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«IL REDDITO DI CITTADINANZA È UNA FASE PONTE PER POTER ATTIVARE IL PROCESSO DI INCLUSIONE»

L’INTERVISTA Il presidente del Consiglio di vigilanza dell’Inps Loy, alla vigilia del suo appuntamento a Sant’Angelo Le Fratte, fa il punto sui programmi dell’Istituto e del post Covid

POTENZA. Il Presidente del Consiglio di Indirizzo e Vigilanza dell’Inps, Guglielmo Loy, interverrà domani a Sant’Angelo Le fratte, presso l’azienda Spix, alla presentazione del Rendiconto Sociale degli anni 2019 e 2020 dell’Inps di Basilicata.

In preparazione dell’appuntamento ha fatto il punto della situazione su alcuni temi chiave. I fatti di cronaca ci parlano di diverse operazioni delle forze dell’ordine che in Basilicata stanno scovando i cosiddetti furbetti del reddito di cittadinanza. Al di là della cronaca, qual è stato l’impatto sul mercato del lavoro di un provvedimento che spesso induce persone a non accettare lavori regolari per non perdere il beneficio, a tutto favore di un incremento del lavoro nero?

«Certamente un intervento di contrasto ai casi di estrema povertà è non solo necessario, ma benvoluto. Ci sono state due questioni che ne hanno abbondantemente condizionato l’efficacia positiva del provvedimento. Una è la pandemia che ha prosciugato il fattore lavoro per quelle persone occupabili che hanno legittimamente richiesto l’accesso al beneficio. Con l’effetto pandemico le occasioni di lavoro temporaneo si sono ridotte quasi a zero e naturalmente la seconda fase del programma Reddito di cittadinanza non si è concretizzata. Il secondo problema riguarda l’allontanamento delle politiche di contrasto alla povertà dalle Istituzioni di prossimità, che sostanzialmente sono i Comuni che intervengono in maniera residuale nel programma dell’inserimento sociale dei percettori del reddito di cittadinanza per vari motivi: per la norma scritta in maniera non sufficientemente chiara, per mancanza di risorse umane e strumentali. Mi riferisco ai comuni e ai distretti sociosanitari che sono soggetti molto passivi nel programma che ad oggi assume una funzione quasi squisitamente economica. Sono proprio le comunità locali che hanno la fotografia più reale della condizione soggettiva delle persone, che non è fatta solo della questione reddito, ma anche di altre importanti variabili, come la condizione e le modalità con cui si confrontano sul percorso di istruzione, la presenza di anziani in casa, le condizioni morfologiche con cui opera un particolare nucleo familiare: la norma (e il buon senso) affida sostanzialmente quest’opera ai comuni. Questi due handicap hanno inciso molto perché gli interventi di controllo non solo sulla carta, ma anche nella realtà non potranno mai risolvere radicalmente il tema dell’abuso, che può essere affrontato in maniera efficace solo se quelle persone sono avvicinate, accompagnate, accudite da chi ha la responsabilità istituzionale di sviluppare politiche di inclusione e contrasto alla povertà. Due handicap pesanti. Detto questo sappiamo che prima e dopo la crisi pandemica ci sarà una nuova distribuzione della ricchezza e ci saranno fasce di popolazione che dovranno essere aiutate in riferimento al veicolo principale che a mio avviso e di molti altri è il più adatto ad uscire dalle condizioni di disagio e povertà che naturalmente è il lavoro. Non per tutti ovviamente è così, ci sono casi in cui ci sono difficoltà oggettive nella occupabilità, ma nella stragrande maggioranza dei casi il RDC non può che essere una fase-ponte per avviare il processo di inclusione attiva e rendere prima occupabile e poi occupato il soggetto interessato alla prestazione».

Il fatto però che ci sia sostanzialmente una possibilità di scelta tra il decidere di andare a lavorare rinunciando alla prestazione e il continuare a percepirla lavorando a nero rappresenta forse una falla in quello che era il progetto del RDC?

«Quando si parla di inclusione attiva significa parlare di un programma al quale la persona che riceve sostegno deve attivamente partecipare. In mancanza di questa attivazione positiva da parte del soggetto dovrebbero scattare quegli allarmi prima e quelle sanzioni poi per chi si rifiuta, evita o sfugge alla compartecipazione al programma di inclusione. Tutta questa seconda parte è fragile, è debole e inevitabilmente e per fortuna l’unico e ultimo intervento è quello delle Forze dell’ordine, ma non può essere una norma. Drenare il bacino del rischio in persone che impropriamente non vengono coinvolte attivamente non può essere affidato solo ed esclusivamente all’Autorità giudiziaria o alle Forze dell’ordine. Ci deve essere una fase più socio-lavorativa che fa sì che questo bacino si riduca al minimo essenziale. Se il soggetto percepisce Reddito di cittadinanza il soggetto deve sapere, deve essere messo in condizioni periodicamente di essere avvicinato, accompagnato, riqualificato per renderlo un soggetto attivo, e questa fase rende concorrenziale anche l’aspetto dell’inserimento lavorativo rispetto alla semplice elargizione, tenendo conto che è vero che in termini economici sci sono offerte di lavoro scarsamente competitive col Reddito di cittadinanza, ma è bene sapere che è vero che per qualche mese svolgere una attività professionale può non avere una grande differenza rispetto all’importo economico, è fase una formativa di crescita delle persone fondamentale. Rappresenta la migliore occupabilità sia in termini di lavoro più redditizio che di percorso di qualificazione che lo può portare nel tempo ad accorciare il periodo di inserimento graduale e poi piano piano lo conduce a una stabilizzazione e gratificazione professionale ed economica». C’è chi si chiede cosa abbiano realmente fatto i navigator in questo periodo…

«Purtroppo tutto è difficilmente verificabile a fronte di mesi di stasi sostanziale del mercato del lavoro. Stasi dovute anche a scelte di blocco di licenziamenti ed erogazione di ammortizzatori sociali. Questo ha un po’ fermato le dinamiche del mercato del lavoro. A fronte di una stragrande maggioranza di imprese che ha sostanzialmente “subito” il congelamento della propria forza lavoro ha semplicemente fatto una operazione in quella fase di non rinnovo dei contratti a termine in attesa di un miglioramento delle condizioni economiche del paese e dei singoli settori».

Gli Ammortizzatori sociali. Anche in Basilicata, dopo il ritorno della cig in deroga, in molti si pongono una domanda: cosa accadrà quando questi provvedimenti straordinari non saranno più erogati? Cosa accadrà quando sarà rimosso il blocco dei licenziamenti?

«Veramente complicato oggi prevedere. Io sarei molto cauto perché l’effetto pandemico ancora si farà sentire. Ovviamente in una situazione di progressiva riduzione ci sarà una auspicabile ripresa dei settori più colpiti, soprattutto ristorazione e turismo. Attendiamo di verificare come sarà andata la stagione estiva, ma quando si parla di questi settori bisogna tener conto che ci sta tutta una filiera di fornitura di prodotti che sono anche di carattere industriale. Anche in Basilicata ci sono realtà importanti per quel che riguarda l’accoglienza turistica. Penso al Metapontino, a Matera, a Maratea. È chiaro che un albergo si rifornisce da produttori o trasformatori di prodotti alimentari. Quindi significa che dietro al turismo e al terziario c’è anche un pezzo di industria. Ora è ancora presto, è difficile capire l’impatto eventuale in quei settori dove finisce il blocco dei licenziamenti, se si parte con ulteriore cig o cessazione. Ulteriore cig significa che l’azienda reagisce alle difficoltà temporanee con quell’ammortizzatore, vuol dire che è convinta che si può ripartire e non vuole disperdere la sua forza lavoro. L’effetto più traumatico potrebbe invece avviare un pericoloso processo di chiusura totale o di ridimensiona-mento. Però credo sia veramente presto per capire. Certamente le prime vittime dal punto di vista occupazionale sono stati i lavoratori a termine, che sono la parte più mobile del mercato del lavoro, la parte più a rischio».

Il personale dell’INPS ha fronteggiato l’emergenza. Ci è riuscito comunque nonostante la sproporzione con i carichi di lavoro straordinario e si attende la messa in servizio di nuove forze. In questi mesi si è dovuta operare una vera e propria riconversione di personale per poter fronteggiare questa enorme mole di lavoro accessorio che ha interessato impiegati che non avevano mai operato nel campo degli ammortizzatori sociali. Cosa pensa nel merito il Presidente del Civ?

«È ovvio che il personale, soprattutto nei mesi della chiusura totale, attraverso l’attività da remoto ha svolto una attività straordinaria. Non c’è dubbio. Questo mi porta a ringraziare senza demagogia e ruffianeria le organizzazioni sindacali che per me rimangono soggetti fondamentali nel mediare tra le amministrazioni il benessere dei lavoratori. A me non piace quando ci si rivolge direttamente al popolo culturalmente. penso che l’intermediazione, il filtro, la rappresentanza, ancora di più oggi hanno una funzione imprescindibile, quindi il primo ringraziamento ai sindacati che hanno svolto una attività fonda-mentale. Credo bisognerà assumere una serie di insegnamenti da questa esperienza. Alcune esperienze derivanti da questa fase potranno essere utili ad un ulteriore miglioramento dell’attività e dell’efficienza dell’Istituto. In particolare penso sia assolutamente maturo quello che in una azienda privata si chiamerebbe un nuovo piano industriale, riguardo sostanzialmente l’incrocio tra attività amministrativa tradizionale e innovazione tecnologica. La fase pandemica ci ha dimostrato con alti e bassi, con momenti di difficoltà superati anche parzialmente che alcune attività possono essere svolte da remoto. Questo piano industriale dovrebbe distinguere con nettezza quelle attività centralizzabili, che si possono sviluppare tramite innovazione tecnologica da remoto e definire con nettezza e chiarezza la funzione delle istituzioni di prossimità a partire dalle Agenzie e, a salire, alle sedi provinciali e regionali. Per investire, dirottare risorse umane su funzioni non meccaniche, ma più legate all’utilizzo dell’intelligenza di fronte a prestazioni soggettive in cui l’utente ha una necessità di informazione, consiglio, accompagnamento che non può essere fatta da un algoritmo, da una macchina. E i carichi di lavoro devono essere gestiti con intelligenza dal territorio. La vicinanza dell’Istituto alle persone rimane fondamentale, anche presumibilmente con forme diverse, ma in sostanza non ci deve essere l’abbandono del territorio. non sarà tutto come prima, ci sarà possibilità di individuare funzioni e attività più proprie della sede territoriale ed altre che possono esser svolte da realtà anche lontane anche fisicamente, ma non digitalmente».

Ma il personale? La forza lavoro? È sufficiente? I numeri delle uscite non sono numericamente da sottovalutare.

«Ovvio che abbiamo ampiamente esaurito il bonus delle assunzioni 2019. Uscite e pensionamenti dall’Istituto hanno disper-o quell’importante pacchetto di nuove risorse umane che sono entrate. Di qui tutta l’urgenza di avviare immediatamente un concorso. Aggiungo una attenzione particolare alle aree professionali. L’Istituto ha deficit pesanti sull’Area legale, sull’Area medica, ma ha bisogno anche di tecnici, geometri e ingegneri. La questione delle Sedi è vitale per l’ottimizzazione delle risorse dell’Istituto. Questo è il quadro, speriamo ci siano risposte rapide e urgenti».

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