IL MITO DI BOLOGNA AI TEMPI DELL’UNIVERSITÀ

Scrivo questa “lettera” poco distante da via Zamboni, a Bologna – sono venuto qui per lavoro. Quand’ero ragazzo, Bologna aveva qualcosa di mitico.
Sopratutto gli studenti più grandi di Viggianello me ne parlavano come di un paradiso della controcultura e dell’impegno politico – e all’epoca, non solo per me, questi erano aspetti fondamentali. Per anni fui indeciso se andare a studiare a Bologna o a Roma; alla fine optai per Roma. Ma a Bologna ci sono sempre venuto, perché qui c’erano gli amici di giù, sopratutto quelli più impegnati. Ora mi sono fermato in un caffè, ma fino a poco fa ho camminato a zonzo
ricordando quei viaggi di gioventù a metà degli anni ‘90. E’ buffo, ma il ricordo più intenso che serbo di Bologna è invernale – ed è buffo perché oggi quasi non si respira, per quanto fa caldo. Era il 1997, e all’epoca ogni tanto mi capitava di andare a lavorare a Berna, in un’officina geologica. Con me veniva sempre
Nicola Puppio, migliore amico della mia giovinezza, anche lui di Viggianello.
Una sera d’inverno ci demmo appuntamento a Bologna – avremmo proseguito per la Svizzera l’indomani, in treno. Arrivai da Roma sul tardi. Quella notte Bologna era gelida, d’un gelo indimenticabile. Nicola venne a prendermi in
bicicletta, e mi portò a casa sua, che però era in periferia. Mi misi dietro di lui e ricordo questo lungo attraversamento notturno di Bologna con addosso uno zaino pesantissimo. Sarebbe stato bello aver fatto il ‘77, il Dams, il movimentismo giovanile, Radio Alice, ecc., e invece di quella Bologna così impegnata e libera e tumultuosa posso solo ricordare un gelido viaggio notturno
sulla bicicletta di Nicola. Nemmeno a parlare riuscivamo, per quanto faceva freddo. Smetto di scrivere e osservo gli studenti che affollano questa parte della città – e penso con un po’ di rammarico che in me, purtroppo, il bisogno è
sempre prevalso sull’impegno.

diconsoli@lecronache.info