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INCHIESTA “STRANGE FRUITE”: ARONE SUICIDA IN CARCERE

Per gli inquirenti era il “narcos” dei Solimando: il corpo senza vita rinvenuto in una cella ad Ariano Irpino

Benito Arone suicida in carcere. L’uomo, coinvolto nelle ultime vicende legate alla malavita nell’area jonica era finito nell’inchiesta “Strange Fruit” che aveva portato allo smantellamento di un’azienda gestita dalla malavita e facente capo alla famiglia De Pascalis di Scanzano. L’azienda, recentemente di proprietà fittizia di Aldo De Pascalis e dei figli Rossana e Leo, era attiva sul mercato dell’ortofrutta e si sarebbe allargata a dismisura negli ultimi anni quintuplicando, grazie agli interessi ed al sostegno della malavita, il proprio patrimonio economico.
Alle spalle, i fratelli Giacomo e Filippo Solimando che avrebbero riciclato lì il denaro proveniente dalle attività di spaccio. Nei confronti di Benito Arone era stata emessa un’ordinanza di arresto perché ritenuto essere uomo di punta dell’organizazione mafiosa capeggiata dai fratelli Solimando. Secondo gli investigatori Arone sarebbe stato il promotore del narcotraffico che dall’Albania, dalla Campania e dalla Calabria faceva arrivare fiumi di droga nel materano. Lui, calabrese di origine, sarebbe stato accostato an-che al clan degli ‘Zingari’ operante nell’area Corigliano-Rossano nonché nella piana di Sibari con epicentro a Cassano allo Jonio e capeggiato dalla famiglia degli Abruzzese. Ma chi lo conosceva bene ha sempre ritenuto che Benito Arone fosse estraneo a tutto, finito nelle grinfie della criminalità per una sorta di innocente spavalderia. Aveva avuto problemi di droga, ma era un gran lavoratore che faceva sacrifici finanche per acquistare un’auto usata. Per darsi un contegno, si ergeva al ruolo di guappo addossandosi a volte anche responsabilità non sue.
E forse proprio a quelle responsabilità non ha retto ed ha deciso di mettere fine definitivamente alla sua vita impiccandosi in una cella del carcere di Ariano Irpino dove era de-tenuto. A trovarlo, un agente di polizia penitenziaria che stava effettuando il consueto giro di controllo. Arone era arrivato al ‘Pasquale Campanello’ di Ariano da poco meno di un mese tanto che nemmeno la famiglia sapeva dove fosse stato trasferito dopo aver lasciato il carcere di Potenza. Immediati i tentativi di soccorso da parte del personale dell’area medica del carcere supportati dal 118, ma è stato possibile solo constatarne il decesso.
La procura di Benevento, su disposizione del sostituto procuratore Donatella Palumbo, ha aperto un’inchiesta ed ha disposto l’esame autoptico sul cadavere che è stato tra-sferito nell’obitorio dell’ospedale Moscati di Avellino.
A sentire il personale della casa circondariale, Arone sarebbe stato addirittura un detenuto modello e non avrebbe mostrato alcun segnale di supremazia dettata dall’eventuale appartenenza ad un clan: mite, rispettoso delle regole e del ruolo dei secondini e soprattutto schivo e solitario. Forse, dopo tutte le sue vicissitudini, ha preferito rimanere in disparte, aggrappandosi ad una psiche resa oramai labile da accuse che si alternavano ed aggravavano e dalla mancanza di aiuto e certezze. Nei giorni precedenti era apparso ancor più silenzioso, mostrandosi psicologicamente debilitato e insofferente. Un gesto probabilmente meditato, ponderato e messo in atto per porre fine ad un’esistenza fatta di qualche piccolo errore a cui avrebbe comunque potuto rimediare.
Un gesto così forte, sovraccaricato dalla sofferenza della detenzione, sintomatico anche di qualche mancanza del sistema penitenziario che, per ovvie ragioni dettate dalla carenza di personale, spesso non riesce a reggere il controllo sui detenuti né tantomeno a garantire quel necessario supporto psicologico che non dovrebbe esser negato a nessun detenuto.
Che prima di essere tale resta comunque un essere umano.

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