Sono a Maratea, e ci rimarrò per tre giorni. Sono qui per dare una mano a Nicola Timpone, direttore del festival cinematografico “Marateale”, e amico di vecchia data. In questi giorni presenterò alcuni libri in piazza del Gesù a Fiumicello e farò quotidianamente dei collegamenti con Radio Potenza Centrale, la radio lucana più ascoltata nella nostra regione. Per me tornare a Maratea è sempre una grande gioia, perché a questa “perla del Tirreno” sono legato da alcuni ricordi preziosi della mia giovinezza. Mi sono sempre chiesto, provenendo da un paese rurale dell’interno, cosa significhi nascere e crescere in un luogo così bello, suggestivo, incantevole, ammirato dal mondo intero. In verità tutti i posti sono belli, a saper vedere bene; ma ci sono posti che lo sono oggettivamente di più, e nei quali senti la presenza della Bellezza, “valore” verso il quale sono sempre stato diffidente e rispetto al quale mi sento intimidito. Credo di conoscere un po’ i marateoti, e mi sono accorto di una cosa, ovvero che anche loro, come me, è come se si sentissero intimiditi dalla Bellezza. Mentre in Costiera Amalfitana – tanto per fare un esempio – la gente si sente pienamente meritevole e all’altezza di quella Bellezza, a Maratea chi ci è nato e ci vive ha sempre una ritrosia, una timidezza, una sorta di pudore nel dichiararsi consustanziale con questa Bellezza. I marateoti, pur vivendo in un paradiso terrestre, sono caratterialmente e psicologicamente molto simili agli altri “paesani” dell’interno, e vivono senza sentirsi destinatari di una missione superiore. Pur amando il mare, preferiscono guardare alla terra, alla collina, alla montagna; e, alla retorica del Bello, prediligono il lavoro concreto, silenzioso, sobrio e preciso. Il marateota non è un affabulatore, ma un lavoratore umile e pudico, e che a volte diventa addirittura scontroso per eccesso di timidezza.