometriosi per la prima volta nel 2001, quando feci il mio primo intervento in laparoscopia.

Avevo forti dolori durante le mestruazioni , durante i rapporti con mio marito e problemi intestinali. In più le mestruazioni mi duravano anche dieci giorni con la pillola.

L’esito dell’operazione fu che l’endometriosi aveva già preso tutte due le ovaie, legamenti utero-sacrali, l’intestino e uretere.

Dopo pochi mesi feci la mia prima laparotomia, per pulire l’addome.

Mi dissero che l’utero era cementificato e l’intestino, nel tratto del sigma, ricoperto di endometriosi. Mi pulirono le ovaie.

All’epoca gli interventi pesanti erano fatti in laparotomia con una ripresa fisica molto lunga.

Dopo pochi mesi, ripresi ad avere dolori e problemi con l’intestino.

Mi fecero fare degli esami di accertamento (colonscopia, clisma opaco, apertura dell’intestino con palloncino) e in uno di questi si accorsero che, quando cercavano di aprire la stenosi dell’intestino con un palloncino, fuori c’era qualcosa che la bloccava.

Nel frattempo avevo già rifatto la mia seconda laparotomia di controllo e avevano verificato che endometriosi era ritornata ovunque.

Il nuovo ginecologo mi mise prima sotto pillalo in continuo, ma i dolori non cessavano. Anzi erano più molto forti.

Mi mise poi sotto enantone, analogo dell’ormone che doveva mandarmi in menopausa, con tutti i suoi effetti.

Il farmaco su di me non ebbe successo, anzi andavo in emorragia ogni mese.

Dopo diversi tentativi si arrivò al 2004, dove si decise, o decisi, di togliere utero e ovaio per non sentir più parlare di questa malattia.

Non sto qui a entrare nei dettagli di come mi sentii a togliere una parte così importante a trentadue anni senza aver mai avuto o pensato ad avere figli, questa è un’altra storia.

Feci la mia seconda laparotomia e nell’intervento, oltre a farmi un’isterectomia totale con salpingectomia bilaterale, mi furono tagliati 15 cm d’intestino e messo uno stent nell’uretere sinistro, che a causa delle aderenze dell’endometriosi si era attaccato all’intestino.

Purtroppo il mio ovaio di sinistra era così malconcio che due pezzi restarono dentro e la malattia proseguì indisturbata.

Il mio ginecologo pensava ormai, che io fossi andata in menopausa e quindi non ero sotto cura per l’endometriosi (anche se non mi era servita a molto prima).

Iniziai a star male dopo pochi mesi, con i dolori che oramai conoscevo a memoria e con coliche renali.

Il mio ginecologo era convinto che fosse dovuto a renella nel rene e quindi non ci dava molto peso.

Le coliche da una ogni tre o quattro mesi, iniziarono a ravvicinarsi a una il mese, fino a diventare ogni quindici giorni.

Il mio urologo, che aveva visto il mio rene dilatato sotto ecografia durante un controllo, mi disse che, dovevo andare da lui in pronto soccorso, durante una colica.

Non so quante ne feci passare per paura, ma alla fine mio marito, mi prese per un orecchio e mi recai in ospedale.

Mi fecero una Tac e non trovarono niente, mentre con una RMN videro una ciste di 5 cm che comprimeva l’uretere.

Mi misero in lista per la mia terza laparotomia: la più difficile da superare, fisicamente, il rimpianto dell’uretere in vescica.

La notte dell’operazione ebbi anche un’emorragia e mi dovettero fare due trasfusioni.

Restai con un ematoma sull’addome per tantissimi mesi.

L’esito della biopsia decretò che dentro la ciste c’era un residuo ovarico.

Fu dura riprendersi da quest’operazione, entrai diverse volte in ospedale per drenare delle cisti sierose che si formavano proprio dove erano intervenuti.

Dopo un anno, un giorno arrivai a prendere quattro Toradol per il dolore lancinante che avevo davanti e dentro il retto.

La sera, quando rientrai da una cena con amici, alla quale non volevo rinunciare, non riuscii a urinare.

Chiamai mio marito e, anche in questo caso, mi prese per un orecchio e mi portò nel P S dell’ospedale dove mi aveva operato l’ultima volta.

Mi diedero subito un calmante più forte e mi fecero un’ecografia, che sentenziò un linfocele di dieci cm sempre a sinistra, che schiacciava tutto. Dopo poco mi ricoverarono.

Restai in ospedale quaranta giorni

Mi bucarono il “melone” in Tac guidata con un ago grandissimo, perché era così duro che altri aghi non avevano la forza di bucarlo e mi misero un drenaggio per diversi giorni.
Poi m’insegnarono a urinare con il catetere per essere autonoma.
Nel frattempo, ogni giorno sostenevo esami su esami per capire come mai la mia vescica aveva smesso di funzionare.
Uscii, che ancora mi cateterizzavo.

Un fatto accaduto durante la degenza m’inquietò: un giorno dal drenaggio iniziò a uscire sangue vivo.
Chiesi agli urologi ma, non furono in grado di rispondermi.

Una volta uscita andai dal mio medico della mutua e gli chiesi di fare esami ormonali a distanza di settimane.
Come avevo intuito, non ero ancora in menopausa, dentro il linfocele c’era il mio secondo residuo ovarico.

Chiamai il mio ginecologo e mi rimise sotto enantone, senza effetti di emorragie conosciute, non avendo più l’utero.

Di andare ad intervenire chirurgicamente non se ne parlava, troppo rischioso per tutto l’addome, per le aderenze che si erano formate negli interventi precedenti.

L’idea fu portate il residuo alla menopausa naturale, che è avvenuta due tre fa.
Nel frattempo, ho dovuto mettere un neuro stimolatore sacrale per i nervi lesionati durante i numerosi interventi ad addome aperto.
Ho riavuto la vescica neurologica e mi sono aiutata con i cateteri ad urinare.
Sono stata sotto terapia del dolore per i nervi e dolori cronici.

Lo scorso anno il mio neuro stimolatore ha smesso di funzionare, il mio corpo si è “inglobato” gli elettrodi perché nel frattempo mi è anche venuta una malattia rara autoimmune, la Churg-Strauss

Il corpo, con le malattie autoimmuni, vede quello cha hai dentro come un nemico e, o cerca di buttarlo fuori o cerca di attaccarlo inglobandoselo.
Sicuramente, se presa in tempo, quando ero più giovane, tutto questo calvario non sarebbe successo.
Anni in cui ti lamenti e nessuno sa da cosa sia provocato il tuo dolore, anni in cui nessuno ti crede e anni, ancora in cui pensi di essere un malato immaginario.

Tante volte sono andata sotto i ferri pensando che mi aprissero e mi chiudessero, per poi risvegliarmi e farmi ridermi in faccia dai dottori. 

Ogni volta ho dimostrato che avevo ragione io, che conoscevo meglio di tutti il mio corpo.

Endometriosi, quella parola sconosciuta allora, è diventata la mia battaglia personale contro chi non crede che questa malattia sia invalidante

 

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