Secondo le proiezioni Istat, nel 2065 la Basilicata sarà la seconda regione italiana più anziana dopo il Molise. Ora, è dalla notte dei tempi che si dice e si scrive che la vecchiaia è un tempo duro, difficile, aspro, e che è fatto solo di malattie, rimpianti, amarezze. Eppure mai come adesso si pensa alla vecchiaia come a un problema sociale, unicamente risolvibile attraverso politiche sanitarie. Non è stato sempre così. Io sono cresciuto in una comunità – quella contadina – dove gli anziani erano punti di riferimento, guide, persone che avevano un ruolo importante; poi, da un certo momento in poi, anche nella mia comunità di origine è prevalsa questa idea della vecchiaia come umiliazione, paura, inutilità, malattia. Non so esattamente quando sia avvenuto questo cambiamento, ma è largamente coinciso con l’affermarsi del giovanilismo come ideologia di riferimento in ogni ambito sociale e culturale. La cosa assurda è che noi, anziché dare un nuovo senso alla vecchiaia, magari riconnettendoci con saperi antichi, rincorriamo anche da vecchi un’impossibile giovinezza, rincorsa che ci renderà sempre più frustrati e avviliti. Tutti stiamo cadendo nella trappola del giovanilismo, e non capiamo, conformisti come siamo, che non è alimentando il giovanilismo dominante che ogni nostra età avrà una dignità e una sua bellezza, ma solo rigettando questa volgare mentalità sempre più ostile alla maturità – che non è soltanto sottrazione, ma soprattutto addizione. Che senso ha avallare un’ideologia nella quale dopo i cinquant’anni ci si sente rottami? E che senso ha clinicizzare ostinatamente la maturità – pur di vivere più a lungo – per poi finire sui binari morti delle Case di riposo, dei parchi, delle abitazioni dove nessuno mai viene a farti una visita? Se non iniziamo a considerare ricchezza l’esperienza accumulata, siamo tutti destinati a un’atroce solitudine.

diconsoli@lecronache.info

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