Ho appena finito di leggere il nuovo saggio di Giuseppe Lupo, “La storia senza redenzione” (Rubbettino). Un saggio importante, che analizza in che modo gli scrittori del Sud – da Verga a Borgese, da Vittorini a Sciascia, da Alianello a Nigro – si siano approcciati alla Storia, ovvero all’idea di progresso e di identità nazionale. Conosco Lupo – che è originario di Atella – da molti anni, e devo dire che di lui ho sempre ammirato la mente ordinatrice. Una volta fui ospite a casa sua a Milano e, quando mi portò nello studio, mi mostrò due distinte scrivanie: su una scriveva i saggi, sull’altra i romanzi. Quel giorno capii molte cose. Lupo è rimasto profondamente legato al Sud – a un sud angioino, non aragonese – ma questa sua fedeltà meridionale è profondamente orientata dall’assimilazione del progressismo nordico, e da un’idea progettuale – vittoriniana – di letteratura. Tra i suoi lavori più importanti ci sono sicuramente quelli dedicati al rapporto tra industria e letteratura, mentre il figura che parrebbe sintetizzare al meglio la sua idea di uomo nella società è quella di Adriano Olivetti. Eppure Lupo è un progressista anomalo, perché la sua idea di futuro si alimenta molto dell’utopia, ovvero del sogno della Storia. È come se la sua follia creatrice, tenuta a bada attraverso una mente ordinatrice, avesse trovato una sua concreta “sistemazione” all’interno di una visione progressiva dell’uomo nella Storia. Giuseppe ama i visionari che sanno sognare il futuro o il passato, e tutti quegli scrittori che antepongono a un’ispirazione arcadica o poco consapevole da un punto di vista storico-culturale un’idea progettuale di letteratura. Ecco, la parola-chiave per capire questo strano lucano-lombardo è “progetto”. Senza “progetto” il mondo è solo un coacervo di istinti e di sensazioni epidermiche. La fiducia che Lupo ha nella letteratura è davvero commovente.

diconsoli@lcronache.info

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