Le zone costiere sono in pericolo
Tutti gli strumenti normativi per l’ambiente marino e costiero hanno un denominatore comune: promuovono e richiedono l’elaborazione e lo sviluppo di un “meccanismo” di coordinamento tra i settori economici, amministrativi e culturali, finalizzati alla protezione dell’ambiente marino e allo sviluppo sostenibile delle zone costiere
Molte zone costiere rischieranno di essere sommerse a causa dell’innalzamento del livello dei mari
Il Mediterraneo, in particolare, essendo un mare chiuso, ha un equilibrio molto fragile, anche dal punto di vista dell’inquinamento.
In questo anno caratterizzato dall’emergenza Covid-19 tutti gli altri problemi sembrano inevitabilmente destinati a ricoprire un ruolo secondario nelle scelte dei governi, come pure dell’Europa. Le proteste di Greta Thunberg e dei ragazzi di Fridays for Future che avevano mobilitato il mondo intero incoraggiando impegni internazionali oggi sembrano una scialba cartolina dell’ambientalismo. Magari basterebbe fermarsi a pensare che se con il vaccino si verrà fuori da questa pandemia, contro il cambiamento climatico non esiste un vaccino se non quello dell’intelligenza e del rispetto dell’ambiente. Cominciamo a lavorarci.
MARE E AMBIENTE COSTIERO
Fonte :
Introduzione
La particolare morfologia della nostra Penisola determina la suddivisione del Mediterraneo in due bacini principali che si possono considerare semichiusi.
Il primo è quello del Mediterraneo occidentale, delimitato dal canale di Sicilia e caratterizzato da ampie piane abissali, il secondo, il Mediterraneo orientale, è molto più irregolare e dominato dal sistema della dorsale mediterranea.
La costa italiana ha una lunghezza di circa 8.300 km. Nella determinazione della lunghezza sono considerati anche tratti di costa rettilinei introdotti in corrispondenza delle foci dei fiumi e delle strutture portuali e marittime (costa fittizia) e tratti di costa artificiali con strutture permanenti realizzate a ridosso della costa. Più del 9% di costa è ormai artificiale, delimitata da opere radenti la riva (3,7%), porti (3%) e strutture parzialmente sovraimposte al litorale (2,4%).
Figura 5.1: Mappa delle coste italiane: alte e basse1
La costa italiana ha una lunghezza di circa 8.300 km.
1 Fonte: ISPRA, Elaborazione della copertura territoriale disponibile con le ortofoto del volo IT2006
La costa naturale (Figura 5.1) è circa 7.500 km. Più di un terzo sono coste alte che si sviluppano, secondo varie morfologie, con tratti rocciosi molto spesso articolati e frastagliati, presenti prevalentemente sulle due isole maggiori, Sardegna e Sicilia, e sulle regioni tirreniche, Liguria, Toscana e Campania.
Le coste basse, sabbiose e rocciose, sono generalmente diffuse su tutti i fronti costieri, spesso si alternano a tratti alti rocciosi o sono racchiuse tra due promontori, con eccezione della costa adriatica costituita quasi esclusivamente da lunghi tratti rettilinei di litorali sabbiosi o deltizi e dai più estesi ambienti lagunari del Paese (vedi box di approfondimento Laguna di Venezia).
Circa il 70% delle coste basse è costituito da spiagge sabbiose o ghiaiose, per una lunghezza complessiva di 3.270 km e una superficie territoriale di oltre 120 km2.
Le spiagge italiane sono generalmente ampie (alcune decine di metri), presenti soprattutto sul fronte adriatico.
L’Emilia-Romagna e il Veneto hanno le spiagge più ampie; la Sicilia è la regione con il maggior numero di chilometri di litorali sabbiosi, mentre la Calabria ha il maggior numero di km2 di spiagge, pari al 20% della superficie nazionale.
L’ambiente costiero è un ecosistema dinamico in cui processi naturali e di origine antropica si sommano e interagiscono modificandone le caratteristiche geomorfologiche, fisiche e biologiche e i litorali sabbiosi sono i territori più vulnerabili, dove maggiormente si manifestano dette evoluzioni.
La continua movimentazione dei sedimenti a opera del mare (correnti, maree, moto ondoso, tempeste) sottopone i territori costieri a continui cambiamenti, che si evidenziano con nuovi assestamenti della linea di riva e con superfici territoriali emerse e sommerse dal mare, riscontrabili anche nell’arco di una stagione.
L’azione del mare è contrastata principalmente dall’apporto fluviale di materiale detritico, riutilizzato per il naturale ripascimento dei litorali ghiaiosi o sabbiosi, e da tutti quegli interventi, come opere idrauliche e marittime, che costituiscono uno sbarramento al progressivo apporto di sedimenti alla foce dei fiumi e un ostacolo al loro flusso litoraneo. Negli ultimi decenni i litorali italiani hanno subito significative evoluzioni geomorfologiche ed è ormai nota una predominanza dei fenomeni di erosione costiera di origine prevalentemente antropica.
7.500 km di costa naturale.
Il 70% delle coste basse è costituito da spiagge sabbiose o ghiaiose, per una lunghezza di 3.270 km e una superficie di 120 km2.
Dinamica litoranea.
Tabella 5.1: Variazioni dell’assetto della linea di riva, per le sole coste basse, nei periodi 1950/1999 e 2000/20072
Dal 1950 al 1999, il 46% delle coste basse ha subito modifiche superiori a 25 metri.
Nel periodo compreso tra il 2000 e il 2007, il 37% dei litorali ha subito variazioni superiori a 10 metri e i tratti di costa in erosione (897 km) sono ancora superiori a quelli in progradazione (851 km).
Costa
Stabile
Modificata 2.227
Erosione Avanzamento
1950/1999 2000/2007 (variazioni >+/-25m) (variazioni >+/-10m)
km % km %
49% 2.832 60%
46% 1.747 37%
1.170 24% 897 19% 1.058 22% 851 18%
2.387
248 5%
4.862 100%
Dal 1950 al 1999,
superiori a 25 metri
aree che con opere di colmamento sono state sottratte al mare e nel corso degli anni parzialmente rinaturalizzate, i tratti di costa in erosione (1.170 km) sono superiori a quelli in avanzamento.
L’analisi delle variazioni dell’assetto della linea di riva nel periodo compreso tra il 2000 e il 2007 ha confermato tale tendenza: il 37% dei litorali ha subito variazioni superiori a 10 metri e i tratti di costa in erosione (897 km) sono ancora superiori a quelli in progradazione (851 km). In Figura 5.2 è riportato un esempio di rilievo delle variazioni nei periodi analizzati su un tratto di litorale in evidente e progressivo stato di erosione.
Figura 5.2: Tratto di costa in erosione in storica progressione (Sinni – Basilicata)3
2 Fonte: ISPRA. La differenza di lunghezza totale di coste basse è determinata dalla variazione degli assetti della linea di riva, dall’esclusione delle aree di colmamento artificiale, seppure parzialmente naturali, considerate al 1999, dalle ulteriori opere marittime e di difesa realizzate tra il 2000 e il 2007 e dall’esclusione di ulteriori aree mascherate emerse con le ortofoto del volo IT2006
3 Fonte: Elaborazione ISPRA. Rilievi aerei del volo IT2006 e sovrapposizione dell’assetto della linea di riva rilevata dai mosaici delle tavole IGM 1:25.000 e delle spiagge rilevate dalle ortofoto del volo IT2000 e del volo IT2006
Non definito
TOTALE
143 3%
4.722 100%
il 46% delle coste basse ha subito modifiche e, pur avendo considerato in progradazione quelle
Le variazioni dell’assetto della linea di riva presentano evidente e progressivo stato di erosione, specie alla foce dei fiumi.
In termini di superficie, dal 1950 al 1999 ben 54 km2 hanno subito una significativa erosione (superiore a 25 m) e il bilancio complessivo tra le aree in arretramento e in avanzamento è comunque negativo, con una perdita definitiva di territorio costiero di circa 5 km2. L’arretramento della linea di riva e la perdita di superfici marino – costiere sono particolarmente evidenti e profonde in corrispondenza delle foci dei fiumi. Interi arenili sono fortemente arretrati, con una perdita di territorio e del suo valore sia dal punto di vista ambientale sia economico, inoltre, molti sono i casi in cui l’erosione dei litorali ha messo in crisi la sicurezza di abitazioni, strade e ferrovie, specie in caso di mareggiate.
Nonostante i numerosi interventi di conservazione e ripristino dei litorali, le spiagge continuano a perdere superficie. Tra il 1999 e il 2007 le spiagge italiane hanno perso 16 km2 a fronte di 15,2 km2 di aree in progradazione. Il bilancio tra le variazioni contrastanti (progradazione e arretramento) e la stabilità dei litorali è ancora negativo (Tabella 5.2), inoltre la differenza tra la superficie delle spiagge in Italia nel 1999 (122,2 km2) e nel 2007 (121,6 km2) ha evidenziato che ulteriori 600.000 m2 di arenili sono andati persi. Alcuni arenili si sono ulteriormente ristretti o, come illustrato in Figura 5.2, in alcuni casi si sono riposizionati verso l’entroterra.
Tabella 5.2: Variazione delle spiagge nel periodo 1999/20074
km % km2
Nonostante gli interventi di conservazione e ripristino dei litorali, tra il 1999 e il 2007, le spiagge italiane 2 hannoperso16km a fronte di 15,2 km2 di aree in progradazione.
Il bilancio tra le variazioni contrastanti (progradazione e arretramento) e la stabilità dei litorali è ancora negativo.
Circa il 30% della popolazione italiana vive nei 646 comuni costieri.
Spiagge 3.271 Stabilità 1.499 Arretramento 882 Avanzamento 851 Non definito 39
100% 121,6 46%
27% 16,0 26% 15,2
1%
Le aree costiere sono i territori maggiormente occupati da insediamenti urbani e da attività economiche e produttive; negli ultimi decenni l’elevata densità di popolazione e di attività ha aumentato l’attenzione sui processi evolutivi litoranei, specie di tipo erosivo.
La densità di popolazione sulle coste è in misura più che doppia rispetto alla media nazionale, senza tener conto dei flussi stagionali e delle presenze turistiche. Dai dati ISTAT emerge che il 30% della popolazione italiana vive stabilmente nei 646 comuni costieri, ossia su un territorio di 43.000 km2, pari a circa il 13% del territorio nazionale. All’elevata densità di popolazione corrispondono numerosi insediamenti urbani, economici e produttivi, che in molte zone hanno modificato e alterato notevolmente le caratteristiche naturali e ambientali del territorio.
Le principali infrastrutture di trasporto terrestri si sviluppano, anche per l’orografia del territorio, a poca distanza dalla costa e la posizione strategica dell’Italia nel Mediterraneo ha storicamente favorito il trasporto e gli scambi commerciali marittimi.
4 Fonte: ISPRA
In Italia, l’occupazione del suolo in aree costiere è più elevata rispetto al resto del territorio nazionale; dall’analisi dei dati del Corine Land Cover, aggiornati al 2006, è emerso che il territorio occupato con strutture urbane nella fascia di 10 km dalla riva è pari al 9,2%, mentre nel resto del territorio nazionale è del 5,8%. L’artificializzazione con strutture abitative e di trasporto in aree costiere è in progressivo aumento e, tra il 2000 e il 2006, si è registrato in generale nei paesi europei un incremento relativo del 5% nell’area a 10 km dalla riva5.
Se poi si osserva il fenomeno dell’urbanizzazione nei territori più prossimi alla costa, le percentuali di suolo occupato aumentano esponenzialmente.
Il 34% del territorio nazionale compreso nella fascia dei 300 m dalla riva, area che la normativa annovera tra i beni da tutelare per il loro valore paesaggistico (D.Lgs. 42/2004 e s.m.i.), è urbanizzato, per un valore complessivo di 696 km2.
Le regioni centro-adriatiche, con un processo di urbanizzazione che si è sviluppato prevalentemente negli ultimi 50 anni, hanno occupato oltre la metà del territorio entro i 300 metri dalla riva (Abruzzo: 62%, Marche: 59%, Emilia-Romagna: 55%). Altre zone dell’Italia presentano una condizione più articolata, composta da grandi aree abitative, solitamente collegate ai centri urbani marittimi (Trieste, Napoli, Catanzaro, Catania), ma connesse anche a tratti di costa naturale, libera da edifici e opere, con evidenze maggiori in Sardegna, che nel complesso presenta la minore concentrazione di nuclei e centri abitati costieri.
Figura 5.3: Spiaggia con limite interno parzialmente occupato da strutture abitative (Molise)6
5 EEA, 2010, The European Environment – State and outlook 2010, Report 1/2010 6 Fonte: ISPRA
In Italia, nel 2006, il territorio occupato con strutture urbane nella fascia di 10 km dalla riva è pari al 9,2%, mentre nel resto del territorio nazionale è del 5,8%.
Come si evince dall’esempio in figura, l’azione antropica ha interferito sempre di più nei naturali processi litoranei. L’irrigidimento del limite interno delle spiagge con strutture artificiali permanenti, sia di tipo urbanistico sia marittimo, ha condizionato la dinamica e le caratteristiche ambientali di molti litorali.
Come mostra l’esempio in Figura 5.3, l’azione antropica ha interferito sempre di più nei naturali processi litoranei, per trarne vantaggio o per salvaguardare i beni a rischio. L’irrigidimento del limite interno delle spiagge con strutture artificiali permanenti, sia di tipo urbanistico sia marittimo, ha condizionato la dinamica e le caratteristiche ambientali di molti litorali.
Il 53% del limite interno delle spiagge è ormai artificiale e il relativo 87% è rappresentato da tessuto urbano denso dei centri abitati e prevalentemente da abitazioni sparse, spesso con nuclei abitativi adibiti a seconde case e destinate al turismo balneare.
Limite di retrospiaggia (tipo)
Naturale
46,80 %
Artificiale
53,20 %
Limite di retrospiaggia (artificiale)
6,59%
Urbano denso Strutture balneari
6,41% 21,38 %
65,62 %
Urbano sparso Infrastrutture viarie
Figura 5.4: Distribuzione del tipo di retrospiaggia (a) e del tipo artificiale (b)7
In Italia, più di 300 km di coste, inoltre, sono occupati da circa 700 porti e da opere marittime minori, ossia pontili e banchine semplici come quelle dei piccoli approdi turistici.
In Italia, oltre 300 km di coste sono occupati da circa 700 porti e opere marittime minori.
Le opere marittime connesse al sistema portuale nazionale si sviluppano per una lunghezza complessiva di circa 2.250 km; di cui 615 km (27%) sono destinati a strutture commerciali e industriali, alle attività cantieristiche e quelle asservite all’industria, e circa 1.415 km (63%) è costituito da porti, porticcioli ecc.
Il 27% delle opere marittime è rappresentato da porti industriali e commerciali, il 63%
Il 53% del limite interno delle spiagge è artificiale.
porti militari 2%
porti industriali e commerciali 27%
porti canali 4%
opere marittime minori 8%
porti e porticcioli 59%
Figura 5.5: Percentuale dello sviluppo in km delle opere marittime per tipo8
Le opere marittime connesse al sistema portuale nazionale (l’insieme delle banchine, dei pontili, dei moli, delle dighe foranee) si sviluppano per una lunghezza complessiva di circa 2.250 km; di cui 615 km (27%) sono destinati a strutture commerciali e industriali, adibite prettamente alla movimentazione delle merci, alle attività cantieristiche e quelle asservite all’industria, e circa 1.415 km (63%) è costituito da porti, porticcioli e porti canale che svolgono funzione di terminal traghetti e crociere, di porto peschereccio o da diporto, spesso coniugando insieme queste funzioni in strutture polifunzionali (Figura 5.5).
Dal 2000 al 2007 sono stati realizzati e completati 34 nuovi porti, occupando altri 13 km di costa, per uno sviluppo complessivo di 70 km, e ulteriori 7.500 posti barca9.
I nuovi impianti portuali sono prevalentemente adibiti a ospitare imbarcazioni per la navigazione da diporto; infatti, 21 sono porti prettamente turistici (in Figura 5.6 ne è riportato un esempio), 9 sono riservati ad attività di diporto e pesca e solo i restanti svolgono funzioni esclusive di porto peschereccio, commerciale o di trasporto passeggeri.
da porti, porticcioli e porti canale.
Tra il 2000 e 2007, realizzati e completati 34 nuovi porti.
Figura 5.6: Nuovo porto turistico di Rimini10
Nello stesso periodo, tuttavia, 181 delle aree portuali esistenti, compresi i grandi sistemi portuali del paese, come Genova, Napoli, Civitavecchia, Ancona (Figura 5.7), sono state ampliate o ristrutturate e alcuni interventi sono ancora in corso.
9 http://www.pagineazzurre.com/italian/porti
10 Fonte: ISPRA. Rilievi aerei del volo IT2000 e IT2006 e sovrapposizione dell’assetto della linea di riva rilevata al 2006
Figura 5.7: Porto di Ancona, esempio di ampliamento del porto, con trasferimento del porto turistico e realizzazione del nuovo scalo commerciale11
Gli interventi sulle aree portuali hanno previsto lavori molto diversi, che vanno dall’ampliamento di piccoli porticcioli alla completa trasformazione d’uso di grandi strutture, come nel caso dell’ex-base NATO della Maddalena, che si va riconvertendo in polo turistico. In questi anni i lavori a mare hanno riguardato le ristrutturazioni necessarie prevalentemente per far spazio a nuove marine turistiche (Genova, Cagliari, Ravenna, ecc.), per migliorare l’approdo di traghetti e navi da crociera (Palermo, Civitavecchia, ecc.) e per aumentare il traffico merci.
I fenomeni connaturati all’ambiente costiero, che si manifestano con erosione dei litorali, inondazioni ed eventi meteo-marini eccezionali, rappresentano una minaccia per gli insediamenti urbani prospicienti la riva, in cui sono messe a rischio abitazioni, infrastrutture e attività economiche.
In Italia, infatti, il rischio nelle zone costiere è essenzialmente collegato a fenomeni di erosione e a eventi di tempeste e inondazioni, rilevanti soprattutto per le coste basse e sabbiose e per le pianure alluvionali costiere.
Per fronteggiare il problema negli anni sono stati realizzati numerosi interventi per mitigare localmente i processi di erosione costiera e per proteggere abitazioni e infrastrutture di trasporto.
Nei casi più gravi sono state realizzate opere rigide aderenti la riva, in altri sono state adottate e sperimentate soluzioni alternative, come pennelli, scogliere o soluzioni miste, con l’obiettivo principale di interferire sulla dinamica litoranea in corso, favorire la sedimentazione e limitare la forza d’urto delle mareggiate sulle coste. Le caratteristiche geomorfologiche dei litorali, l’esposizione a fenomeni meteo-marini e all’intensità delle mareggiate, sono i parametri che hanno influenzato
In Italia, il rischio nelle zone costiere è collegato a fenomeni di erosione ed eventi di tempeste e inondazioni.
Sono stati realizzati interventi di protezione per mitigare i processi erosivi e proteggere le abitazioni e le infrastrutture.
la scelta del tipo di interventi e le risorse impegnate.
Lunghi tratti di costa delle regioni costiere sono protetti con opere rigide e le regioni adriatiche centrali sono quasi completamente protette da opere di difesa radenti la riva o distanti fino ad alcune centinaia di metri.
I litorali stabilizzati artificialmente sono aumentati progressivamente e, nonostante il ricorso negli ultimi anni alla pratica del ripristino di spiagge mediante ripascimento artificiale, con riporto di sabbia prelevate dagli alvei dei fiumi o da depositi in mare, tra il 2000 e il 2007 sono stati realizzati ulteriori interventi di protezione (250 tra pennelli, foci armate e opere miste), opere radenti (più di un chilometro) e nuove scogliere (16 km).
Gli interventi di difesa, realizzati con l’obiettivo principale di ostacolare la crescente erosione e stabilizzare le spiagge, non hanno sempre garantito il risultato atteso, spesso hanno trasferito i processi erosivi sui tratti contigui e, in molti casi, contribuito al processo di artificializzazione e di degrado degli habitat marino-costieri.
Una tecnica alternativa in grado di garantire una buona risposta all’erosione costiera, sotto il profilo ambientale ed economico, è il 267inascimento. Consiste nel ricostruire la spiaggia erosa immettendo materiale idoneo (sia dal punto di vista granulometrico, sia composizionale). Quest’ultimo, negli anni passati, è stato prelevato da cave terrestri e, solo in alcuni casi, da cave fluviali o marine. Negli ultimi anni, la ricerca di nuove fonti di materiale da utilizzare per il 267inascimento di litorali in erosione ha privilegiato lo studio dei fondi marini. Sulla piattaforma continentale si possono, infatti, trovare depositi di sabbie relitte (generalmente riferibili ad antiche spiagge), che possono essere utilizzati per il 267inascimento. L’impiego delle sabbie relitte, per questa tipologia di intervento, comporta alcuni vantaggi come la disponibilità di elevate quantità di sedimenti (milioni di m3), composizione simile alla sabbia dei nostri litorali, limitati effetti sull’ambiente e costi contenuti. Questi materiali, situati lungo la piattaforma continentale tra 30 e 130 metri di profondità, vengono recuperati mediante operazioni di dragaggio.
In Italia le prime attività di dragaggio di sabbie relitte risalgono al 1994 per i ripascimenti delle spiagge di Cavallino e Pellestrina (Venezia). Dal 1994 a oggi sono stati utilizzati circa 6.000.000 m3 di sabbia provenienti da un deposito al largo tra le foci dei fiumi Tagliamento e Adige a circa 20 m di profondità.
Nel mar Tirreno, invece, le prime attività di dragaggio sono state quelle relative allo sfruttamento di un deposito di sabbie relitte presente al largo di Anzio (Roma), utilizzate per il ripascimento del litorale di Ostia nel 1999. Dragaggi di sabbie relitte a fini di ripascimento sono stati anche condotti al largo di Ravenna (2002 e 2007) e al largo di Civitanova Marche (AP) (2006).
Oltre agli interventi di ripristino e protezione dei litorali, la crescente esigenza di approvvigionamenti energetici e la necessità di collegare la terraferma con l’ambiente offshore hanno portato alla progettazione e all’utilizzo di condotte e i cavi sottomarini che consentono un trasporto efficace, continuo e affidabile delle risorse.
Aumento progressivo dei litorali stabilizzati artificialmente: tra il 2000 e il 2007, sono stati realizzati ulteriori interventi di protezione e nuove scogliere.
Il 267inascimento continua a essere una tecnica alternativa per il ripristino dei litorali in erosione.
Le prime attività di ripascimento, in Italia, risalgono al 1994 e sono relative alle spiagge di Cavallino e Pellestrina (Venezia).
Nel mar Tirreno, i primi ripascimenti hanno interessato il litorale di Ostia (Roma), nel 1999.
I progressi nella tecnologia dei cavi sottomarini, il veloce tasso di ritorno degli investimenti effettuati e la capacità di ricavare energia da sistemi idroelettrici o eolici hanno reso i collegamenti sottomarini estremamente attraenti, dimostrando di essere di gran lunga il mezzo più economico per il trasporto a larga scala di greggio, gas naturale e dei i loro prodotti.
Al fine di limitare i fattori di rischio, l’interramento delle condotte e dei cavi, posati sul fondo marino, è diventata ormai prassi diffusa, dettata anche da esigenze di sicurezza e di normativa giuridica.
In ogni caso, la realizzazione di infrastrutture di collegamento deve, necessariamente, tenere in considerazione l’impatto ambientale generato, in relazione alle attività di scavo della trincea e successivo ricoprimento per la messa in posa ed esercizio delle stesse.
La sottrazione e modificazione temporanea delle biocenosi nell’area di scavo, la risospensione dei sedimenti e l’eventuale messa in circolo di sostanze contaminanti, lo stress ambientale degli organismi marini, la diminuzione dell’attività di fotosintesi, il peggioramento dello stato di salute di praterie di fanerogame o di ecosistemi sensibili situati in prossimità della trincea sono tra i principali impatti ambientali connessi alla messa in opera di tale tipologia di infrastrutture.
Da quanto premesso emerge chiaramente che qualunque intervento in mare o in ambiente costiero non può prescindere da una concreta e solida conoscenza dei processi fisici e biologici di questi ambienti.
Il livello del mare, l’altezza e il periodo delle onde, le correnti, la pressione atmosferica, il vento, la temperatura sono i parametri di base per la caratterizzazione dei regimi mareali e ondosi dei mari italiani e della dinamica marina lungo le coste. I dati rilevati e raccolti dalle reti di misura mareografica (RMN) e ondametrica (RON) dell’ISPRA, opportunamente elaborati e analizzati statisticamente, forniscono una grande quantità di informazioni a scala locale e regionale sullo stato del mare, ad esempio le variazioni di marea, la caratterizzazione delle direzioni prevalenti delle onde di mareggiata, la distribuzione delle massime altezze, la elaborazione statistica delle mareggiate del passato, la stima della probabilità associata alle altezze d’onda attesa per ogni singola locazione e, quindi, la valutazione del rischio.
Nel mar Mediterraneo l’ampiezza massima delle maree è mediamente 45 cm, a differenza dei paesi nel nord Europa dove può superare i 10 metri, e le oscillazioni di marea sono di tipo semidiurno misto, con due massimi e due minimi durante la giornata, che si susseguono con valori diversi nel corso del mese con maree minori e maggiori.
Relativamente ai bacini che bagnano le coste italiane, le maree hanno una periodicità media di 6 ore fra una bassa e un’alta marea e le escursioni sono abbastanza limitate, comprese mediamente tra i 30-70 cm. In Figura 5.8 è riportato un esempio dell’andamento di marea registrato alla stazione di Ancona.
Lo stato del mare è caratterizzato dai parametri fisici: livello del mare, altezza e periodo delle onde, correnti, pressione atmosferica, vento e temperatura.
Nel Mediterraneo, l’ampiezza massima delle maree è mediamente 45 cm.
Figura 5.8: Livello di marea registrato dal mareografo di Ancona12
Nell’Adriatico, che è un bacino semichiuso, si registrano i valori più alti di marea del Mediterraneo. Nell’alto Adriatico le ampiezze di marea possono superare anche il metro e, in particolari condizioni astronomiche e meteorologiche, quali forte vento di scirocco, si possono avere innalzamenti eccezionali del livello del mare, che provocano nella laguna veneta, sia per l’orografia della zona sia per le note problematiche di subsidenza, l’invasione del mare di ampi spazi terrestri per alcune ore, dando luogo al noto fenomeno di acqua alta a Venezia. Nel box di approfondimento sulla Laguna di Venezia viene descritto il fenomeno, le cause concomitanti e l’andamento rilevato negli ultimi 140 anni.
La dinamica e i processi del mare in acqua bassa sono influenzati, oltre che dalle correnti di marea, anche dal moto delle onde, generate prevalentemente dall’azione del vento.
Lo studio statistico delle direzioni caratteristiche delle onde prende il nome di “clima ondoso”. Le analisi più utili per lo studio del clima ondoso in un sito sono le distribuzioni statistiche dell’altezza significativa rispetto al periodo e alla direzione delle onde. Tali distribuzioni possono essere rappresentate graficamente come “rose dei venti”. Ad esempio, si può desumere in modo semplice quanti sono stati gli episodi, in 20 anni di rilevazioni, in cui le onde erano comprese tra 2 m e 2,5 m per mareggiate da Nord-Ovest. Infatti, il grafico permette di avere in una sola figura la distribuzione di tutte le possibili situazioni di altezze e direzioni.
Come si evince dalla Figura 5.9, in corrispondenza di ciascun punto di misura è possibile osservare la rosa dei venti che fornisce due diverse informazioni: la distribuzione angolare dell’altezza d’onda significativa e la frequenza degli eventi ondosi divisi per classi di altezza d’onda.
Il clima ondoso italiano ha due principali comportamenti: unidirezionale (come nel caso di La Spezia) o distribuito su due o più settori direzionali (come Ancona o Civitavecchia).Il mar Tirreno mostra una certa 269ni direzionalità degli eventi, mentre nello Ionio e nell’Adriatico sono sempre presenti dei climi almeno bimodali.
L’Adriatico presenta i valori più alti di marea.
12 Fonte: ISPRA
Andamento di marea alla stazione di Ancona.
Il clima ondoso è lo studio statistico della direzione delle onde.
Il clima ondoso italiano ha due principali comportamenti: unidirezionale (come nel caso di La Il Tirreno è soggetto, inoltre, ad altezze d’onda massime più alte di quelle presenti nell’Adriatico, questo trova ragione non soltanto nei regimi di vento intenso ma anche nella maggiore estensione delle aree in cui il vento è in grado di cedere energia alle onde.
Le onde più alte sono registrate dalla boa di Alghero; si osserva, inoltre, che ad Alghero è più alto anche il numero di episodi con onde superiori ad almeno 3 m (Figura 5.9). Il vento che genera la quasi totalità delle mareggiate nella Sardegna occidentale è il Maestrale, e i suoi effetti sono evidenti anche nel Tirreno centrale e meridionale. Ad esempio, il massimo assoluto di 9,8 m registrato dalla boa di Alghero si riferisce allo stesso evento registrato anche dalle boe di Cetraro (8,9 m) e di Ponza (7,9 m); si tratta della mareggiata del 28 dicembre 1999, denominata “la mareggiata del secolo” o “mareggiata di Natale”. Nell’Adriatico le mareggiate hanno spesso direzione da Nord o da Nord Est-Est, meno intense (massimo registrato delle onde 6,2 m), sebbene non siano rari casi con onde intorno a 3 m.
Figura 5.9: Clima ondoso lungo le coste italiane – La distanza radiale indica la probabilità di un evento nel corrispondente settore direzionale, il colore indica l’altezza d’onda significativa13
Il clima ondoso dei mari, con l’ausilio dei parametri delle onde rilevate dalle reti di osservazione, sintetizza il numero e l’intensità delle mareggiate a cui sono stati esposti i vari settori costieri, ma gli effetti distruttivi di alcuni eventi di tempesta e il rischio a cui sono sottoposte molte aree costiere rende sempre più necessaria l’analisi degli eventi estremi, per calcolare la probabilità nel lungo periodo che un determinato evento di tempesta si ripresenti.
Spezia) o distribuito su due o più settori direzionali (come Ancona o Civitavecchia).
Il mar Tirreno mostra una certa 270ni direzionalità degli eventi, mentre nello Ionio e nell’Adriatico sono sempre presenti dei climi almeno bimodali.
Il Tirreno è soggetto, inoltre, ad altezze d’onda massime più alte di quelle presenti nell’Adriatico.
13 Fonte: Elaborazione ISPRA su dati rilevati dalla Rete Ondametrica Nazionale
Lo studio degli eventi estremi consiste nell’individuazione delle serie di eventi massimi indipendenti dalle altezze d’onda registrate e nell’applicazione del metodo Peak Over Threshold (POT); il risultato dell’analisi permette di stabilire quanto tempo, in media, trascorre tra due eventi intensi (tempo di ritorno).
Questo metodo consente, inoltre, di stabilire con quale probabilità, in un periodo di tempo definito (ad esempio 25 anni), si presenterà un’onda più alta di 6 m o, all’inverso, una volta fissato un livello di probabilità del 95%, quale sarà l’onda più alta che si presenterà nell’arco di 25 anni (altezza di ritorno).
Nota:
Periodo di ritorno corrispondente al massimo valore osservato in 20 anni TM; livello di ritorno corrispondente a 35, 40, o 50 anni (Hs35, Hs40, Hs50), a seconda della estensione della serie temporale a disposizione.
Figura 5.10: Distribuzione degli eventi estremi lungo le coste italiane14
Generalmente nei mari occidentali italiani (Tirreno, Ligure, Canale di Sicilia, Mediterraneo centrale) le mareggiate sono più intense e più frequenti rispetto a quando accade lungo le coste orientali (Mar Adriatico e Ionio).
In funzione del numero medio di mareggiate per anno e delle massime altezze registrate è possibile distinguere tre zone:
Il mar Adriatico, caratterizzato da 12-15 episodi annui e altezze di
ritorno tra 5-6 m;
Il mar Ionio, caratterizzato da 8-15 eventi annui con altezze di
ritorno di circa 6 m;
Il mar di Sardegna, mar di Sicilia, Tirreno e mar Ligure,
caratterizzati da 12-20 episodi annui e altezze di ritorno oltre i 6,8m.
Lo studio degli eventi estremi (metodo Peak Over Threshold) consente di stabilire il tempo di ritorno di un evento e la sua probabilità di accadimento.
Il risultato dell’analisi degli eventi estremi permette di stabilire sia quanto tempo, in media, trascorre tra due eventi intensi (tempo di ritorno), sia con quale probabilità, in un periodo di tempo definito, si presenterà un’onda superiore a un’altezza prestabilita o, all’inverso, una volta fissato un livello di probabilità, quale sarà l’onda più alta che si presenterà nell’arco di tempo definito (altezza di ritorno).
Le mareggiate sono più frequenti nei mari occidentali italiani.
14 Fonte: Elaborazione ISPRA su dati rilevati dalla Rete Ondametrica Nazionale
Oltre al regime ondoso e di marea, altro parametro di base per l’analisi dei fenomeni fisici del mare è la temperatura delle acque marine: fattore essenziale per i movimenti delle masse oceaniche, alla stregua della temperatura e dell’umidità dell’aria per i movimenti atmosferici, e fondamentale per valutare i fenomeni di cambiamento climatico.
La superficie del mare assorbe gran parte dell’energia radiata dal sole. Notoriamente, tale energia si propaga per conduzione dagli strati superiori verso quelli inferiori più freddi, oppure per effetto convettivo dei moti turbolenti della massa fluida. Il processo di trasmissione termica, per sola conduzione, può essere praticamente trascurato nei fenomeni che si svolgono con ritmi diurni e annui, restando significativo soltanto negli equilibri lenti (quali sono quelli stabiliti nel corso di periodi geologici), mentre il fenomeno della convezione è enormemente più rapido ed efficace provocando aumenti di temperatura sensibili sino a centinaia di metri dalla superficie del mare.
Le serie dei valori di temperatura dell’aria e dell’acqua presentano caratteristiche molto simili tra loro, quali una forte autocorrelazione temporale e la presenza di componenti di natura stagionale e giornaliera, dovute alla variazione dell’irraggiamento solare. Il confronto diretto tra queste misurazioni, rilevate in mare aperto dalle boe della RON, permette di avere molte informazioni sui fenomeni termici della superficie dei mari e degli scambi di calore con gli strati superiori dell’aria, anche in assenza di osservazioni sulla forzante del fenomeno, l’irraggiamento solare.
A titolo d’esempio si riporta il confronto della temperatura dell’acqua marina e dell’aria rilevate nel ciclo annuale dalla boa di Ponza (Figura 5.11). Si evidenzia, infatti, che lo strato superficiale del mare subisce oscillazioni termiche limitate nel corso del riscaldamento annuale, per quanto enorme sia l’energia termica da esso assorbita. Il calore assorbito è perduto, in massima parte, negli scambi con l’aria, nell’evaporazione e nella trasmissione convettiva alle acque sottostanti; tuttavia il bilancio tra il calore assorbito e perso per effetto della radiazione solare è positivo e la temperatura media superficiale dell’acqua risulta maggiore di quella dell’aria sovrastante. Dalle misure effettuate mediante la RON, nei mari italiani la differenza termica fra acqua e aria è in media di circa 1,7 °C.
Note:
Temperature rilevate dai sensori della boa di Ponza, ormeggiata in mare aperto a 40°52’00’N di latitudine, 12°57’00’E di longitudine in corrispondenza di un fondale di 115 m
Figura 5.11: Temperature dell’acqua e dell’aria registrate dalla boa di Ponza15
La temperatura delle acque marine è un fattore essenziale per i movimenti delle masse oceaniche e per valutare i cambiamenti climatici.
Lo strato superficiale del mare subisce oscillazioni termiche limitate nel corso del riscaldamento annuale, per quanto grande sia l’energia termica assorbita. La differenza termica, nei mari italiani, tra acqua e aria è in media di circa 1.7 °C.
Per valutare le interazioni aria-acqua sulla superficie libera del mare che determinano lo scambio di calore è opportuno individuare ed eliminate tutte le componenti di stagionalità. Il cross-correlogramma delle serie storiche di temperatura media giornaliera di aria e acqua registrate dalla boa di Ponza (Figura 5.12°) evidenzia la presenza di una forte dipendenza tra temperatura dell’aria e dell’acqua, nonché la presenza di una componente stagionale annuale. Questa componente non viene eliminata se si considerano i soli residui ottenuti dalla differenza tra le temperature dell’aria e dell’acqua (Figura 5.12b), e mostra ancora dipendenza anche tra valori distanti nel tempo.
Figura 5.12: Cross-correlogramma delle variabili di temperatura (a) e dei residui (b) (boa di Ponza)16
Depurando le serie storiche dai rispettivi valori medi mensili è possibile, invece, individuare una debole correlazione dei residui (Figura 5.13°). Tali residui rappresentano la differenza tra la temperatura dell’acqua e quella dell’aria al netto dell’effetto stagionale, che dipendono da una serie di fattori meteo-marini, innanzi richiamati, in modo particolare dall’evaporazione, come evidenziato in Figura 5.13b, in cui sono messi in relazione i valori di umidità relativa e di temperature “destagionalizzate”.
Per valutare le interazioni aria- acqua sulla superficie libera del mare vanno individuate ed eliminate tutte le componenti di stagionalità.
Figura 5.13: Correlogramma dei residui delle temperature destagionalizzate (a) e confronto dei residui con l’umidità relativa (b) (boa di Ponza)17
16 Fonte: Elaborazione ISPRA su dati rilevati dalla Rete Ondametrica Nazionale 17 Fonte: Ibidem
Alla scala giornaliera, a differenza di quanto avviene nel suolo che si scalda e si raffredda intensamente nel corso del ciclo diurno, le masse acquee superficiali si scaldano e si raffreddano lentamente. L’ampiezza dell’escursione termica diurna varia con fattori dipendenti dalle condizioni geografiche del sito e dal grado di stabilità della stratificazione delle acque, ma anche in base a fattori locali come nuvolosità, tasso di umidità e vento.
In particolare, dalle analisi dell’escursione termica giornaliera della temperatura superficiale del mare e dell’aria soprastante, si è evidenziato che la variazione massima nel Tirreno è stata dell’ordine di 0,3 °C per l’acqua e di circa 1,8 °C per l’aria. In genere la temperatura dell’acqua marina, nella giornata, subisce variazioni dell’ordine di decimi di grado; i massimi termici avvengono intorno alle ore 15.00 circa. Si osserva, inoltre, che in mare aperto l’escursione diurna media non supera pochi decimi di grado, mentre in prossimità della costa si hanno valori maggiori, anche raddoppiati.
In ogni caso i valori massimi di temperatura dell’acqua si hanno quando il cielo è sereno, l’aria calma e l’altezza solare massima; i minimi quando il cielo è coperto, l’acqua agitata, l’altezza solare minima e l’oscillazione termica diurna dell’aria supera notevolmente quella dell’acqua superficiale.
Nel corso dell’anno le temperature seguono le variazioni della declinazione solare, crescendo con sole alto, diminuendo con sole basso sull’orizzonte. I massimi termici dell’acqua, però, sono ritardati più di quelli dell’aria; dai rilievi della RON si osservano massime temperature delle acque marine fra luglio e ottobre, con massime frequenze in settembre.
Nei mari che circondano la Penisola, sottoposti a influenze continentali, le oscillazioni termiche annue raggiungono circa 16 °C nel Tirreno e 22 °C nell’Adriatico, a fronte di una temperatura media, rispettivamente, di 19,5 °C e di 18,2 °C. In ogni caso, a parità di latitudine, le oscillazioni termiche marine sono molto minori di quelle proprie di aree continentali.
La variazione massima giornaliera nel Tirreno è stata dell’ordine di 0,3 °C per l’acqua e di circa 1,8 °C per l’aria.
Si osservano temperature massime delle acque marine fra luglio e ottobre.
Leoscillazioni termiche annue raggiungono i 16 °C nel Tirreno e 22 °C nell’Adriatico.
STATO ECOLOGICO DEL MARE
Il concetto di qualità ecologica dell’ambiente marino costiero è stato introdotto a livello normativo dalla Direttiva Quadro sulle Acque 2000/60/EC, recepita dal nostro Paese con il D.Lgs. 152/2006. In estrema sintesi, la qualità ecologica viene definita misurando lo scostamento dai valori di naturalità, ovvero di riferimento, degli Elementi di Qualità Biologica (EQB) fitoplancton, macroinvertebrati bentonici, macroalghe e angiosperme che caratterizzano l’ambiente medesimo. Lo scostamento dal valore di riferimento è la risposta dell’EQB a delle specifiche pressioni che insistono sull’ambiente e che ne compromettono lo stato.
La procedura indicata dalla direttiva richiede, dunque, di definire le condizioni di naturalità proprie di ciascuna comunità biologica e di stabilire le eventuali variazioni o deviazioni dalle sue “condizioni di riferimento”. La definizione della qualità ecologica implica di classificare lo stato di comunità biologiche complesse ed estremamente dinamiche, caratterizzate cioè da elevata variabilità “naturale”, mediante un singolo punteggio numerico, un indice, su cui costruire l’intero sistema di classificazione.
Il traguardo ambientale è rappresentato dal raggiungimento dello stato ecologico “buono” entro il 2015 per tutti i corpi idrici superficiali. Tale traguardo rappresenta il limite che determina se le condizioni del sistema siano accettabili o meno, nell’ottica dello sviluppo sostenibile delle attività antropiche sul territorio (Figura 5.14).
Figura 5.14: Modello concettuale rappresentativo dell’interazione tra le attività antropiche e la qualità ecologica dell’ambiente marino costiero18
18 Fonte: IAN.UMCES.EDU, 2012, Integration and Application network, University of Maryland USA
La qualità ecologica si definisce misurando lo scostamento dai valori di naturalità degli Elementi di Qualità Biologica (EQB).
Il traguardo ambientale è il raggiungimento dello stato ecologico “buono” entro il 2015.
L’influenza delle attività antropiche sullo stato ecologico dei corpi idrici rappresenta un aspetto cruciale da considerare nella pianificazione degli interventi per la tutela degli ecosistemi.
L’approccio richiamato utilizza, ai fini della classificazione, degli indici sintetici, opportunamente definiti, validati e intercalibrati nell’Eco-regione mediterranea.
Gli indici di classificazione adottati dall’Italia attraverso il recente DM 260/2010 sono: la biomassa fitoplanctonica, espressa come concentrazione di clorofilla “a”, per l’EQB fitoplancton; l’indice CARLIT (Cartografia Litoranea) per l’EQB macroalghe; l’indice PREI (Posidonia oceanica Rapid Easy Index) per l’EQB angiosperme “Posidonia oceanica” e, infine, l’indice M-AMBI (Multivariate AZTI Marine Biotic Index) per l’EQB macroinvertebrati bentonici.
Ai fini della classificazione, deve essere condotto un monitoraggio degli EQB su corpi idrici omogenei, che sono individuati in base al processo di tipizzazione e attraverso l’analisi delle pressioni insistenti su ciascun tratto di costa compreso nel corpo idrico medesimo (DM 131/2008 e DM 56/2009).
La Direttiva Quadro sulle Acque traccia, dunque, il percorso europeo di tutela dell’ecosistema marino, adottando il principio dell’approccio “ecosistemico” al fine di valutare il raggiungimento di prefissati obiettivi di qualità ecologica, da conquistare e/o da mantenere attraverso l’adozione di adeguate normative di controllo dell’ambiente e lo sviluppo di opportune politiche di protezione e risanamento.
Nella Figura 5.15 si riporta un esempio di classificazione relativo ai corpi idrici del Friuli-Venezia Giulia, per l’EQB fitoplancton.
Figura 5.15: Classificazione ecologica attraverso l’EQB fitoplancton del Friuli-Venezia Giulia19
La qualità delle acque marino – costiere ai fini della balneazione risponde ai requisiti del Decreto del Ministero della salute del 30 marzo 2010, che conclude il processo di recepimento della Direttiva 2006/7/CE relativa alla gestione delle acque di balneazione, iniziato
Gli indici di classificazione sono: la biomassa fitoplanctonica, l’indice CARLIT, l’indice PREI, l’indice M-AMBI.
19 Fonte: Elaborazione ISPRA su dati del Friuli-Venezia Giulia (Nodo nazionale WISE-SINTAI)
L’EQB fitoplancton consente di classificare i corpi idrici del Friuli- Venezia Giulia, ovvero di assegnare un giudizio di qualità rispetto a pressioni antropiche che hanno particolare influenza sulle comunità fitoplanctoniche marine, con il Decreto legislativo 30 maggio 2008, n.116. Pertanto, a partire dalla stagione balneare 2010, le acque di balneazione sono monitorate e valutate secondo i nuovi criteri, di seguito descritti.
Il nuovo sistema di monitoraggio prevede il campionamento di soli due indicatori di contaminazione fecale (Enterococchi ed Escherichia coli) e la frequenza di monitoraggio che passa da quindicinale a mensile.
La valutazione qualitativa, inoltre, non è più effettuata in termini di conformità ai valori per l’idoneità alla balneazione, ma secondo quattro classi di qualità (eccellente, buona, sufficiente e scarsa).
A tal proposito, si fa presente che nella Direttiva 76/160/CEE i valori di conformità sono distinti in valori imperativi, da rispettare obbligatoriamente, e valori guida più restrittivi cui bisogna tendere.
Nell’attesa di avere una serie di dati acquisiti con il nuovo sistema, la Commissione Europea ha previsto un sistema di classificazione delle acque transitorio, in cui vengono utilizzati anche i dati acquisiti negli anni antecedenti al 2010 con il vecchio sistema di monitoraggio.
A tal fine, gli Enterococchi intestinali ed Escherichia coli sono considerati equivalenti rispettivamente agli Streptococchi fecali e Coliformi fecali, previsti nella pregressa direttiva.
Ne deriva che pur non avendo delle vere e proprie classi di qualità i risultati sono ancora espressi in termini di conformità, come nel sistema precedente.
Inoltre, solo per la valutazione della stagione balneare 2010, la Commissione Europea, tenuto conto delle difficoltà nel passaggio al nuovo sistema di monitoraggio, ha ammesso un margine di tolleranza sulla frequenza di campionamento, considerando validi i campioni prelevati con un intervallo fino a 41 giorni.
Poiché la direttiva richiede che il primo campione debba essere prelevato appena prima dell’inizio della stagione balneare, la regola meno restrittiva permette di considerare valido tale campione se prelevato fino a 10 giorni dall’inizio della stagione balneare. In questo caso l’intervallo di campionamento va considerato dall’inizio della stagione balneare e non dalla data di prelievo del primo campione.
Quantitativamente l’Italia presenta 4.896 acque di balneazione, pari al 33,7% delle acque di balneazione costiere di tutta l’Europa.
In totale sono conformi, nel 2010, l’85,3% delle acque, di cui il 77,2% ai valori guida e l’8,1% ai valori imperativi (Figura 5.16). Rispetto al 2009 in cui sono risultate conformi il 92,2% delle acque, si osserva un decremento del 6,9%.
Considerando, invece, solo la conformità ai valori guida, più restrittivi, nel 2010 il decremento è pari al 13,6%.
Il numero delle acque classificate come non conformi ai valori imperativi aumenta dello 0,2%.
Diminuiscono sensibilmente le acque chiuse alla balneazione, che passano da 310 della stagione 2009 a 33 del 2010 (Tabella 5.3). Inoltre, l’introduzione della regola di valutazione meno restrittiva sulla frequenza di campionamento ha permesso all’Italia di “salvare” 2.583 acque di balneazione, giudicate altrimenti insufficientemente campionate.
Il nuovo monitoraggio delle acque di balneazione prevede il campionamento degli indicatori di contaminazione fecale (Enterococchi ed Escherichia coli).
La CE ha previsto un sistema di classificazione transitorio, in cui vengono utilizzati anche i dati acquisiti negli anni antecedenti al 2010 con il vecchio sistema di monitoraggio.
L’Italia presenta 4.896 acque di balneazione, pari al 33,7% di quelle europee.
Nel 2010, l’85,3% delle acque è conforme.
Tabella 5.3: Valutazione delle acque di balneazione20
Nel 2010, l’85,3% delle acque è conforme. Si registra, però, un decremento del 6,9% rispetto al 2009.
Diminuiscono, inoltre, in modo marcato le acque chiuse alla balneazione, che passano da 310 della stagione 2009 a 33 del 2010.
Sono conformi, nel 2010, l’85,3% delle acque, di cui il 77,2% ai valori guida e l’8,1% ai valori imperativi.
TOTALE
4.921 4.896 4.896
B CG
CI NC NF/NS
69 51 24 395 57 632 175 40 3.215
Anno 2009 2010*
n.
310 4.467 33 3.779 33 1.433
2010
Note:
*: Sistema di valutazione meno restrittivo
CI : conformi ai valori imperativi; CG: conformi ai valori guida;
NC: non conformi ai valori imperativi; NF: insufficientemente campionati; NS: non campionati; B: vietati alla balneazione.
Figura 5.16: Valutazione di conformità delle acque di balneazione21
Dalla Tabella 5.4 emerge come sia sostanzialmente differente il quadro relativo alla maggior parte delle regioni considerando i due diversi sistemi di valutazione.
Questo denota chiaramente come la stagione balneare sia stata caratterizzata da problematiche legate alla frequenza di monitoraggio. Va comunque detto che le acque insufficientemente campionate non sono necessariamente di scarsa qualità, ma sono acque in cui non è stato rispettato il campionamento secondo le regole dettate dalla normativa.
Tuttavia, le acque insufficientemente campionate incidono nel calcolo delle acque conformi.
20 Fonte: Elaborazione ISPRA su dati dell’EEA 21 Fonte: Ibidem
Tabella 5.4: Confronto della valutazione di conformità delle acque
di balneazione con metodo 201022
2010* 2010
In Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Molise e VNeSneto, le acque di balneazione risultano tutte conformi in entrambi i sistemi di valutazione; mentre in Basilicata, tutte le acque sono conformi solo considerando la regola di valutazione meno restrittiva.
1
1
Regione
Abruzzo
Basilicata
Calabria
Campania
Emilia-Romagna
Friuli-Venezia Giulia
Lazio
Liguria
Marche
Molise
Puglia
Sardegna
Sicilia
Toscana
Veneto
TOTALE
118
60
650
348
96
57
274
410
240
33
674
660
819
363
4.896
94
90
57
449
268
96
53
231
341
203
29
363
632
587
289
3.779
91
16
118
69
24
36
13
12
21
45
27
395
3
4
4
3
12
15
11
8
1
1
5
2
2
57
68
19
23
298
176
2
45
631
2
23
8
33
1
1
43
19
166
239
96
53
157
57
39
29
109
135
127
1.433
73
91
175
9
39
60
4
20
8
4
7
4
1
16
3
11
14
40
9
1
1
1
3
55
41
431
40
97
342
177
557
518
682
274
3.214
2
23
8
33
Note:
* Sistema di valutazione meno restrittivo
CI: conformi ai valori imperativi; CG: conformi ai valori guida; NC: non conformi ai valori imperativi; NF: insufficientemente campionati; NS: non campionati; B: vietati alla balneazione
In quattro regioni (Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Molise e Veneto) le acque di balneazione risultano tutte conformi in entrambi i casi, mentre in Basilicata tutte le acque sono conformi solo considerando la regola di valutazione meno restrittiva. Si evidenzia, inoltre, che le acque giudicate conformi in gran parte rispettano i valori guida, più restrittivi dei valori imperativi.
Dai dati pubblicati dall’Agenzia Europea dell’Ambiente emerge che, durante la stagione 2010, si sono presentati 41 eventi di “inquinamento di breve durata”23 in 36 acque costiere di balneazione, di cui 14 nelle Marche, 16 in Calabria, 4 nel Lazio, 5 nel Veneto e 2 in Sardegna.
Rispetto agli anni precedenti, la stagione balneare 2010 è stata caratterizzata anche dal fatto che la nuova direttiva prevede la possibilità di diversificare l’ampiezza della durata della stagione balneare per ogni acqua di balneazione in funzione di specifiche condizioni e/o necessità. Avvalendosi di questa possibilità in Italia la stagione balneare è iniziata, per la maggior parte delle acque, il 1° maggio e si è conclusa il 30 settembre; per 96 acque si è aperta il 15 maggio e chiusa il 19 settembre, mentre per 16 l’apertura è stata anticipata al 14 aprile.
Nel recente passato, la microalga bentonica Ostreopsis ovata, presente ormai da alcuni anni nel Mediterraneo, è stata associata a fenomeni di tossicità, sia per l’uomo sia per l’ambiente marino.
22 Fonte: Elaborazione ISPRA su dati dell’EEA
23 L’inquinamento di “breve durata”, introdotto dalla Direttiva 2006/7/CE, è rappresentato da una contaminazione microbiologica le cui cause sono chiaramente identificabili e che si presume non influiscano sulla qualità delle acque per più di 72 ore circa dal momento della prima incidenza. Tali eventi devono essere previsti e devono essere applicate misure preventive per la tutela dei bagnanti
Nella stagione 2010, in 36 acque costiere si sono presentati 41 eventi di inquinamento di breve durata.
O. ovata al microscopio ottico Biofilm di O. ovata sul fondo marino
Figura 5.17: Ostreopsis ovata e biofilm24
Ostreopsis ovata Fukuyo (Figura 5.17) è un dinoflagellato potenzialmente tossico rinvenuto per la prima volta nelle acque italiane (Lazio) nel 1994 (Tognetto et al., 1995). Da allora la presenza di questa microalga è stata rilevata in Italia sempre più frequentemente, con abbondanze molto elevate soprattutto nel comparto bentonico, in un numero crescente di regioni. Gli episodi di fioriture negli ultimi anni hanno comportato in alcuni casi fenomeni di intossicazione umana e sofferenza o mortalità di organismi marini bentonici25. L’O. ovata è stata segnalata anche in numerose aree del Mediterraneo. La prima osservazione descritta è quella relativa a Villefranche-sur Mer alla fine degli anni ‘70 (Taylor, 1979). Altre segnalazioni nel Mediterraneo riguardano la costa libanese, francese e spagnola e le isole Baleari, in cui sono stati riscontrati casi di intossicazione umana. Inoltre, la microalga è stata ritrovata nel Nord Egeo ed evidenziata la contaminazione di molluschi da tossine di Ostreopsis sp. (Aligizaky e Nikolaidis, 2006).
Le fioriture bentoniche appaiono macroscopicamente, in molti casi, sotto forma di strati mucillaginosi o biofilm, di colore bruno-rossastro, a ricoprire diffusamente fondi e substrati duri. È possibile osservare anche lo sviluppo di schiume di colore beige-marrone-rossastre, più frequentemente in superficie, nonché opalescenza diffusa con conseguente riduzione della trasparenza e presenza di fiocchi sospesi nella colonna d’acqua.
In Italia, fioriture bentoniche estive e ricorrenti di Ostreopsis ovata, spesso in associazione ad altri dinoflagellati potenzialmente tossici come Amphidinium cfr. carterae, Coolia monotis e Prorocentrum lima, si sono verificate in sistemi ad alto e basso idrodinamismo, su substrati di varia natura, in numerose località del mar Ligure, del Tirreno, dello Ionio e dell’Adriatico, con effetti tossici sull’uomo e su organismi bentonici (molluschi ed echinodermi), associati alla produzione di tossine appartenenti al gruppo delle palitossine (palitossina e ovatossina-a)26.
Sulla base degli studi genetici effettuati finora è stata accertata l’esistenza di un genotipo di O. ovata italiano e mediterraneo con bassa
24 Fonte: ARPA Calabria
25 ISPRA, Rapporto 127/2010, 148/2011 26 ISPRA, Rapporto 127/2010, 148/2011
La microalga bentonica Ostreopsis ovata, presente ormai da alcuni anni nel Mediterraneo, può dar luogo a fenomeni di tossicità, sia per l’uomo sia per l’ambiente marino.
Ostreopsis ovata.
La fioritura di queste alghe si presenta, annualmente, in luoghi e tempi diversi, e può provocare gravi danni alle comunità bentoniche presenti.
variabilità genetica, ben distinto da quello asiatico, ma uniforme rispetto al genotipo presente nell’Atlantico.
Inoltre, si è riscontrata la presenza di Ostreopsis cfr. siamensis27 nel Mediterraneo e in Italia.
A oggi l’Ostreopsis ovata è stata segnalata in tutte le regioni costiere italiane, a eccezione di Emilia-Romagna, Molise e Veneto28, dato confermato anche dai risultati del monitoraggio 2010 che ha evidenziato, inoltre, l’assenza della macroalga anche in Abruzzo (Figura 5.18).
Figura 5.18: Ostreopsis ovata lungo le coste italiane (2010)29
Come noto, in relazione alle fioriture algali, il fenomeno dell’eutrofizzazione rappresenta una significativa distrofia dell’ambiente marino-costiero.
Secondo gli attuali orientamenti comunitari l’eutrofizzazione è un processo causato dall’arricchimento in nutrienti, in particolare composti dell’azoto e/o del fosforo, che determina un aumento della produzione primaria e della biomassa algale, alterazioni delle comunità bentoniche e diminuzione della qualità delle acque.
Le conseguenze dell’eutrofizzazione sono considerate negative se determinano un degrado della salute degli ecosistemi e/o una riduzione dell’uso sostenibile di beni e servizi.
27 Penna A., Fraga S., Masò M., Giacobbe M.G., Bravo I., Bertozzini E., Andreoni F. Vila M., Garces E., Lugliè A., Vernesi C., 2008, Analisi della biodiversità genetica di alcune specie microalgali responsabili di fioriture tossiche nel Mar Mediterraneo, Biol. Mar. Medit., 15(1): 46-49. Accoroni S., Romagnoli T., Colombo F., Pennesi C., Di Camillo C.G., Marini M., Battocchi C., Ciminiello P., Dell’Aversano C., Dello Iacovo E., Fattorusso E., Tartaglione L., Penna A., Totti C., 2011, Ostreopsis cf. ovata bloom in the northern Adriatic Sea during summer 2009: Ecology, molecular characterization and toxin profile, Mar. Pollut. Bull. 62 (2011) 2512-2519
28 ISPRA, Rapporto 127/2010
29 Fonte: ISPRA, Rapporto 127/2010
La presenza della microalga tossica è stata rilevata in tutte le regioni costiere, a eccezione di Abruzzo, Emilia- Romagna, Molise e Veneto.
● Presenza o Assenza ● Hot spot ● monitoraggiononeffettuato
L’eutrofizzazione rappresenta una significativa distrofia dell’ambiente marino-costiero.
Le conseguenze sono considerate negative quando determinano un degrado della salute degli ecosistemi.
L’Adriatico nord-occidentale rappresenta un caso unico in tutto il bacino del Mediterraneo a causa delle imponenti fioriture algali che si possono verificare in quest’area. L’intensità di queste fioriture e i valori di concentrazione di clorofilla e di biomassa fitoplanctonica, che vengono rilevati in alcuni periodi e in alcune situazioni ambientali, non hanno eguali in nessuna altra parte del Mediterraneo30.
Le ragioni di questo fenomeno, ormai studiato e monitorato da più di trent’anni, sono soprattutto da riferire agli apporti di sostanze nutrienti riversate a mare dal fiume Po. In media, i carichi che entrano nel sistema costiero adriatico possono essere stimati in oltre 110.000
L’Adriatico nord- occidentale presenta delle imponenti fioriture algali.
I carichi di nutrienti che entrano nel sistema costiero adriaticopossono essere stimati in oltre 110.000 t/anno di azoto e 7.000 t/anno di fosforo.
t/anno di azoto e 7.000 t/anno di fosforo
La valle del Po rappresenta un bacino di rilevanza nazionale, con un’estensione di quasi un quarto dell’intero territorio italiano e con una popolazione di circa 16 milioni di abitanti. Nel bacino sono concentrate più di un quarto delle industrie italiane, un quarto dell’intera produzione agricola nazionale e più della metà degli allevamenti zootecnici.
Questo rende la valle del Po un’area strategica per l’intera economia italiana e uno dei territori europei con la più alta concentrazione, in assoluto, di popolazione, industrie e attività commerciali.
Al contributo di nutrienti dal fiume Po, sono da aggiungere poi quello derivante dagli altri bacini tributari del Nord Adriatico: Adige, Piave, Brenta, Tagliamento, Lagune di Venezia e di Grado-Marano, ecc.
La costa bassa e sabbiosa e il quadro correntometrico prevalente determinano condizioni ottimali per il verificarsi dell’eutrofizzazione costiera. La corrente generale che risale l’Adriatico in senso antiorario, di regola, tende poi a “spingere” gli input di acqua dolce provenienti dal Po contro le coste dell’Emilia-Romagna.
Il sistema costiero si dimostra altamente efficiente nell’utilizzare i nutrienti disponibili e quindi produce gran quantità di biomassa fitoplanctonica.
Nella Figura 5.19 sono rappresentati gli andamenti annuali medi dei parametri che caratterizzano la fascia costiera: salinità, clorofilla, azoto disciolto inorganico (DIN) e fosforo totale.
.
30 UNEP, Assessment of the state of eutrophication in the Mediterranean Sea, R.A. Vollenweider, A. Rinaldi, R. Viviani and E. Todini eds, MAP Thecnical Reports n. 106, Athens 1996
31 Autorità di Bacino del Fiume Po, Parma
282
La costa bassa e sabbiosa e il quadro correntometrico determinano condizioni ottimali per il verificarsi dell’eutrofizzazione. La corrente generale che risale l’Adriatico in senso antiorario tende a “spingere” gli input di acqua dolce provenienti dal Po contro le coste dell’Emilia- Romagna.
Figura 5.19: Acque costiere dell’Emilia-Romagna. Variazione dei principali parametri di stato trofico: medie del periodo 1992- 200232
Per quanto attiene all’evoluzione temporale dei fenomeni, solitamente i cicli algali iniziano già a partire da gennaio-febbraio, con estese fioriture di diatomee, in risposta alle elevate portate invernali del fiume Po.
Nei mesi successivi, si assiste a una progressiva diminuzione della produzione algale, con fioriture estive meno intense, a carico soprattutto delle dinoflagellate.
Le conseguenze dell’eutrofizzazione sono da riferire principalmente al danno provocato all’ambiente marino-costiero dalle condizioni di anossia e/o ipossia che possono interessare i fondali costieri. È necessario sottolineare che questo fenomeno si verifica quasi tutti gli anni: aree più o meno estese del sistema costiero emiliano-romagnolo vanno incontro ad anossia/ipossia degli strati subsuperficiali, con maggior frequenza e intensità nelle aree in prossimità del delta padano, ma interessando anche le zone poste più a sud, per un range di almeno tre chilometri dalla riva (Figura 5.20).
La richiesta di ossigeno che deriva dai processi di ossidazione della gran quantità di sostanza organica accumulata nelle acque di fondo, può diventare così elevata da causare crisi anossiche, con il risultato di determinare la morte per asfissia di tutti gli organismi bentonici.
Le conseguenze dell’eutrofizzazione sono da riferire principalmente al danno provocato all’ambiente marino-costiero dalle condizioni di anossia e/o ipossia che possono interessare i fondali costieri.
32 Fonte: ARPA Emilia-Romagna. Rapporti annuali della Struttura Oceanografica Daphne
La persistenza del fenomeno è peraltro favorita dall’instaurarsi lungo la fascia costiera di una marcata stratificazione termoalina, con deboli correnti costiere e mare calmo. Queste condizioni sono tipiche della stagione tardo-estiva e autunnale, quando anche le portate padane sono basse e il sistema costiero presenta valori minimi di clorofilla nelle acque di superficie.
Figura 5.20: Adriatico nord-occidentale: evoluzione del fenomeno ed estensione delle aree colpite da anossia dei fondali33
Si segnala, inoltre, che la variabilità interannuale risulta, di norma, molto alta, con il susseguirsi di annate caratterizzate da forte piovosità e portate padane mediamente elevate, e viceversa.
Le cause
Nel Mediterraneo e in Italia, le zone marino-costiere rappresentano ecosistemi naturali tra i più vulnerabili e più seriamente minacciati, nonostante siano in larga parte interessate da specifici strumenti di tutela, sia a livello nazionale sia comunitario. A conferma di ciò, l’EEA34 ha nuovamente riconosciuto come la fascia costiera europea sia interessata da un degrado diffuso e progressivo, in termini di perdita di habitat, eutrofizzazione, contaminazione, invasione di specie aliene ed erosione.
L’azione del mare e la sua forza d’urto durante le mareggiate (forti marosi) si manifesta sulle coste alte con un lento processo erosivo che provoca scalzamenti alla base dei costoni e, in determinate condizioni, il crollo di parti del sistema roccioso; mentre sulle coste basse, territori più vulnerabili, con una costante opera di movimentazione dei sedimenti provoca continui e più evidenti rimodellamenti dei territori. La notevole ampiezza dei litorali italiani è riconducibile alla deforestazione connessa all’intensificazione delle attività commerciali e agricole operata in epoca storica. Tali attività hanno innescato un’accelerazione nei processi erosivi del suolo nelle campagne e nei territori collinari, favorendo il trasporto fluviale di ingenti quantitativi di sedimenti verso il mare. Molte foci fluviali hanno così beneficiato di una grande disponibilità di sedimenti, lo sviluppo di delta ampi e ramificati, permettendo la strutturazione delle pianure costiere nonché
33 Fonte: ARPA Emilia-Romagna. Rapporti annuali della Struttura Oceanografica Daphne 34 EEA, 2010, The European Environment – State and outlook 2010, Report 1/2010
Il fenomeno di anossia si verifica quasi tutti gli anni, in aree più o meno estese del sistema costiero emiliano- romagnolo, con maggior frequenza e intensità in prossimità del delta padano.
Le zone marino- costiere del Mediterraneo e dell’Italia sono tra gli ecosistemi naturali più vulnerabili e minacciati.
L’evoluzione dei litorali italiani è prevalentemente influenzata dall’apporto fluviale di sedimenti.
la progradazione delle spiagge.
La successiva regimazione dei corsi d’acqua, l’urbanizzazione dei litorali con lo smantellamento e l’irrigidimento degli apparati dunari, un uso del suolo attento a ridurre la perdita di terreno fertile e la stabilizzazione dei versanti hanno fatto mancare questo grande apporto di sedimenti, favorendo la regressione delle spiagge e, quindi, l’innesco di fenomeni erosivi lungo tutta la Penisola. La costipazione dei sedimenti litorali connessa all’emungimento dell’acqua per usi irrigui e alle opere di bonifica, che hanno reso salubri molte fasce costiere, ha contribuito a creare vaste aree depresse e inondabili, oggi sotto il livello del mare.
In sintesi la tendenza ai fenomeni erosivi dei litorali nel nostro Paese è in costante aumento a causa:
della riduzione di apporto solido fluviale per effetto dei prelievi in
alveo e degli intrappolamenti da parte delle opere di stabilizzazione dei versanti, di regimazione fluviale e delle opere di sbarramento (a dominanza antropica più che naturale);
delle mareggiate concomitanti con eventi alluvionali, che comportano fenomeni parossistici di erosione nelle zone di foce;
dell’aumento relativo del livello del mare e degli effetti
concomitanti di abbassamento del suolo per subsidenza naturale e
antropica;
della indiscriminata urbanizzazione costiera, con schiere di seconde
case, lungomare, piazzette aggettanti sulla spiaggia, strutture portuali a volte mal contestualizzate, barriere frangiflutti e pennelli potenzialmente costruiti a protezione dei precedenti interventi.
Il sistema portuale italiano si sta modificando sotto la spinta di due fattori principali, la richiesta di posti barca del settore diportistico e lo sviluppo del sistema di trasporto per il traffico merci e la movimentazione dei container (transhipment) che richiede grandi hub portuali di scambio. Le navi portacontainer (lunghe anche più di 300 m) che fanno scalo negli hub di scambio hanno bisogno di fondali profondi (15-18 m), di ampi spazi di manovra e attracco e di almeno 400 m di profondità delle aree portuali di deposito. Per ottenere gli spazi necessari a questo genere di opere tipicamente vengono create strutture nuove lontano dalle aree più urbanizzate, come è avvenuto ad esempio per Gioia Tauro, Cagliari o Savona-Vado e in Europa per Marsiglia, La Rochelle, Algeciras.
Tra le opere nuove ultimate tra il 2000 e il 2007 solo a Olbia è stato realizzato un terminal container fuori delle aree urbane, mentre altrove, sia per la difficoltà nel reperire i grandi spazi liberi da dedicare alla costruzione di queste opere, sia per beneficiare delle infrastrutture già asservite alle attività portuali, si è optato per la scelta di ristrutturare o convertire i porti piuttosto che costruirne di nuovi. Lo spazio necessario è stato recuperato sottraendolo direttamente al mare con grandi opere di colmata, come nei casi di Livorno, Chioggia, Civitavecchia, Ancona, e le strutture marittime sono state costruite e ampliate intorno a questi spazi.
Le opere rigide (pennelli, barriere, ecc.) realizzate per la protezione dei litorali in erosione non hanno risolto il problema e in molti casi hanno contribuito al processo di artificializzazione e degradazione degli habitat marino-costieri.
La pratica del dragaggio di sabbie relitte nasce dalla necessità di
Mareggiate, incremento relativo del livello del mare, subsidenza, urbanizzazione indiscriminata contribuiscono all’erosione dei litorali.
Le opere rigide realizzate per la protezione dei litorali in erosione non hanno risolto il problema disporre di grandi quantità di materiale da destinare al ripascimento delle spiagge. L’utilizzo dei depositi sabbiosi situati a largo delle coste è del resto una pratica ampiamente diffusa sia in Europa sia nel resto del mondo da diversi anni.
Lo studio dei processi idrodinamici del mare (regime di marea, clima ondoso, mareggiate, ecc.) consente di conoscere le caratteristiche meteo-marine dei bacini, ma rappresenta anche il percorso propedeutico alla pianificazione in area costiera, alla progettazione delle opere strategiche (porti, ferrovie, strade, strutture offshore) e di quelle per la protezione degli habitat e delle attività nelle aree più vulnerabili.
Per le aree costiere il rischio associato alle tempeste si esprime in termini di probabilità degli eventi possibili e di vulnerabilità delle aree considerate. Dal dopoguerra i territori costieri più accessibili hanno subito un fortissimo processo di antropizzazione, con insediamenti urbani, economici e produttivi, che non si arresta e, purtroppo, la vulnerabilità delle aree costiere è sempre più alta. Anche se lo studio degli eventi estremi permette di stimare in modo attendibile le probabilità associate agli eventi possibili nelle varie aree, va tuttavia considerato che l’influenza di cambiamenti climatici nella distribuzione degli eventi meteo-marini potrebbe avere, anche nel medio periodo, conseguenze non trascurabili.
La densità di popolazione e lo sfruttamento del suolo e del paesaggio costiero a fini urbanistici, illustrati precedentemente, forniscono un’indicazione della forte interazione tra l’uomo e l’ambiente marino- costiero e degli impatti prodotti sugli habitat costieri, tra cui gli scarichi urbani e industriali quali principale fonte di inquinamento e di eutrofizzazione delle acque marine.
Le potenziali fonti di inquinamento che comportano la non idoneità alla balneazione possono essere molteplici, ma le principali derivano dall’inquinamento di tipo microbiologico.
Le fonti sulla terraferma responsabili dell’inquinamento delle acque di balneazione sono rappresentate da reflui e liquami non sufficientemente o per nulla trattati, e da acque di dilavamento dei suoli a uso agricolo. Pertanto, i depuratori delle acque reflue urbane, le attività industriali, le attività agricole (fertilizzanti, pesticidi, ecc.), gli allevamenti zootecnici e il trattamento dei rifiuti solidi, sono tutte potenziali fonti di inquinamento. Il rischio per i bagnanti causato da una fonte di contaminazione può variare in relazione alle caratteristiche idrologiche del bacino drenante; generalmente la presenza di una foce di un fiume di vasta portata in prossimità di un’area adibita alla balneazione può rappresentare un potenziale rischio per i bagnanti, in rapporto al carico di inquinanti trasferito in quel determinato corso d’acqua attraverso scarichi o acque di drenaggio. Assumono, pertanto, particolare importanza le condizioni meteorologiche: è noto, infatti, che a seguito di forti piogge la qualità di un’acqua di balneazione può peggiorare a causa degli inquinanti dilavati dai suoli e veicolati attraverso i fiumi nell’area adibita alla balneazione. Quest’ultima situazione può dar luogo a eventi di inquinamento di breve durata.
Lo studio dei processi idrodinamici del mare oltre a consentire la conoscenza delle caratteristiche meteo- marine dei bacini, rappresenta anche il percorso propedeutico alla pianificazione in area costiera, alla progettazione delle opere strategiche e di quelle per la protezionedegli habitat.
Le principali fonti di inquinamento delle acque di balneazione sono i reflui e i liquami non sufficientemente trattati e le acque di dilavamento dei suoli agricoli.
Circa il fenomeno delle fioriture tossiche e nello specifico per ciò che concerne l’O. ovata sembra che, analogamente ad altri dinoflagellati, nei periodi in cui non è rilevata nelle acque (inverno-inizio primavera) possa sopravvivere nei sedimenti sotto forma di cisti (stadi non mobili).
Dalle indagini di campo effettuate, è stato possibile verificare che le fioriture bentoniche di Ostreopsis ovata si manifestano quasi esclusivamente durante la stagione estiva e autunnale (inizio di ottobre); in particolare, lungo il litorale tirrenico le abbondanze massime si registrano in piena estate, mentre lungo le coste del medio Adriatico nei mesi di settembre e ottobre, lasciando supporre una diversa risposta ecofisiologica delle popolazioni coinvolte35. Condizioni che sembrano favorire l’instaurarsi e il mantenimento delle fioriture sono: bassa profondità dell’acqua, presenza di substrati rocciosi e/o macroalghe, scarso idrodinamismo dovuto alla morfologia naturale della costa o alla presenza di pennelli e barriere artificiali per il contenimento dell’erosione costiera, condizioni meteo-marine di grande stabilità, temperature delle acque superiori a 25°C nel mar Ligure e Tirreno e tra i 20 e i 23°C nel mar Adriatico, assenza di termoclino36.
Nel Mediterraneo, le principali fonti di azoto sono il dilavamento delle superfici agricole e la deposizione atmosferica, mentre gran parte del fosforo deriva, invece, da fonti puntuali, scarichi urbani e industriali non trattati o insufficientemente trattati. Pertanto, i principali fattori di pressione antropica che possono causare eutrofizzazione nell’ambiente marino-costiero sono l’urbanizzazione delle aree costiere, il turismo, l’agricoltura, l’industria e l’acquacoltura.
L’effetto delle pressioni di origine antropica sui valori di clorofilla, principale indicatore di biomassa fitoplanctonica, è stato testato in ambito MED-GIG utilizzando la base dat i comune dei Paes i euromediterranei. Come indicatori di pressione sono state considerate le concentrazioni dei nutrienti nelle loro forme e gli altri parametri di supporto, rilevati in concomitanza con le misure di clorofilla ‘a’. Quale esempio dei risultati ottenuti, si riportano i casi delle acque costiere adriatiche, in cui il fosforo totale (TP) è risultato il principale fattore in grado di condizionare la variabilità della clorofilla, mentre il peso degli altri fattori si è rivelato non significativo se confrontato con il peso del fosforo, e di quelle del mar Tirreno (Figura 5.21). Nel caso dell’Adriatico, la correlazione molto elevata (R2 = 0,88) dimostra che la variabilità della clorofilla ‘a’ è in massima parte controllata dal fosforo. Nel Tirreno, pur essendo la correlazione ancora significativa (p > 0,01, con R2 = 0,25), il fosforo controlla solo in minima parte la variabilità della clorofilla ‘a’, essendo questa sotto l’effetto di altri fattori non rappresentati nel modello lineare. La diversa pendenza delle
35 Accoroni S., Cerino F., Cucchiari E., Romagnoli T. Ostreopsis ovata bloom along the Conero Riviera (northern Adriatic Sea): Relationships with environmental conditions and substrata, 2010, Harmful Algae 9, 233-239
Accoroni S., Romagnoli T., Colombo F., Pennesi C., Di Camillo C.G., Marini M., Battocchi C., Ciminiello P., Dell’Aversano C., Dello Iacovo E., Fattorusso E., Tartaglione L., Penna A.. Totti C., Ostreopsis cf. ovata bloom in the northern Adriatic Sea during summer 2009: Ecology, molecular characterization and toxin profile, 2011
36 ISPRA, Rapporto 127/2010, 148/2011
Le fioriture bentoniche di Ostreopsis ovata si manifestano quasi esclusivamente durante la stagione estiva e autunnale (inizio di ottobre); in particolare, lungo il litorale tirrenico, le abbondanze massime si registrano in piena estate, mentre lungo le coste del medio Adriatico nei mesi di settembre e ottobre.
I principali fattori di pressione antropica che possono causare eutrofizzazione sono l’urbanizzazione delle aree costiere, il turismo, l’agricoltura, l’industria e l’acquacoltura
due rette evidenzia inoltre due regimi trofodinamici alquanto diversi. Il sistema costiero adriatico risponde, infatti, in maniera più efficiente alla disponibilità di fosforo, producendo più biomassa fitoplanctonica rispetto a quella prodotta nel Tirreno, a parità di concentrazione di TP.
Relazione tra Clorofilla e Fosforo Totale 100
10
1
0.1
0.1 1 10
TP (μmol/L)
Mare Adriatico Mar Tirreno
Figura 5.21: Relazione tra le medie geometriche annuali di clorofilla ‘a’ (Chl) e i corrispondenti valori di fosforo totale (TP) nelle stazioni costiere del mare Adriatico e del Tirreno37
Le alterazioni provocate sull’insieme degli elementi che concorrono a comporre la “biodiversità marina” sono processi altamente complessi, dettati da numerosi aspetti che rendono quindi difficile determinare con precisione quali cambiamenti siano direttamente derivati dall’effetto di specifiche attività antropiche.
Nonostante ciò, è oramai chiaro che i danni provocati alla biodiversità marina hanno determinato effetti negativi sulla capacità dell’ambiente marino di fornire adeguate quantità di organismi utili per il nutrimento umano, di mantenere in buono stato la qualità delle acque e di recuperare in modo adeguato eventuali fenomeni perturbativi provocati da attività umane38.
Una recente valutazione delle fonti di minaccia, capaci di incidere negativamente sullo stato di conservazione delle specie marine protette dei mari italiani39, ha permesso di identificarne tre principali, individuate sulla base della tipologia di danno, delle attività umane che le provocano e delle misure necessarie alla loro mitigazione:
minacce in grado di determinare un disturbo fisico o meccanico, derivanti, direttamente o indirettamente, dalla presenza antropica (PA);
37 Fonte: Precali R., Giovanardi F., France J. e Mazziotti C., 2011, Allegato tecnico alla Milestone V dell’Esercizio di Intercalibrazione II fase del MED-GIG
38 EEA, 2010, The European Environment – State and outlook 2010, Report 1/2010
39 Tunesi L. Agnesi S. Clò S. Di Nora T. Mo G., 2006, La vulnerabilità delle specie protette ai fini della conservazione. Biol. Mar. Mediterr., 13(1): 446-455
La relazione fra la clorofilla ‘a’ e il fosforo totale consente di distingue due regimi trofici differenti: quello Adriatico e quello Tirrenico.
y = 8.416×1.663 R2 = 0.880
y = 0.933×0.531 R2 = 0.253
Fonti di minaccia che incidono negativamente sullo stato di conservazione delle specie: presenza antropica, attività di prelievo, degrado ambientale.
288
Chl (μg/L)
minacce legate indirettamente o direttamente ad attività di prelievo (PR);
minacce legate al degrado ambientale inteso come perdita fisica, chimica, ecologica di qualità ambientale (DA).
Figura 5.22: Percentuale di incidenza delle categorie di minaccia rilevate durante la valutazione delle vulnerabilità delle specie marine protette40
Come si evince dalla Figura 5.22, le minacce derivanti, direttamente o indirettamente, dalle attività di prelievo (PR) risultano di pari importanza (in termini di numero di volte in cui sono constatate dalla bibliografia e successivamente convertite in percentuale complessiva) rispetto alle minacce attribuibili al degrado ambientale (DA); è minore, invece, la percentuale di minaccia determinata dalle attività antropiche che creano un disturbo fisico, meccanico o dettate dalla vicinanza della presenza antropica (PA).
Le specie non indigene o alloctone, ovvero gli animali e i vegetali che penetrano o vengono introdotti volontariamente o accidentalmente dall’uomo in areali diversi da quelli di origine, rappresentano oggi una delle principali minacce per la biodiversità marina. Il Mediterraneo rappresenta il mare più invaso del mondo, con una media, dal 2000 a oggi, di una nuova specie segnalata al mese, sebbene vi sia discordanza nel mondo scientifico circa il numero reale di specie non indigene attualmente presenti. Il rischio derivante dall’introduzione di una nuova specie è correlato al ruolo ecologico che la stessa riveste e aumenta nel caso in cui la specie invasiva interagisca, direttamente o indirettamente, con le specie chiave della comunità indigena.
La presenza di specie alloctone nel Mediterraneo non è una novità, ma l’evento che ha sicuramente amplificato l’introduzione di nuove specie è rappresentato dall’apertura del canale di Suez, avvenuta nel 1869.
40 Fonte: Tunesi L. Agnesi S. Clò S. Di Nora T. Mo G., 2006, La vulnerabilità delle specie protette ai fini della conservazione. Biol. Mar. Mediterr., 13(1): 446-455
Il mare maggiormente invaso da specie non indigene è il Mediterraneo.
L’introduzione di nuove specie nel Mediterraneo si è amplificata con l’apertura del Canale
Le minacce derivanti dalle attività di prelievo (PR) risultano di pari importanza rispetto alle minacce attribuibili al degrado ambientale (DA); è minore, invece, la percentuale di minaccia determinata dalle attività antropiche che creano un disturbo fisico (PA).
Il fenomeno è stato poi accresciuto da nuovi canali di introduzione, come le acque di zavorra delle navi (ballast water); le chiglie degli scafi sulle quali si insediano organismi sessili (fouling); l’acquacoltura; l’acquariologia; l’importazione di esche vive. All’affermazione delle specie alloctone nel Mediterraneo ha di certo contribuito la recettività che le comunità di organismi mediterranei mostrano verso nuove specie: l’età relativamente giovane del bacino mediterraneo (circa 5 milioni di anni) non ha infatti consentito l’instaurarsi di popolamenti stabili e ben strutturati, in grado di contrastare l’arrivo di specie altamente competitive, quali quelle indo- pacifiche e atlantiche.
L’insediamento di nuove specie è stato inoltre facilitato da condizioni ambientali non integre per via delle forti pressioni antropiche (inquinamento o sovra sfruttamento per attività di pesca), che hanno reso ancora più fragili le popolazioni autoctone.
I cambiamenti climatici, da ultimo, hanno probabilmente favorito il successo nell’introduzione delle specie non indigene, grazie a un aumento della temperatura superficiale e a modifiche delle correnti principali che ne hanno condizionato la diffusione nel Mediterraneo.
Attualmente nei mari italiani sono state segnalate 48 specie ittiche aliene, molte delle quali reperite una o poche volte.
Di queste specie, 28 sono presumibilmente penetrate dallo Stretto di Gibilterra, 9 attraverso migrazione lessepsiana, 8 mediante trasporto marittimo o rilascio da acquari e 3 sono di dubbia provenienza.
I casi più noti di colonizzazione da parte di specie atlantiche riguardano il pesce palla Sphoeroides pachygaster e le ricciole Seriola fasciata.
La popolazione del pesce palla è esplosa nelle ultime tre decadi e oggi la specie viene catturata prevalentemente nei mari meridionali dalla pesca a strascico.
Le carni contengono minime quantità di tetrodotossina e il loro consumo potrebbe risultare tossico, ma non letale, per l’uomo.
La ricciola atlantica è entrata nei mari italiani all’inizio degli anni ’90, e da allora viene frequentemente catturata allo stadio giovanile come by-catch della pesca alla lampuga che si esercita da settembre a gennaio.
La sua attuale distribuzione è limitata ai mari siciliani e sardi.
I casi più significativi di colonizzazione da parte di specie indo- pacifiche riguardano il pesce flauto Fistularia commersonii e il pesce coniglio Siganus luridus.
Il primo, segnalato nello Stretto di Sicilia e lungo tutta la costa occidentale italiana e parte di quella orientale, attualmente si è insediato con successo nei mari siciliani ove viene frequentemente pescato. Il secondo si è insediato nelle isole Pelagie, con sporadici ritrovamenti anche in altre aree.
Sebbene nei mari italiani i pesci alieni non abbiano ancora provocato importanti impatti, il fenomeno non è da sottovalutare.
Nel bacino orientale, infatti, le specie aliene sono responsabili di profondi cambiamenti registrati nella composizione del pescato, con la contrazione di alcune risorse autoctone pregiate.
di Suez (1869), ed è andata aumentando a causa di nuovi canali di introduzione (acque di zavorra, acquacoltura, importazione, ecc.).
Nei mari italiani sono state segnalate 48 specie ittiche aliene. 28 specie sono presumibilmente penetrate dallo Stretto di Gibilterra, 9 attraverso migrazione lessepsiana, 8 mediante trasporto marittimo o rilascio da acquari e 3 sono di dubbia provenienza.
Le risposte
Tutti gli strumenti normativi per l’ambiente marino e costiero hanno un denominatore comune: promuovono e richiedono l’elaborazione e lo sviluppo di un “meccanismo” di coordinamento tra i settori economici, amministrativi e culturali, finalizzati alla protezione dell’ambiente marino e allo sviluppo sostenibile delle zone costiere.
Ciò implica l’integrazione di tutte le politiche collegate, dei diversi settori coinvolti e dell’amministrazione a tutti i suoi livelli, nonché l’integrazione delle componenti terrestri e marine del territorio interessato, partendo da una valutazione iniziale dello stato e dell’uso dell’ambiente marino e costiero. Altra componente primaria è costituita dalle azioni di monitoraggio dei parametri ambientali ed ecologici, che garantiscono una valutazione in continuo delle strategie nazionali e dell’efficacia dei piani e programmi previsti e messi in atto. Nelle precedenti edizioni si è molto argomentato, sia a livello europeo sia a livello regionale, sulle numerose misure legislative e strumenti la cui applicazione contribuisce alla protezione dell’ambiente litoraneo. Nella presente edizione saranno illustrati gli sviluppi più recenti della Gestione Integrata delle Zone Costiere (GIZC), della Direttiva Quadro sulle Acque (WFD – Water Framework Directive) 2000/60/CE e della Direttiva Quadro sulla Strategia per l’ambiente marino (MSFD – Marine Strategy Framework Directive) 2008/56/CE del 17/06/2008, cui è dedicato un box di approfondimento a fine capitolo.
Il processo di implementazione della Gestione Integrata delle Zone Costiere (GIZC) prosegue su vari fronti. A livello nazionale sono stati attivati i processi di concertazione interistituzionale finalizzati alla ratifica del Protocollo sulla GIZC della Convenzione di Barcellona, sottoscritto a Madrid nel 2008, ed entrato in vigore il 24 marzo 2011, a valle della ratifica di almeno sei paesi. Le indicazioni e gli indirizzi convergono, come è noto, con quelli contenuti nella Raccomandazione del Consiglio e del Parlamento europeo relativa all’attuazione della “Gestione integrata delle zone costiere in Europa” (2002/413/CE) e il Consiglio europeo stesso ha adottato la decisione, nel dicembre del 2008, di sottoscrivere il Protocollo ICZM (2009/89/CE). Nel 2010 l’Italia ha, inoltre, stilato il proprio rapporto relativo ai progressi conseguiti nello sviluppo della GIZC, così come previsto dalla Raccomandazione 2002/413/CE. Il report descrive le azioni messe in atto finalizzate alla redazione di una “Strategia Nazionale per la Gestione Integrata delle Zone Costiere”, che coinvolgono tutti i soggetti interessati. Nel frattempo procedono le iniziative relative ad altri strumenti comunitari per i quali la GIZC potrebbe fornire un riferimento utile ad armonizzare gli strumenti di tutela e gestione dell’ambiente marino-costiero. Il report evidenzia, inoltre, un numero significativo di regioni che, in virtù delle competenze acquisite a valle del decentramento amministrativo, ha sviluppato strumenti riconducibili alla GIZC.
Sul piano regionale, infatti, procede la diffusione di un approccio integrato nell’elaborazione degli strumenti di competenza delle regioni e Autorità di Bacino. Più recentemente, si è assistito a un incremento del numero di Autorità di Bacino che si sono dotate di piani stralcio
Gestione integrata delle zone costiere (GIZC) e piani di tutela.
Nell’elaborazione di strumenti per la gestione dell’area costiera si evidenzia un
relativi all’erosione costiera: l’impellenza è particolarmente avvertita per quei territori della Penisola caratterizzati da coste alte, in cui gli episodi erosivi possono dar luogo a frane e crolli. I problemi di difesa del suolo in ambito costiero sono da sempre stati inclusi tra le pertinenze delle Autorità di Bacino, competenti per la porzione del bacino che si affaccia sul mare. E anche le Autorità di Bacino, sempre più spesso, adottano l’approccio GIZC per la pianificazione settoriale lungo la costa: si assiste così, ad esempio, al coinvolgimento durante il processo di pianificazione dei vari portatori di interesse o, più tecnicamente, all’inserimento, ai fini delle valutazioni per le perimetrazioni, tra i beni esposti non solo quelli strettamente connessi alla tutela della vita umana, ma anche i beni paesaggistici e ambientali. Nel frattempo, le regioni che non hanno ancora un piano relativo alle coste stanno adottando i provvedimenti legislativi e organizzativi per giungere a una loro elaborazione (ad esempio, Basilicata e Sicilia), mentre altre stanno perfezionando, con la definizione di nuovi strumenti, il loro percorso verso la gestione integrata della zona costiera, come la Liguria con il Piano di Tutela dell’Ambiente marino e costiero.
La classificazione dei corpi idrici marini relativi ai diversi bacini idrografici, rappresenta lo strumento di verifica dello stato ecologico del bacino medesimo, ovvero il suo scostamento dal raggiungimento dello stato di qualità buono, da raggiungere entro il 2015, così come prescritto dalla Direttiva Quadro sulle Acque, recepita in Italia dal D.Lgs. 152/2006.
Il raggiungimento degli obiettivi di qualità ambientale presuppone, per ogni distretto idrografico individuato partendo dai confini dei bacini idrografici, la predisposizione di opportuni Piani di gestione e di programmi di misure. Le Autorità di Bacino sono deputate alla redazione dei Piani di gestione, elaborati sulla base dei dati derivanti dal monitoraggio condotto dalle regioni, responsabili della classificazione dei corpi idrici.
I Piani di gestione vengono trasmessi alla Commissione Europea attraverso il Sistema Informativo Nazionale per la Tutela delle Acque Italiane (SINTAI), nodo nazionale WISE.
La CE effettua un’istruttoria sui contenuti dei Piani di gestione, al fine di verificare la congruità normativa e il raggiungimento dei traguardi ambientali dello Stato membro.
La Direttiva Quadro sulla Strategia per l’ambiente marino (MSFD), cui è stato dedicato un apposito box, propone, come la WFD e la GIZC, l’applicazione di un approccio ecosistemico alla gestione delle attività umane, consentendo nel contempo l’uso sostenibile dei beni e dei servizi marini che non porti a un ulteriore deterioramento ambientale o violazione del principio di precauzione.
La movimentazione di sedimenti marini (anche se si tratta di sedimenti di buona qualità) può indurre effetti non trascurabili sull’ambiente marino. I principali sono legati alla variazione e alla natura delle caratteristiche del fondo, con possibili e localizzate ripercussioni sulle attività di pesca (ad esempio la rottura delle reti da pesca) e all’immissione nella colonna d’acqua di sedimento fine, che si verifica principalmente durante la fase di carico della draga per effetto dello scarico dell’acqua in eccesso aspirata insieme al sedimento (overflow).
approccio integrato sempre più diffuso.
Predisposizione dei Piani di gestione e di programmi di misure per ogni distretto idrografico.
Direttiva Quadro sulla Strategia per l’ambiente marino (MSFD).
La movimentazione di sedimenti marini può indurre effetti non trascurabili sull’ambiente marino, pertanto è importante disporre di conoscenze dettagliate
La dispersione della nuvola di torbida così generata può danneggiare habitat sensibili eventualmente presenti in prossimità delle aree interessate, come ad esempio le praterie di Posidonia oceanica, la biocenosi del Coralligeno ecc.
Sulla base delle considerazioni sopra esposte diventa quindi importante disporre di conoscenze dettagliate e aggiornate dell’ambiente in cui si trovano i depositi, per poter prevedere e valutare sia gli effetti della movimentazione sia la scelta di eventuali opportune misure di mitigazione degli impatti.
L’ISPRA sin dal 1999, dapprima in collaborazione con le regioni Lazio ed Emilia-Romagna (ARPA Emilia-Romagna), ha condotto degli studi ambientali che hanno portato di recente alla messa a punto di un protocollo di monitoraggio ambientale specifico per tali attività, esportabile anche in altre realtà geografiche. Successivamente, infatti, la sperimentazione del protocollo stesso è stata esportata anche ad altre regioni italiane (Marche) e il protocollo così perfezionato è stato presentato anche in ambito europeo41.
Nel caso della messa in opera di cavi e condotte, riveste un ruolo centrale la caratterizzazione del sito di installazione a causa dei possibili fattori di rischio collegati alla messa in posa di questo tipo di infrastrutture. Sondaggi preliminari del fondale, studi su moto ondoso e correnti marine, ricerche storiche su relitti di imbarcazioni o residui bellici sommersi, devono essere eseguiti per comprendere la fattibilità tecnica e i vincoli del percorso prescelto per il collegamento, così come è rilevante la conoscenza dell’eventuale compresenza di altri cavi o condotte sul fondo del mare. Quindi, è importante prevedere, già in fase progettuale, una minimizzazione del danno e una mitigazione degli effetti mediante l’impiego di accorgimenti e modalità operative tali da permettere sia una riduzione della superficie direttamente impattata, sia un contenimento degli impatti nelle aree limitrofe.
In ambito europeo, il tema del dragaggio di sabbie relitte e/o sabbie del largo a fini di ripascimento è stato trattato sotto diversi aspetti (ingegneristico-progettuale, ambientale ed economico) nei seguenti progetti:
Progetto BEACHMED Programma Operazionale INTERREG IIIB – MEDOOC “Recupero ambientale e mantenimento dei litorali in erosione con l’utilizzo di depositi sabbiosi marini”.
Progetto BEACHMED-e Operazione Quadro Regionale, INTERREG IIIC “La gestione strategica della difesa dei litorali per uno sviluppo sostenibile delle zone costiere del Mediterraneo”.
Il quadro normativo di riferimento attualmente vigente in Italia, specifico per le attività di dragaggio delle sabbie relitte ai fini di ripascimento risulta essere ancora parzialmente in itinere. A oggi è ancora disciplinato dal Decreto Ministeriale 24 gennaio 1996 (attività istruttorie per il rilascio dell’autorizzazione) e dalla Legge 31 luglio 2002, n.179, che ha definito per le autorizzazioni il passaggio delle competenze dallo Stato alle Regioni.
Anche se non è possibile alterare le condizioni fisiche del mare o la distribuzione degli eventi di mareggiata, è possibile dotarsi di strumenti di osservazione e pianificazione per adattarsi e convivere con
dell’ambiente in cui si trovano i depositi.
Protocollo di monitoraggio ambientale specifico per attività di dragaggio messo a punto da ISPRA.
Sondaggi preliminari del fondale, studi su moto ondoso e correnti marine, ecc., devono essere eseguiti per la messa in opera di cavi e condotte.
Iniziative europee in tema del dragaggio di sabbie relitte.
Il monitoraggio degli eventi marini e l’analisi dei fenomeni, gli eventi naturali, anche quelli intensi, riducendo la vulnerabilità degli ambienti marini e costieri e, conseguentemente, il rischio.
Tale conoscenza è possibile mediante il monitoraggio continuo degli eventi marini e l’analisi approfondita dei fenomeni e della loro variabilità geografica e temporale. La mitigazione dei danni possibili, attuata attraverso la prevenzione, è importante soprattutto alla luce dei cambiamenti climatici, che potrebbero evidenziare nuove vulnerabilità e nuovi rischi.
In Italia sono operative ormai da molti anni due reti di monitoraggio a livello nazionale per l’osservazione dello stato del mare: la Rete Mareografica Nazionale (RMN) e la Rete Ondametrica Nazionale (RON), gestite dall’ISPRA.
I parametri rilevati dalle reti di monitoraggio RMN e RON, impiegati per la conoscenza dello stato del mare e dell’ambiente marino-costiero, sono condivisi e inseriti in progetti e network internazionali di osservazione del mare (programma Sea Level Observing System dell’Intergovernmental Oceanographic Comission (IOC); Global Telecommunication System (GTS) del World Meteorological Organization (WMO)) e da sempre sono di riferimento per gli interventi di pianificazione, progettazione e realizzazione delle opere marittime e di protezione costiera, nonché per la navigazione portuale e in mare aperto.
La Rete Mareografica Nazionale (RMN) (Figura 5.23), con 33 stazioni uniformemente distribuite sul territorio, è oggi la più importante rete di misura del livello del mare presente nel Mediterraneo.
consentono l’adattamento e la mitigazione degli effetti.
La Rete Mareografica Nazionale (RMN) e la Rete Ondametrica Nazionale (RON), dell’ISPRA, rilevanoi parametri per la conoscenza dello stato del mare e dell’ambiente marino- costiero.
La Rete Mareografica Nazionale (RMN) ha 33 stazioni di misura uniformemente distribuite sul territorio.
Figura 5.23: Rete Mareografica Nazionale: siti di misura42
La morfologia della nostra Penisola è particolarmente adatta a raccogliere dati di livello del mare utili e significativi non solo alla determinazione dell’andamento delle maree lungo le coste, ma anche a studiare e interpretare molti altri fenomeni che si determinano nel bacino mediterraneo. Fra i più rilevanti si possono citare le sesse43 (la
42 Fonte: ISPRA
43 Libere oscillazioni dell’intero bacino, il cui effetto si può sommare a quello delle maree più nota è certamente quella del mare Adriatico) e le onde anomale causate dai movimenti sismici, atteso che le tre principali e riconosciute zone tsunamigeniche del Mediterraneo interessano direttamente le coste italiane: una è situata tra lo Stretto di Gibilterra e il Canale di Sicilia, la seconda nel Tirreno meridionale e la terza lungo l’intero arco sottomarino ellenico.
Inoltre, la posizione e lo sviluppo costiero dell’Italia sono poi condizioni ideali per la raccolta di molti altri dati di elevato interesse meteo climatico e ambientale. La Rete Mareografica Nazionale acquisisce le informazioni e le caratteristiche di quattro sottoreti tecnologicamente integrate:
Rete per la misura del livello del mare e la determinazione delle maree e delle sesse;
Rete meteomarina delle coste italiane;
Rete per l’individuazione e la caratterizzazione tempestiva delle
onde anomale (tsunami) (Figura 5.24);
Rete per la caratterizzazione qualitativa di aree marine ambientalmente sensibili.
Figura 5.24: Rete onde anomale44
Con l’ampliamento, operativo dal 2010, è stata realizzata una rete estremamente avanzata che integra i quattro ambiti applicativi: mareografia, meteorologia, analisi onde anomale e qualità dell’acqua. Tutte le stazioni mareografiche della RMN sono dotate dei sensori radar (livello del mare), Tidron shaft-encoder (livello del mare), di temperatura/umidità dell’aria, di temperatura acqua, di velocità vento, di direzione vento, di pressione atmosferica. 10 stazioni sono inoltre dotate di una sonda multiparametrica con i seguenti parametri: temperatura acqua, pH, Redox, conducibilità.
I parametri rilevati dalle stazioni sono pubblicati sul sito di ISPRA (www.mareografico.it), in cui sono disponibili anche i valori dell’ampiezza di marea previsti per i porti principali e per quelli
secondari, riportati nella sezione dedicata alle tavole di marea.
La raccolta di lunghe serie temporali di dati meteo-oceanografici in mare aperto ha da sempre costituito un’esigenza dei meteorologi e degli oceanografi interessati a chiarire i meccanismi degli scambi tra il mare e l’atmosfera e la loro influenza nel comportamento dei due mezzi. Le misure in situ, tramite boe meteo-oceanografiche, rappresentano l’unico sistema in grado di fornire elementi diretti per la comprensione dei processi meteo-oceanografici in mare aperto. Esse costituiscono un riferimento essenziale per gli studi climatici e per quelli previsionali legati sia all’ambiente atmosferico sia a quello marino.
La Rete Ondametrica Nazionale (RON) dell’ISPRA, operativa dal 1989, è attualmente costituita (Figura 5.25) da quindici siti fissi di misura ubicati in maniera omogenea a largo delle coste italiane, a una distanza compresa entro 15 miglia nautiche dalla linea di costa e su fondali dell’ordine di 100 metri. Inoltre, la rete è sottoposta a continui sviluppi che, in considerazione dell’ottimo rendimento complessivo in termini di dati archiviati, permette di avere a disposizione una gran quantità di dati in tempo reale per elaborazioni scientifiche e tecniche.
Rete Ondametricaa Nazionale (RON).
61207 61208 61209 61210 61211 61212 61213 61214 61215 61216 61217 61218 61219 61220 61221
CATANIA MAZARA PALERMO CROTONE CETRARO SINISCOLA ALGHERO PONZA MONOPOLI CIVITAVECCHIA ORTONA ANCONA LA SPEZIA VENEZIA CAGLIARI
La Rete Ondametrica Nazionale (RON), operativa dal 1989, è costituita da 15 siti fissi di misura ubicati in maniera omogenea a largo delle coste italiane, a una distanza compresa entro 15 miglia nautiche dalla linea di costa e su fondali dell’ordine di 100 metri.
Figura 5.25: Ubicazione delle boe RON con codifica del WMO45
La RON è basata su stazioni di misura costituite da boe ondametriche direzionali con sensori accelerometrici allo stato solido, equipaggiate con una stazione meteorologica completa, che trasmettono i dati rilevati ogni 30 minuti via radio VHF (all’occorrenza su canale satellitare bidirezionale Inmarsat D+) ai corrispondenti centri di ricezione a terra e da questi concentrati in tempo reale al centro di controllo presso la sede dell’ISPRA.
La diffusione dei dati avviene in tempo reale, principalmente via internet all’indirizzo www.telemisura.it, e televideo RAI (alla pagina 719); inoltre, dal 2009, gli stessi sono diffusi mediante il Global
Telecommunication System (GTS) agli organismi nazionali e internazionali per la loro integrazione nei modelli previsionali a grande scala.
Dall’inizio del periodo di osservazione (1989) sono ormai disponibili serie storiche quasi ventennali per otto stazioni di misura e di circa dieci anni per le altre, mentre la copertura dei mari italiani è pressoché completa.
Se le reti monitoraggio dello stato del mare rilevano le condizioni correnti, uno strumento importante per la mitigazione del rischio associato al verificarsi di condizioni meteo-marine avverse e di tempeste in mare è la previsione dello stato del mare attraverso modelli numerici di simulazione.
Come noto, i processi fisici che determinano l’evoluzione dello stato del mare (moto ondoso, correnti, altezza di marea) sono fortemente legati alla dinamica atmosferica, che a sua volta interagisce in modo cruciale con la superficie marina (tramite scambi di quantità di moto, calore e umidità). Per questo, ad esempio, i modelli globali utilizzati per le simulazioni climatiche sono modelli accoppiati atmosfera- oceano.
Rimanendo nell’ambito delle previsioni a breve termine (alcuni giorni), è possibile trascurare la retroazione dell’evoluzione dello stato del mare (ad es. il trasporto di calore da parte delle correnti) sui processi dinamici e termodinamici dell’atmosfera, che si dispiegano su una scala temporale molto più rapida. È quindi possibile un accoppiamento unidirezionale (one-way) tra modelli meteorologici e modelli di previsione dello stato del mare. In altre parole, i modelli di previsione dello stato del mare (modelli ondametrici, modelli di previsione dell’elevazione della superficie marina, modelli oceanografici) possono essere eseguiti in “cascata” a un modello meteorologico che fornisce loro i valori delle forzanti atmosferiche (tipicamente vento e pressione superficiali) per tutta la durata della previsione.
Nell’ambiente mediterraneo, la previsione dei fenomeni atmosferici e della superficie marina deve tener conto di difficoltà particolari.
Il weather (tempo meteorologico) mediterraneo è caratterizzato dall’interazione bidirezionale tra fenomeni di grande scala (ad esempio, cicloni extratropicali di provenienza atlantica) e gli effetti di fattori locali “complessi” (orografia, distribuzione di terre e mari, ecc.) che generano fenomeni su piccola e media scala (tra i 10 e i 1.000 km). A sua volta, la qualità della previsione ondametrica dipende criticamente da quella della previsione del vento marino (lo stesso può dirsi per la previsione dell’altezza di marea rispetto a quella della pressione atmosferica superficiale). In conclusione, un buon sistema di previsione deve risolvere simultaneamente tutte le scale coinvolte nei fenomeni atmosferici, ossia necessita di una risoluzione dell’ordine di centinaia di metri su un dominio di integrazione ampio.
Sistemi di previsione dello stato del mare.
Figura 5.26: Previsione SIMM–POSEIDON della mareggiata del 10 novembre 2010, ore 9:0046
Il Sistema Idro-Meteo-Mare (SIMM) dell’ISPRA consiste di una cascata di modelli previsionali: il modello meteorologico ad area limitata BOLAM (Bologna Limited Area Model), che fornisce previsioni sul bacino mediterraneo con risoluzione orizzontale di 10 km; il modello ondametrico WAM (WAve Model), che prevede intensità, direzione e spettro del moto ondoso sul mar Mediterraneo alla stessa risoluzione; il modello oceanografico POM (Princeton Ocean Model) (in versione bidimensionale) e quello a elementi finiti VL-FEM che forniscono la previsione dell’elevazione superficiale marina sul mare Adriatico e sulla Laguna di Venezia rispettivamente. La parte marina del sistema è il SIMM-POSEIDON (Previsional Operational System for the mEditerranean basIn and the Defence of the lagOon of VeNice).
La mitigazione del rischio attraverso il SIMM avviene in due modi: diretto e indiretto. La previsione dei fenomeni “ad alto impatto” (Figura 5.26), marini (mareggiate, acqua alta a Venezia, ecc.) e terrestri (precipitazioni intense, alluvioni, ecc.), permette di programmare le attività umane in modo da rendere minore l’impatto dell’evento sulla società (modo diretto). Lo studio climatologico degli eventi permette la caratterizzazione su base statistica dei fenomeni collegati al ciclo idrologico o allo stato del mare (modo indiretto), e di estendere i climi ondosi in luoghi dove non sono presenti strumenti di misura, oppure in prossimità della costa, dove le statistiche delle misure in mare aperto non sono applicabili. Oltre alla pubblicazione delle previsioni dello stato del mare, altre applicazioni del SIMM- POSEIDON sono, ad esempio, il weather routing (ottimizzazione delle tratte delle navi in funzione delle condizioni meteo-marine) o il tracking del trasporto degli inquinanti in mare (come l’oil spill).
La previsione dei fenomeni ”ad alto impatto”, marini e terrestri, permette di programmare le attività umane in modo da rendere minore l’impatto dell’evento sulla società. Lo studio climatologico degli eventi permette, invece, la caratterizzazione statistica dei fenomeni collegati al ciclo idrologico o allo stato del mare.
Il SIMM- POSEIDON permette la previsione dei fenomeni marini “ad alto impatto” (mareggiate, acqua alta a Venezia, ecc.).
Per le numerose attività presenti lungo le coste è importante disporre di un sistema di previsione specifico per le aree costiere, per la programmazione a lungo termine e la progettazione delle opere e interventi di ripristino (SPC-Sistema di Previsione Costiero).
Figura 5.27: Struttura delle aree regionali (in nero) e delle aree costiere (in rosso) nel Sistema di Previsione Costiero47
La caratteristica principale del SPC è di poter considerare gli effetti che anche piccole variazioni della batimetria inducono nella propagazione delle onde verso la costa.
Tali effetti sono principalmente la rifrazione (le onde cambiano direzione e tendono a disporsi in modo che le linee di cresta siano parallele alle batimetrie), lo shoaling (progressiva crescita dell’onda all’avvicinarsi alla terraferma), l’attrito con il fondo, il frangimento.
Il Sistema di Previsione Costiero dell’ISPRA, operativo dal 2011, permette di considerare sei aree regionali all’interno delle quali sono individuate le aree costiere ad altissima risoluzione, su cui sono condotte le simulazioni numeriche (Figura 5.27).
Attualmente sono operative le aree costiere di Marina di Carrara, dell’Isola d’Elba e di Terracina.
In Figura 5.28 è possibile vedere le specificità della simulazione costiera rispetto a una previsione a larga scala (Figura 5.26).
Si distinguono chiaramente l’effetto della rifrazione dovuta alla batimetria e le zone dove avviene il frangimento vicino alla costa (striscia che passa dal colore giallo al blu).
Il Sistema di Previsione Costiero sarà presto integrato definitivamente nel SIMM-POSEIDON.
Sistema di Previsione Costiero (SPC).
Sistema di Previsione costiero (SPC), per la programmazione a lungo termine e la progettazione delle opere e interventi di ripristino.
Figura 5.28: Previsione costiera dello stato del mare per il 21 marzo 2010 ore 21:00 nell’area costiera di Marina di Carrara. Il colore rappresenta l’altezza significativa in metri48
Per lo studio della morfodinamica delle spiagge e della vulnerabilità delle aree costiere è necessario tuttavia integrare ai sistemi di conoscenza del mare anche programmi di osservazione periodica delle variazioni geomorfologiche della fascia costiera, in grado di fornire misure e indicazioni sull’entità delle modifiche e individuare, secondo il contesto urbano e ambientale, le aree più vulnerabili.
I dati territoriali telerilevati unitamente alle potenzialità dei sistemi GIS costituiscono ormai una tecnologia consolidata per programmi periodici di osservazione della costa, finalizzati alla conoscenza e al monitoraggio dell’ambiente marino-costiero, all’elaborazione di rapporti sullo stato delle aree costiere e all’aggiornamento di indicatori fisici ambientali che siano di supporto alla definizione di strategie di tutela e pianificazione delle zone costiere.
La maggior parte delle amministrazioni regionali costiere ha adottato tale tecnologia a supporto delle attività di programmazione degli usi e degli interventi di protezione a livello locale.
Il Sistema Informativo Geografico Costiero (SIGC), sviluppato in ISPRA, dispone della rappresentazione del territorio costiero uniforme a livello nazionale, con informazioni sui parametri geomorfologici caratteristici del territorio costiero, dati di analisi della dinamica evolutiva dei litorali, infrastrutture portuali, opere di difesa dei litorali dall’erosione, dati sull’occupazione del suolo e degli strumenti di salvaguardia legati alla gestione delle aree costiere. Il sistema integra coperture territoriali rilevate con tecniche di ricognizione e di diagnostica ambientale di tipo tradizionale (cartografia storica e foto aeree zenitali ortorettificate) e sperimentazioni con immagini satellitari ad alta risoluzione e foto aeree prospettiche.
Il Decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 116 e il suo decreto attuativo, Decreto 30 marzo 2010, n. 97 del Ministero della salute, stabiliscono le nuove norme tecniche relative alla gestione della qualità delle acque di
Il Sistema Informativo Geografico Costiero (SIGC) dispone della rappresentazione del territorio costiero, uniforme a livello nazionale, con informazioni geomorfologiche e antropiche.
Norme per la gestione delle acque di balneazione.
In particolare, il decreto attuativo fornisce la definizione dei criteri per determinare il divieto di balneazione, nonché modalità e specifiche tecniche per la prevenzione del rischio per la salute dei bagnanti. Infatti, l’obiettivo principale della Direttiva 2006/7/CE è quello di proteggere la salute umana dai rischi derivanti dalla scarsa qualità delle acque attraverso una strategia di prevenzione e miglioramento ambientale.
La procedura per la classificazione della qualità delle acque di balneazione si basa su un data-set di valori relativi a tre o quattro anni anziché sul risultato di un solo anno, rendendola così più realistica rispetto alla precedente.
Per un ulteriore livello di controllo, nel DM 30 marzo 2010, rispetto alla Direttiva 2006/7/CE, vengono fissati anche dei valori limite sui singoli campioni, superati i quali va applicato il divieto di balneazione fino al ripristino delle condizioni di sicurezza sanitaria. Tali valori sono pari a 200 ufc/100 ml per gli Enterococchi intestinali e a 500 ufc/100 ml per gli Escherichia coli.
Inoltre, poiché la nuova norma tiene in considerazione le valutazioni ambientali del territorio relativo a un’acqua di balneazione, la classificazione è meno suscettibile alle condizioni meteo avverse. Infatti, i campioni prelevati dopo eventi di inquinamento di breve durata, causati principalmente da forti piogge o situazioni eccezionali, se sfavorevoli e se previsti nel profilo delle acque di balneazione, possono essere esclusi ai fini dalla classificazione (non più di uno a stagione balneare).
Nella nuova gestione delle acque di balneazione, oltre al campionamento dei parametri microbiologici devono essere eseguite anche una serie di valutazioni ambientali, con particolare attenzione alle potenziali fonti di inquinamento. In particolare si deve tener conto di diversi fattori, quali la morfologia e le caratteristiche idro- geologiche del territorio e le specifiche condizioni meteo-marine dell’area. Per tale motivo, ogni acqua di balneazione dovrà avere un profilo che contenga, oltre ai dati identificativi dell’acqua stessa, la descrizione del territorio in cui essa è collocata e, soprattutto, informazioni circa gli impatti che potrebbero influire sulla qualità dell’acqua, tra cui l’eventuale previsione dell’inquinamento di breve durata e le adeguate misure di gestione adottate. I profili sono stati predisposti per la prima volta il 24 marzo 2011.
La redazione del profilo comporta un’attenta analisi del territorio cui l’acqua appartiene, rappresentando un utile strumento per i gestori, per identificare le possibili fonti di inquinamento che potrebbero influenzare la qualità della stessa acqua. Poiché il cittadino dovrà essere informato sullo stato qualitativo di un’acqua di balneazione, dovrà essere predisposta una versione sintetica del profilo, in cui riportare anche informazioni pratiche sulla presenza di eventuali servizi presenti nell’area.
Discorso a parte va fatto per i casi di proliferazione algale. Infatti, ormai da qualche anno, alcuni tratti di costa sono interessati da fenomeni di fioritura algale di specie potenzialmente tossiche quali l’Ostreopsis ovata. Nei casi di maggior rilievo le Autorità locali, a
Nella nuova gestione delle acque di balneazione, oltre al campionamento dei parametri microbiologici devono essere eseguite anche una serie di valutazioni ambientali, con particolare attenzione alle potenziali fonti di inquinamento.
Azioni e monitoraggi per Ostreopsis ovata.
scopo cautelativo, emettono dei provvedimenti di chiusura temporanea dei tratti di costa interessati dal fenomeno. Trattandosi di eventi di carattere eccezionale e non facilmente prevedibili detti provvedimenti non contribuiscono alla determinazione del giudizio qualitativo.
Tuttavia proseguono le attività annuali di monitoraggio delle fioriture di Ostreopsis ovata e di altri dinoflagellati bentonici tossici da parte delle ARPA. Il monitoraggio viene condotto in alcuni casi nell’ambito di progetti regionali o delle ARPA, in altri invece nell’ambito delle attività di monitoraggio delle acque destinate alla balneazione (D.Lgs. 116/2008), oppure come attività rientranti nel monitoraggio delle acque destinate alla molluschicoltura (Golfo di Trieste) (D.Lgs. 152/2006). ISPRA coordina la raccolta e l’elaborazione dei dati di monitoraggio, l’aggiornamento delle metodologie di campionamento e di analisi e le attività di sorveglianza, informazione, comunicazione e gestione in caso di fioriture tossiche.
Lo scambio di informazioni avviene tramite seminari e report annuali, nonché attraverso il portale sulle alghe tossiche del sito ISPRA a cui gli addetti ai lavori possono accedere.
Per quanto riguarda il 2010, la scelta delle stazioni di prelievo ha tenuto conto delle esperienze maturate sul campo dagli operatori, in relazione soprattutto alle caratteristiche idromorfologiche che più frequentemente si associano allo sviluppo di fioriture bentoniche.
È stato inoltre considerato il grado di fruizione turistica dei tratti di costa, selezionando stazioni in corrispondenza di località con elevato turismo balneare49.
Le attività di monitoraggio e di studio sono state condotte generalmente nel periodo compreso tra giugno e fine settembre 2010 e, in pochi casi, fino a ottobre (Campania, Sicilia) o dicembre (Basilicata), con una frequenza quindicinale o mensile.
Sono stati prelevati campioni di acqua e/o macroalghe per la ricerca delle microalghe tossiche implicate nelle fioriture e in alcuni casi anche organismi marini eduli, sui quali è stata condotta la caratterizzazione e la quantificazione delle tossine qualora gli organismi fossero risultati positivi al mouse test50.
Nell’attesa della definizione delle concentrazioni soglia critiche per il consumo umano, quando i campioni di mitili sono risultati positivi al mouse test è stata vietata la raccolta dai banchi naturali (Campania).
I parametri chimico-fisici dell’acqua rilevati sono registrati su un’apposita scheda di campo, unitamente a informazioni sul sito di campionamento, eventuali segnali di manifesta fioritura microalgale o stati di sofferenza di organismi marini (ricci, mitili, stelle marine, pesci). Ove si riscontri una significativa fioritura di O. ovata viene emanata un’ordinanza di chiusura alla balneazione delimitando temporaneamente la zona con idonea cartellonistica.
Le metodologie di campionamento adottate nella maggior parte dei casi sono quelle descritte nei protocolli operativi APAT/ARPA (2007), mentre alcune ARPA (Puglia, Molise, Calabria, Friuli-Venezia Giulia) hanno utilizzato prioritariamente, o in aggiunta ai protocolli condivisi,
49 ISPRA, Rapporto n. 148/2011
50 Test di tossicità effettuato sui topi
Il monitoraggio di
Ostreopsis ovata
prosegue annualmente a livello nazionale.
Metodologie di campionamento.
un metodo di campionamento ritenuto più veloce, noto come metodo della “siringa”51.
È stata rilevata una consistente variabilità su scala temporale e spaziale nelle dinamiche delle fioriture occorse nell’anno di studio, il che rende ancora difficili i confronti con i dati raccolti in precedenza, impedendo anche di chiarire alcuni aspetti legati all’innesco delle fioriture, il raggiungimento del massimo di sviluppo e il loro declino, nonché di spiegare il ruolo giocato dai nutrienti.
Sebbene il problema dell’eutrofizzazione sia molto complesso, i principi di base e i fattori che provocano l’innalzamento dei livelli trofici sono stati compresi abbastanza a fondo, ed è possibile definire alcuni punti fermi che costituiscono il riferimento per le strategie di controllo del rischio eutrofico (Ministero dell’ambiente – ICRAM, 2000).
L’azione prioritaria da intraprendere consiste sempre nel controllare i carichi di nutrienti generati e liberati dai bacini, in modo da consentire un abbassamento sostanziale dei valori di concentrazione sia di azoto sia di fosforo nella colonna d’acqua: non ha molto senso parlare di fattori limitanti la crescita algale, se entrambi i nutrienti sono presenti in eccesso nelle acque costiere.
L’analisi dei dati contenuti nella banca dati Si.Di.Mar. del MATTM sul monitoraggio marino costiero condotto dalle regioni (ex lege 979/82) e i risultati delle indagini condotte da ISPRA, hanno confermato per l’Adriatico la tendenza alla fosforo-limitazione, tendenza che appare consolidarsi rispetto alla situazione in atto negli anni ’80 – primi anni ’90 in termini di aumento dei casi di fosforo- limitazione sul totale delle osservazioni52.
Il prevalere di casi di fosforo-limitazione è riscontrabile anche in tratti costieri del mar Ligure e del Tirreno, tuttavia situazioni di questo tipo sono sempre localizzabili in ambiti circoscritti, per lo più in corrispondenza di aree urbanizzate e di foci di fiumi, che riversano a mare elevati carichi di azoto.
L’analisi puntuale dei dati per quasi tutte le regioni tirreniche dimostra che nella gran parte dei casi osservati prevale l’azoto-limitazione.
Il fosforo rimane perciò l’elemento su cui maggiormente devono essere rivolti gli sforzi per contrastare l’eutrofizzazione costiera (laddove essa è presente o il rischio eutrofico non è trascurabile) e su cui le politiche nazionali di controllo dell’eutrofizzazione possono avere maggior efficacia.
L’eutrofizzazione è uno degli 11 descrittori qualitativi della Direttiva quadro sulla Strategia per l’ambiente marino dell’Unione Europea e, in quanto tale, va utilizzato nell’ambito della valutazione iniziale dello stato dell’ambiente marino e della determinazione dei requisiti per il buono stato ambientale, da effettuarsi entro il 2012.
Ai fini del raggiungimento ovvero del mantenimento del “buono stato
51 Abbate M., Bordone A., Cerrati G., Peirano A., 2010, Nuova metodica per il campionamento della microalga ticoplanctonica Ostreopsis ovata Fukuyo 1981, ENEA RT/2010/7/ENEA ISSN/0393-3016
52 Giovanardi F. and R.A. Vollenweider, 2004, Trophic conditions of marine coastal waters: experience in applying the Trophic Index TRIX to two areas of the Adriatic and Tyrrhenian seas, J. Limnol., 63(2): 199-218
Nelle strategie di controllo del rischio eutrofico, l’azione prioritaria da intraprendere consiste sempre nel controllare i carichi di nutrienti generati e liberati dai bacini, in modo da consentire un abbassamento sostanziale dei valori di concentrazione sia di azoto sia di fosforo nella colonna d’acqua.
Ai fini del raggiungimento ovvero del mantenimento del “buono stato ambientale”, è necessario ridurre al minimo l’eutrofizzazione di origine antropica, in particolare i suoi principali effetti negativi quali perdita di biodiversità, degrado dell’ecosistema, fioriture algali nocive e carenza di ossigeno nelle acque di fondo.
Prima del recepimento delle direttive europee di riferimento sulla qualità dell’ambiente marino, l’orientamento prevalente in tema di controllo e pianificazione ambientale era quello teso a individuare e rimuovere le cause dell’eutrofizzazione, con una valenza soprattutto di tipo gestionale: la questione dei livelli trofici doveva essere trattata secondo un approccio integrato che considerava gli aspetti sia scientifici sia socio-economici come strettamente interrelati. Le acque costiere, il territorio gravante sulla zona costiera, i grandi bacini afferenti con le relative attività antropiche, i carichi di nutrienti, ecc., rappresentano il sistema totale, di cui le componenti naturali e quelle socio-economiche sono i rispettivi sotto-sistemi. Questo tipo di approccio mantiene ovviamente intatta tutta la sua validità, ed è quello che caratterizza la cosiddetta Gestione Integrata delle Zone Costiere. Per gli aspetti relativi all’eutrofizzazione, il DM 260/2010 richiede di valutare l’EQB fitoplancton, attraverso la misura della quantità di biomassa, espressa come concentrazione di clorofilla “a”. Sono richieste, come elementi a supporto, anche altre variabili ambientali di tipo idrologico (temperatura, salinità, trasparenza); chimico-fisico (ossigeno disciolto, pH); chimico (nutrienti nelle loro varie forme). I programmi di monitoraggio previsti dal nostro attuale ordinamento legislativo (DM 56/2009) sono stati pianificati e sono condotti in linea con le richieste della Direttiva 2000/60/EC.
La politica di conservazione del complesso delle specie marine deve essere in grado di mitigare gli effetti (diretti o indiretti) delle attività di prelievo e di degrado ambientale diffuso, affrontando così aspetti quali la lotta all’inquinamento e il divieto di attività che determinano la distruzione fisica degli habitat di cui hanno bisogno le specie per sopravvivere.
La conservazione dell’ambiente e delle specie marine in Italia si basa su provvedimenti nazionali (ad esempio, Legge 503/1981, Legge 979/1982, Legge 394/1991, Legge 157/1992, Legge 59/1993, Legge 175/1999, DL 275/2001, DPR 357/1997, DM 3/05/1989, DM 16/10/1998, Regolamento 1626/1994) derivanti dalle convenzioni internazionali e da specifici regolamenti e direttive comunitarie. Durante l’ultimo decennio alcune convenzioni internazionali e direttive europee, in particolare la Convenzione sulla Diversità Biologica, la Convenzione di Barcellona, la Direttiva 92/43/CEE, la Direttiva 79/409/CEE, recepite dall’Italia hanno delineato un quadro legislativo che conferisce lo status di “specie protetta/minacciata” o di “specie meritevole di tutela” a un numero di specie marine mediterranee molto più consistente che quello proposto da strumenti legislativi precedenti (Relini, 1999).
Le specie marine presenti nei mari italiani e riconosciute come specie minacciate/in pericolo e meritevoli di massima protezione nell’insieme degli strumenti internazionali e comunitari sono 86.
Generalmente il regime di protezione previsto da tali strumenti normativi comporta misure atte a contrastare la repentina riduzione
al minimo l’eutrofizzazione di origine antropica.
Provvedimenti nazionali per la conservazione dell’ambiente e delle specie marine
numerica degli esemplari appartenenti alle specie meritevoli di protezione, mediante l’introduzione di divieti quali: detenzione, prelievo intenzionale di qualsiasi sorta, commercio ed esposizione, disturbo durante particolari fasi del ciclo biologico (ad esempio durante le fasi di riproduzione, migrazione, svernamento, muta, nel caso di specie faunistiche), sradicamento e prelievo di parti (nel caso delle specie floristiche).
In alcuni casi la normativa prevede anche una garanzia di protezione di natura spaziale, mediata dall’istituzione di aree speciali di conservazione, garantendo cosi la possibilità di mitigare alcuni impatti di origine antropica attraverso la gestione di specifiche attività in zone selezionate (Direttiva Habitat).
La protezione di alcune specie minacciate e di particolari habitat bentonici non è tuttavia perseguibile solo mediante l’applicazione del divieto di prelievo intenzionale, o mediante la protezione di zone importanti per specifiche fasi del ciclo biologico di una determinata specie.
Infatti, la vulnerabilità di alcune specie e habitat può essere imputata, in alcuni casi, alle interazioni (protratte nel tempo o nello spazio)53 con particolari attrezzi da pesca.
Conseguentemente, la loro mitigazione può richiedere specifiche misure di gestione dell’attività di pesca, le quali dovranno essere definite solo a seguito di un’esaustiva valutazione.
A titolo d’esempio, il Regolamento 1967/2006 prevede il divieto di pesca con attrezzi trainati su alcuni popolamenti che costituiscono habitat marini particolarmente vulnerabili, quali: le praterie di fanerogame, il coralligeno e i letti a Mäerl.
Il fenomeno dell’invasione delle specie aliene ha determinato la produzione di numerose diposizioni nazionali e internazionali per la salvaguardia della biodiversità marina.
Oggi le specie aliene rappresentano uno dei descrittori dello stato dell’ambiente marino nell’ambito della Direttiva Quadro sulla Strategia per l’ambiente marino.
In particolare, individua nell’introduzione di specie alloctone una delle principali minacce alla biodiversità in Europa e impone, in maniera specifica, agli Stati membri di considerare le specie invasive nella descrizione del buono stato ecologico.
In ambito nazionale, già dal 2002, a seguito della Convenzione stipulata tra il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e l’allora Istituto Centrale per la Ricerca Scientifica e Tecnologica applicata al Mare (ICRAM), oggi ISPRA, si è dato il via a un ampio progetto di ricerca per la “Realizzazione di una base conoscitiva concernente l’identificazione e distribuzione nei mari italiani delle specie non indigene”.
In tale ambito è stata realizzata una banca dati per le specie aliene presenti nel Mediterraneo appartenenti a otto taxa (cnidari, tunicati, crostacei decapodi, pesci, molluschi, vegetali marini, briozoi e policheti).
Inoltre è stato creato un atlante tassonomico per l’identificazione e la
53 Tunesi L., Agnesi S., Clò S., Di Nora T., Mo G., 2006, La vulnerabilità delle specie protette ai fini della conservazione. Biol. Mar. Mediterr., 13(1): 446-455
Progetto di ricerca per la “Realizzazione di una base conoscitiva concernente l’identificazione e distribuzione nei mari italiani delle specie non indigene”.
I risultati di questo progetto rappresentano un’ottima base di partenza per affrontare il fenomeno delle specie aliene che, essendo in continua evoluzione, necessita di un costante monitoraggio.
Sostanze inquinanti quali i metalli pesanti, i composti organici persistenti, i prodotti del petrolio, gli elementi radioattivi rappresentano fattori di contaminazione che concorrono alla valutazione della qualità di un ambiente marino costiero, andando a integrare il giudizio espresso sullo stato ecologico.
Lo studio e la valutazione delle concentrazioni di questi contaminanti nell’ambiente marino, costituisce l’oggetto di numerosi programmi di monitoraggio nazionali e internazionali, così come previsto da convenzioni sovranazionali, che vincolano gli Stati firmatari ad adottare misure di protezione nei confronti dell’ambiente marino. In particolare, valutare il destino ambientale di questi contaminanti e i trend delle loro concentrazioni nei comparti ambientali è parte integrante delle finalità della Convenzione di Barcellona che, attraverso l’implementazione di specifici protocolli, come il Protocollo LBS (Land-Based Sources), tendono ad apportate limitazio ni all’introduzione e all’utilizzo per molte sostanze inquinanti, con particolare attenzione per quelle tossiche, bioaccumulabili e persistenti. Le sostanze con queste caratteristiche, infatti, rivestono particolare interesse in quanto, anche a basse concentrazioni, tendono ad accumularsi nei tessuti adiposi degli organismi acquatici e possono raggiungere concentrazioni tali da costituire una minaccia per la salute umana.
Allo scopo di minimizzare questo rischio, la Convenzione di Stoccolma (2001) ha individuato una lista di sostanze di sintesi, non presenti naturalmente ma introdotte dall’uomo nell’ambiente (xenobiotiche), da ridurre e progressivamente eliminare dai processi produttivi, quali: policlorobifenili, pesticidi clorurati, policlorodibenzodiossine e policlorodibenzofurani.
Da ultimo, le Direttive comunitarie 2000/60/CE e 2008/56/CE includono specifiche raccomandazioni finalizzate al miglioramento dello stato di qualità delle acque marine mediterranee attraverso l’analisi, la gestione e il monitoraggio delle componenti legate alla contaminazione chimica del mare.
Un’indagine condotta a partire dal 2004, attraverso lo sviluppo di progetti internazionali nell’ambito dell’Unione Europea, ha portato a una prima definizione del grado di contaminazione chimica delle acque marino-costiere a scala di intero bacino mediterraneo, utilizzando come bio-indicatori i mitili.
Dai risultati ottenuti mediante la metodologia “Active Mussel Watch”, sono state individuate delle aree definite hot spot, ovvero siti che presentano alti valori di accumulo in relazione ad alcune classi di contaminanti definite prioritarie dalla Direttiva Quadro sulle Acque. Per l’Italia sono state individuate le seguenti località: La Maddalena, i golfi di Napoli e di Taranto.
I risultati di seguito riportati fanno riferimento a 6 anni d’indagini svolte in tre distinti progetti di ricerca finanziati da: programmi
Lo studio e la valutazione delle concentrazioni di metalli pesanti, composti organici persistenti, prodotti del petrolio ed elementi radioattivi, costituisce l’oggetto di numerosi programmi di monitoraggio nazionali e internazionali.
I programmi di ricerca comunitari volti alla cooperazione transfrontaliera tra Stati membri (Interreg III B); strumenti di partenariato e vicinato (MEDA); Programma per l’ambiente delle Nazioni Unite (UNEP).
In tali progetti sono stati coinvolti 16 Paesi delle sponde sud e nord del Mediterraneo, 21 partner, tra i quali Istituti di ricerca marina e Organismi internazionali come l’UNEP MAP e il CIESM (The Mediterranean Science Commission).
ISPRA, attraverso la realizzazione di 10 campagne oceanografiche di ricerca, ha partecipato a questi progetti che hanno contribuito a formare una rete di sorveglianza sulla contaminazione chimica nell’ambiente marino mediterraneo (Figura 5.29).
Figura 5.29: Stazioni artificiali di campionamento: Progetti Mytilos, MytiMed e MytiAd (2004-2009)54
Le concentrazioni maggiori di PCBs riferite alle aree hot spot (Figura 5.30) riflettono l’andamento riscontrato per altre classi di contaminanti inorganici e organici come i metalli pesanti e le diossine.
Tale evidenza dimostra come il più pesante impatto sull’ambiente mediterraneo provenga dalle aree maggiormente urbanizzate e/o interessate da intensa attività industriale.
Risultato, questo, confermato dall’analisi dei dati a scala di intero bacino mediterraneo dove, ad esempio, anche i tratti costieri influenzati dalle aree metropolitane di Barcellona, Marsiglia e Algeri devono essere classificati come hot spot.
54 Fonte: B. Andral, F. Galgani, C. Tomasino, M. Bouchoucha, C. Blottiere, A. Scarpato, J. Benedicto, S. Deudero, M. Calvo, A. Cento, S. Benbrahim, M. Boulahdidi and C. Sammari, 2011, Chemical contamination baseline in the Western basin of Mediterranean Sea based on transplanted mussels. Arch. Env. Tox. Cont. 61(2): 261-71
Rete di sorveglianza sulla contaminazione chimica nell’ambiente mediterraneo.
Figura 5.30: Elaborazione GIS delle concentrazioni di PCB rilevate in tessuti di mitili nell’ambito dei Progetti Mytilos, MytiMed e MytiAd (2004-2009)55
L’analisi statistica dei risultati ottenuti nelle diverse campagne di monitoraggio ha consentito di ricostruire le curve di distribuzione di probabilità per ciascuna classe di contaminanti.
Su questa base è stato predisposto un preliminare criterio di classificazione relativo ai tassi di accumulo: alto/medio/basso, rispetto all’estensione complessiva dei valori riscontrati nell’area mediterranea. A titolo di esempio, la Figura 5.31 riporta le curve di distribuzione di probabilità per i policlorobifenili (PCBs) e per i prodotti di degradazione (DDs) del pesticida DDT, con la posizione relativa, sul totale delle misure effettuate, di alcune località di interesse individuate lungo lo sviluppo costiero italiano.
Da segnalare la posizione occupata dalle tre stazioni situate nel Golfo di Napoli, le quali presentano valori di concentrazione confrontabili con i valori massimi registrati nel Mediterraneo.
Si evidenzia, inoltre, l’effetto di fondo del fiume Po nel mantenere mediamente elevati i valori di accumulo di questi contaminanti nelle stazioni dell’Adriatico settentrionale e centrale.
55 Fonte: Scarpato A., Romanelli G., Galgani F., Giovanardi F., Giordano P., Calvo M., Caixap J., BenBrahim S., Sammari C., Deudero S., Boulahdid M. & Andral B., 2010, Western Mediterranean coastal waters-Monitoring PCBs and Pesticides accumulation in Mytilus galloprovincialis by active mussel watching: the Mytilos project. J. Environ. Monit.. 12: 924-935
Le concentrazioni maggiori di PCBs riferite alle aree hot spot (Figura 5.30) riflettono l’andamento riscontrato per altre classi di contaminanti inorganici e organici come i metalli pesanti e le diossine.
Il più pesante impatto sull’ambiente mediterraneo proviene dalle aree maggiormente urbanizzate e/o interessate da intensa attività industriale.
1 0.9 0.8 0.7 0.6 0.5 0.4 0.3 0.2 0.1 0
Naples
Naples
Gaeta Forte dei Marmi
Bagnoli
Porto Garibaldi
Po River Mouth Ravenna
Sarno R.
La Maddalena Gaeta
Bagnoli Taranto
North ern Adriatic
Coastal Area
s
1 10 100
1000
[DD’s] (μg/kg D.W.)
[PCBs] (μg/kg D.W.)
Figura 5.31: Distribuzione di probabilità cumulata e localizzazione di alcune stazioni di monitoraggio del Nord Adriatico e di altre aree critiche (2004-2009)56
Il Progetto Mussel watch non si può considerare concluso.
È prevista un’ulteriore estensione della rete di sorveglianza ad aree ancora non controllate come le coste della Turchia.
In questo contesto, ISPRA continuerà a collaborare con il network di partner internazionali costituito in questi anni, partecipando alla presentazione di una nuova proposta progettuale denominata “Chemical Active Reduction in Mediterranean Sea”.
56 Fonte: Dati ISPRA, in fase di pubblicazione. Romanelli G., Amici M., Perini V., Parravano R., Ronci A., Scarpato A. Valutazione della qualità dell’ambiente marino-costiero mediante mussel watch attivo: bioaccumulo di PCB in campioni di Mytilus galloprovincialis. Convegno CoNISMA per le scienze del mare “Quali mari italiani?”, Lecce, 5-7 novembre 2008
Cumulative Probability Function
GLOSSARIO
CLIMA ONDOSO:
Studio statistico delle direzioni caratteristiche delle onde.
DINAMICA LITORANEA:
Evoluzione morfodinamica dei litorali. Dipende essenzialmente dall’azione del mare (moto ondoso, maree, correnti, tempeste), ma è influenzata anche da tutte quelle azioni dirette e indirette, naturali e antropiche, che intervengono sull’equilibrio del territorio costiero modificandone le caratteristiche geomorfologiche.
EUTROFIZZAZIONE:
Processo degenerativo dell’ecosistema acquatico dovuto all’eccessivo arricchimento in nutrienti (fosforo e azoto), tale da provocarne un’alterazione dell’equilibrio.
EUSTATISMO:
Innalzamento o abbassamento del livello del mare.
OSTREOPSIS OVATA: Dinoflagellato potenzialmente tossico.
QUALITÀ ECOLOGICA:
Ottenuta misurando lo scostamento dai valori di naturalità, ovvero di riferimento, degli Elementi di Qualità Biologica (EQB) fitoplancton, macroinvertebrati bentonici, macroalghe, angiosperme.
RIPASCIMENTO:
Tecnica che consiste nel ricostruire la spiaggia erosa immettendo del materiale idoneo, sia dal punto di vista granulometrico sia composizionale.
SESSE:
Libere oscillazioni dell’intero bacino, il cui effetto si può sommare a quello delle maree.
SPECIE ALLOCTONE O NON INDIGENE:
Animali o vegetali che penetrano o vengono introdotti volontariamente o accidentalmente dall’uomo in areali diversi da quelli di origine.
310
BOX DI APPROFONDIMENTO
Box 1:Laguna di Venezia
La Laguna di Venezia, con i suoi 50.000 ha di estensione, è la più grande e la più importante del nostro Paese. La sua dinamica è il frutto di una molteplicità di fattori, naturali e antropici: l’abbassamento del suolo, naturale e indotto, le oscillazioni del livello del mare, di lungo e medio periodo, l’apporto di sedimenti fluviali, la dinamica delle acque marine lungo la costa.
L’intervento umano è sempre stato rilevante in un ambiente così soggetto all’intersecarsi di delicatissimi equilibri che ne permettono l’esistenza. Un ambiente lagunare, per definizione, è in continuo divenire, destinato naturalmente a trasformarsi in un braccio di mare o a interrarsi. L’opera umana, sin dai tempi della Serenissima, è sempre stata orientata a mantenere costanti le condizioni favorevoli non solo all’insediamento umano, ma anche alla pesca, alla navigazione, alla difesa militare, allo scambio delle merci, ai trasporti e, nell’ultimo secolo, anche alla produzione industriale.
L’intervento ingegneristico si realizzò nella diversione di alcuni fiumi e corsi d’acqua minori che originariamente sfociavano all’interno della laguna o nelle sue immediate vicinanze. L’apporto di sedimento fluviale era causa di notevoli interrimenti di ampie zone della laguna. Anche le bocche di porto, non armate, erano interessate dalla formazione di barre sabbiose subacquee che costituivano un serio problema per l’ingresso in laguna delle imbarcazioni da carico. Per scongiurare questo rischio, imponenti opere idrauliche furono condotte sui tratti terminali del Brenta, del Piave, del Sile e del Po.
Viceversa, la necessità di proteggere la laguna dall’aggressività del mare fu la motivazione della costruzione di imponenti difese a mare, in particolare dei “Murazzi”, che rinforzavano la difesa litoranea della laguna. Allo stesso fine, per dare sfogo alla propagazione della marea e limitare gli effetti dell’acqua alta all’interno del bacino lagunare, soprattutto nei centri abitati, venne definito un perimetro (“contermine lagunare”) entro il quale non era consentito bonificare barene ed edificare qualsiasi opera che modificasse l’equilibrio idraulico raggiunto. Il contermine lagunare, lungo ben 157 km, separa nettamente il bacino lagunare dai territori circostanti e dal mare.
La Laguna di Venezia, posta all’estremità settentrionale di un bacino semichiuso, qual è il mar Adriatico, registra le oscillazioni di marea più importanti di tutto il mar Mediterraneo, assieme al golfo di Gabés (Tunisia).
Il mar Adriatico, che si sviluppa per 800 km di lunghezza e 100 km di larghezza media, costeggiato da catene montuose, unitamente ai bassi fondali della sua parte settentrionale, si presta alla genesi di storm surges (sovralzi del livello marino concomitanti con perturbazioni meteorologiche) indotti in particolare da venti di Sud-Est (scirocco). Da ricordare inoltre l’effetto “memoria” di questo bacino che si manifesta con le “sesse”, ovvero libere oscillazioni dell’intero bacino, il cui effetto si può sommare a quello delle maree, in quanto hanno periodicità confrontabili.
Il fenomeno dell’acqua alta, tipicamente indotto da una differenza di pressione tra alto e basso Adriatico, viene esaltato in particolare dal
311
vento di scirocco, che insacca le acque su tutta la costa settentrionale. Detto fenomeno, avvertito in maniera clamorosa nel centro storico veneziano, interessa in realtà tutta la fascia costiera nord adriatica dalla foce dell’Isonzo sino a Rimini. L’evento di acqua alta, infatti, non solo costituisce un problema per i centri urbani ma espone al rischio di erosione i litorali sabbiosi tipici di questa zona.
Da non sottovalutare, infine, che la pianura costiera si trova sotto il livello medio del mare per una fascia di diversi chilometri di larghezza, che nella zona deltizia del Po si allarga per decine di chilometri. Tutte queste aree sono state bonificate per essere dedicate a usi agricoli. Conclude il quadro dell’area la presenza di numerosi fiumi pensili nei loro tratti terminali.
La coesistenza di questi fattori di rischio potenziale ha reso necessaria l’adozione di adeguate misure di protezione di questi territori.
In particolare, sin dall’istituzione del Magistrato alle Acque di Venezia (1501), era evidente che le opere di protezione dalle mareggiate da un lato, la libera espansione della marea e la diversione dell’alveo dei fiumi dall’altro, costituivano, allora come oggi, una risposta alle pressioni esercitate dai fenomeni naturali.
È da riferirsi al 1872 l’inizio delle rilevazioni scientifiche delle altezze di marea all’interno della laguna, pur essendo noti precedenti eventi storici di acqua alta. In questo contesto, la Rete Mareografica della Laguna di Venezia (RMLV), che consta oggi di una quarantina di mareografi interni alla laguna e una dozzina sulla costa, permette di monitorare l’andamento della marea e di altre grandezze fisiche quali la pressione atmosferica e il regime dei venti in punti diversi della costa e della laguna.
La RMLV, integrata con la Rete Mareografica Nazionale (RMN), garantisce un monitoraggio continuo della situazione mareografica- meteorologica su tutte le coste italiane.
Tale abbondanza di osservazioni capillari, disponibili in tempo reale, permette di elaborare la previsione del regime della marea in prossimità dei centri abitati interni ed esterni alla Laguna di Venezia più interessati dal fenomeno dell’acqua alta.
Tali previsioni, calcolate mediante modelli statistici e aggiornate almeno ogni tre ore, sono divulgate attraverso il portale web www.ispravenezia.it, garantendo la costante informazione nel corso della giornata.
La previsione degli andamenti di breve periodo, però, non va disgiunta dall’analisi di lungo periodo.
Infatti, se fenomeni di storm surge si dissipano nel volgere di pochi giorni, esistono dei fenomeni di lungo periodo che richiedono monitoraggi e analisi costanti nel tempo.
Come è noto, infatti, i terreni della fascia costiera nord adriatica tendono a compattarsi nel tempo per via della loro composizione: tale fenomeno viene definito subsidenza.
A partire dagli anni ’20 del XX secolo, questo fenomeno naturale è stato accelerato nella zona di Venezia da massicce estrazioni di acqua di falda per utilizzi industriali nella vicina zona industriale di Porto Marghera. Infatti, la diminuita pressione delle falde ha contribuito a un rapido compattamento dei terreni. Successivamente alla chiusura dei pozzi si è notato un significativo rallentamento della crescita del livello
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medio mare a Venezia, che misura indirettamente la perdita di altezza del suolo cittadino.
La perdita di altezza relativa dei suoli non è da imputare in via esclusiva alla subsidenza, sia essa di origine naturale o antropica, ma anche all’eustatismo, ovvero l’innalzamento del livello del mare, dovuto essenzialmente a fenomeni di riscaldamento globale.
La misura della marea nell’area veneziana risente di entrambi gli effetti. Fortunatamente, l’esistenza di un altro mareografo storico, quello della città di Trieste, che si trova in un territorio geologicamente non interessato da evidenti fenomeni di subsidenza, ne ha permesso il calcolo attraverso il confronto tra le due serie.
Infatti, mentre la misura del livello medio mare di Venezia è comprensiva sia del contributo della subsidenza sia quello dell’eustatismo, la misura del medio mare di Trieste tiene conto solamente di quest’ultimo. Differenti andamenti del livello medio mare sono quindi da ascrivere esclusivamente all’effetto della subsidenza.
40
30
20
10
0
-10
L.m.m. VE – Punta Salute L.m.m. TS – Molo Sartorio
Media mobile (11 anni) Punta Salute Media mobile (11 anni) Trieste
Figura 1: Livello medio mare a Venezia e Trieste57
L’andamento del livello medio mare a Venezia ha registrato una crescita violenta, specialmente nel 2009 e 2010.
Quest’ultimo anno, in particolare, si configura come il massimo assoluto mai raggiunto in precedenza.
Dai confronti con altre stazioni della RMN appare evidente che questo non è un fenomeno tipicamente veneziano, ma caratteristico del bacino mediterraneo.
L’impressionante crescita del livello medio del mare a Venezia (Figura 1) è stata accompagnata da ben 18 casi di acqua alta con valori ≥ 110 cm nel corso dell’anno.
Anche per classi di altezza minori, che generano allagamenti di limitate e circoscritte aree cittadine, il 2010 ha costituito un record assoluto. Infatti, la permanenza di campi di bassa pressione per buona
57 Fonte: ISPRA
313
1870
1880
1890
1900
1910
1920
1930
1940
1950
1960
1970
1980
1990
2000
2010
livello medio mare annuale (cm)
parte dell’anno ha fatto si che il livello medio mare si mantenesse elevato anche in periodi tradizionalmente non critici per l’acqua alta. Tale fenomeno è stato particolarmente rilevante per le maree medio- alte (da 80 cm sino ai 109): nel 2010 si sono registrati ben 101 casi di marea compresi tra 80 e 89 cm (64 nel 2009), 46 casi tra 90 e 99 cm (25 nel 2009), 30 casi tra 100 e 109 cm (17 nel 2009).
Dalla Figura 2 è evidente che l’eccezionale aumento dei casi nelle classi inferiori, fenomeno silente e poco eclatante, sia in realtà la spia di un cambiamento preoccupante in atto sin dalla metà degli anni ’90.
Figura 2: Casi di acqua alta per classi di altezza58
Il progressivo aumento dei casi di acqua alta ha generato, da diversi decenni, un vivace dibattito sulle modalità da adottarsi per la protezione della laguna e del suo habitat, per la vivibilità dei centri urbani, la sostenibilità dei traffici commerciali, la pressione turistica e industriale su tutta l’area costiera.
Nell’area costiera prospiciente la Laguna di Venezia e al suo interno sono stati effettuati numerosi interventi: di rinforzo e ripascimento della fascia costiera dalle foci del Piave sino a quelle del Brenta; di rinforzo delle dighe poste a protezione delle bocche di porto di Lido, Malamocco e Chioggia; di protezione e rafforzamento delle barene all’interno della laguna, nonché loro costruzione ex novo; rinaturalizzazione di alcune zone della terza zona industriale di Porto Marghera; costruzione delle lunate a protezione delle bocche di porto; creazione di una nuova isola artificiale all’interno della bocca di porto di Lido, opere collegate alla costruzione e alla futura messa in esercizio delle barriere mobili di difesa dalle acque alte (Mo.S.E.). Gli impatti di queste complesse opere sono chiaramente importanti, in termini sia di modifiche morfologiche sia di cambiamenti negli assetti idraulici interni alla laguna, tuttavia la loro valutazione esula dalle finalità di questo box.
Ciò nonostante, alcuni cambiamenti in atto possono essere riconosciuti nelle mutate caratteristiche della propagazione della marea all’interno della laguna. In particolare, i tempi di propagazione sono lievemente aumentati negli ultimi anni, mentre le altezze medie di marea sono scese dell’ordine di qualche centimetro (Figura 3).
Tali caratteristiche sono in generale da considerarsi costanti nel tempo, al netto di rilevanti modifiche morfologiche.
È evidente che gli interventi sopra citati appartengano a questa categoria. I risultati delle prime analisi sembrano indicare lievi modifiche all’assetto delle maree, con un parziale recupero della specifica capacità di una laguna di smorzare e di rallentare l’onda di marea.
Pur essendo riscontrabile un qualche beneficio indiretto sull’assetto delle maree interne alla laguna, allo stato attuale emergono indicazioni spazialmente non omogenee tra settori diversi della laguna.
Anche in questo caso la capillarità dei dati raccolti nel tempo potrà offrire maggiore chiarezza in questo senso.
Figura 3: Ampiezza marea astronomica a Venezia59
La Direttiva 2000/60/CE, recepita dal D.Lgs. 152/2006, richiede che si protegga, migliori e ripristini lo stato di tutti i corpi idrici superficiali, al fine di raggiungere lo stato ecologico e chimico “buono” entro il 2015 e mantenere lo stato elevato dove già esistente (art.4 Direttiva 2000/60/CE, art.76 D.Lgs. 152/2006).
Anche per la Laguna di Venezia, come per gli altri corpi idrici di transizione nazionali, lo stato ecologico viene definito sulla base del monitoraggio degli Elementi di Qualità Biologica (EQB): macroalghe, fanerogame, macroinvertebrati bentonici, fitoplancton e pesci. Concorrono alla classificazione dello stato ecologico anche i parametri fisico-chimici, chimici e idromorfologici nella matrice acqua e nella matrice sedimento.
Tali parametri sono considerati dalla normativa vigente come elementi a supporto degli EQB e vengono utilizzati per una migliore interpretazione dei dati derivanti dal monitoraggio, al fine di garantire la corretta classificazione dello stato ecologico del corpo idrici e indirizzare gli interventi gestionali.
Il DM 260/2010 ha introdotto: l’individuazione degli indici di qualità per gli EQB macroinvertebrati bentonici (M-AMBI e BITS) e macrofite (MaQI); la definizione dei valori di riferimento tipo-specifici per l’applicazione degli indici stessi; la definizione dei limiti di classe per gli elementi di qualità fisico-chimici a sostegno.
L’indice per la classificazione ecologica delle macrofite, che integra gli EQB “macroalghe” e “fanerogame”, è il risultato di una collaborazione tra ISPRA e l’Università Ca’ Foscari di Venezia, mentre sono in corso le attività di collaborazione con il CNR-ISMAR e l’Università Ca’ Foscari per la definizione degli indici per il fitoplancton e la fauna ittica, che integreranno gli strumenti di classificazione ecologica per le acque di transizione.
I relativi “Protocolli per il campionamento e la determinazione degli elementi di qualità biologica e fisico-chimica nell’ambito dei programmi di monitoraggio ex 2000/60/CE delle acque di transizione”, già predisposti da ISPRA nel dicembre 2008 e pubblicati nel Sistema Informativo Nazionale per la Tutela delle Acque Italiane (SINTAI), sono stati aggiornati nel luglio 2011.
Il piano di monitoraggio finalizzato alla classificazione dello stato ecologico della Laguna di Venezia è stato predisposto da ISPRA e ARPAV a febbraio 2009, su incarico, rispettivamente, del MATTM e della Regione Veneto.
Successivamente, a seguito dell’emanazione del DM 56/2009, della pubblicazione del Piano di Gestione da parte dell’Autorità di Bacino delle Alpi Orientali (febbraio 2010) e del DM 260/2010, a novembre 2010 ISPRA e ARPAV hanno provveduto ad aggiornare il Piano di seguito illustrato.
L’obiettivo del monitoraggio, come previsto dalla normativa vigente, è quello di stabilire un quadro generale coerente ed esauriente dello stato ecologico delle acque all’interno di ciascun distretto idrografico; di classificare tutti i corpi idrici superficiali “individuati” e di fornire una descrizione accurata dello stato delle acque superficiali come base per la gestione dell’ambiente acquatico.
Il percorso logico complessivo seguito per la progettazione del monitoraggio nei corpi idrici della Laguna di Venezia ha riguardato innanzitutto la zonazione dell’area di interesse 60. Successivamente è stato valutato, per ciascun corpo idrico, il rischio di non raggiungere gli obiettivi previsti dalla Direttiva 2000/60/CE. I corpi idrici “non a rischio” e “probabilmente a rischio” sono sottoposti al monitoraggio di sorveglianza, mentre i corpi idrici “a rischio” sono sottoposti al monitoraggio operativo. Per la definizione del piano di campionamento dei corpi idrici di transizione è necessaria una valutazione della loro eterogeneità interna, individuando gli habitat presenti e la relativa distribuzione ed estensione. Per ogni habitat sono stati, quindi, definiti il numero di stazioni e la frequenza di campionamento per anno.
In base a quanto riportato nel Piano di Gestione, i corpi idrici della Laguna di Venezia sono tutti “a rischio” di non raggiungere gli obiettivi previsti dalla Direttiva 2000/60/CE e, pertanto, è stato applicato il monitoraggio operativo.
Tale monitoraggio è da effettuarsi come minimo per 1 anno ogni 3 anni.
Fanno eccezione il fitoplancton, i parametri fisico-chimico e chimici nelle acque e le sostanze non appartenenti all’elenco di priorità in acque e sedimenti, che vanno monitorati ogni anno.
Il monitoraggio operativo indirizza le indagini verso gli EQB più sensibili alle specifiche pressioni alle quali il corpo idrico è soggetto.
I corpi idrici della Laguna di Venezia sono frequentemente interessati dalla presenza di pressioni multiple, di cui può essere difficile definire la rilevanza relativa o assoluta, e rispetto alle quali gli elementi di qualità più sensibili possono essere diversi.
Pertanto, è stato individuato un sottoinsieme di 30 stazioni in cui monitorare tutti gli EQB (macrofite, macroinvertebrati bentonici, fauna ittica, fitoplancton), per disporre di un’informazione più completa senza, però, incrementare eccessivamente lo sforzo di monitoraggio.
Per le 30 stazioni di monitoraggio addizionale (Figura 4), le frequenze di campionamento scelte nell’arco dell’anno sono quelle riferite al monitoraggio di sorveglianza; in base alle prime risultanze del monitoraggio addizionale, si valuterà se mantenere tutti EQB con frequenza triennale.
Figura 4: Localizzazione spaziale delle stazioni di campionamento per gli elementi biologici “invertebrati bentonici” e “macrofite”61
La numerosità (30) e il posizionamento delle stazioni di campionamento (Figura 5) dei parametri fisico-chimici a supporto per la Laguna di Venezia è stata definita cercando il giusto compromesso tra lo sforzo di campionamento e la rappresentatività dei corpi idrici
Aggiornamento del Piano di monitoraggio della Laguna di Venezia ai sensi della Direttiva 2000/60/CE finalizzato alla definizione dello stato ecologico monitorati, individuando areali comuni alle diverse stazioni di monitoraggio degli EQB. Il monitoraggio delle sostanze chimiche non prioritarie a supporto della classificazione ecologica viene eseguito dal Magistrato alle Acque di Venezia, su 16 delle 30 stazioni.
Figura 5: Localizzazione spaziale delle stazioni di campionamento degli elementi chimico fisici a supporto della classificazione ecologica: matrice acqua62
Per quanto riguarda i sedimenti, il monitoraggio dei parametri idromorfologici varia in relazione al parametro indagato: le osservazioni sulla“natura e composizione del substrato” vengono effettuate in coincidenza del campionamento degli EQB macroinvertebrati bentonici e fanerogame; le osservazioni sulla “profondità e morfologia del fondale” vengono effettuate una volta ogni 6 anni; le osservazioni sulla “struttura della zona intertidale” vengono effettuate una volta ogni a 3 anni; il “regime di marea” viene monitorato con una frequenza da definire in base alle caratteristiche del corpo idrico. I “Protocolli di monitoraggio” redatti da ISPRA per le acque di transizione specificano che il campionamento dei sedimenti debba essere sincrono e riferito alle medesime stazioni di monitoraggio degli EQB di riferimento; il posizionamento delle 87 stazioni di campionamento dei macroinvertebrati bentonici e degli areali a copertura di fanerogame presenti in laguna di Venezia, coincide con le stazioni di monitoraggio dei parametri idromorfologici a supporto “natura e composizione del substrato” (Figura 6).
62 Fonte: ISPRA-ARPAV, 2010, Aggiornamento del Piano di monitoraggio della Laguna di Venezia ai sensi della Direttiva 2000/60/CE finalizzato alla definizione dello stato ecologico.
Figura 6: Localizzazione spaziale delle stazioni di campionamento degli elementi chimico fisici a supporto della classificazione ecologica: matrice sedimento63
Box 2: La Direttiva Quadro sulla Strategia per l’ambiente marino (2008/56/CE)
La Direttiva Quadro sulla Strategia per l’ambiente marino (Marine Strategy Framework Directive – MSFD) è uno dei fondamentali strumenti normativi di cui l’Unione Europea si è dotata per la protezione dell’ambiente marino, dei suoi ecosistemi e della biodiversità64. La direttiva, adottata il 17 giugno 2008, è entrata in vigore il 15 luglio 2008 e trae origine dalla Strategia tematica sulla protezione e conservazione dell’ambiente marino, presentata dalla Commissione Europea il 25 ottobre 200565. Tale strategia tematica si propone di “proteggere e ripristinare l’equilibrio ecologico dei mari e degli oceani europei e garantire che le attività umane siano svolte in modo sostenibile, affinché le generazioni presenti e future possano beneficiare di un ambiente marino biologicamente ricco e dinamico, sicuro, pulito, sano e produttivo”. La MSFD realizza lo strumento normativo per conseguire tale obiettivo e allo stesso tempo rappresenta il pilastro ambientale della più ampia politica marittima integrata
63 Fonte: ISPRA-ARPAV, 2010, Aggiornamento del Piano di monitoraggio della Laguna di Venezia ai sensi della Direttiva 2000/60/CE finalizzato alla definizione dello stato ecologico. Modificato
64 Direttiva 2008/56/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 giugno 2008 che istituisce un quadro per l’azione comunitaria nel campo della politica per l’ambiente marino (GU L 164 (2008), p. 19)
65 COM 2005(504) dell’UE66. La direttiva è stata recepita nell’ordinamento nazionale con il D.Lgs. 190/2010 del 13 ottobre 2010.
Obiettivi. Il principale obiettivo della MSFD è il conseguimento o mantenimento del buono stato ambientale (Good Environmental Status, GES) dell’ambiente marino entro il 2020; ciò comporta che le acque marine preservino “la diversità ecologica e la vitalità di mari ed oceani che siano puliti, sani e produttivi nelle proprie condizioni intrinseche e l’utilizzo dell’ambiente marino resti ad un livello sostenibile, salvaguardando in tal modo il potenziale per gli usi e le attività delle generazioni presenti e future”.
In altri termini, tale obiettivo include che: le specie e gli habitat marini siano protetti; sia evitata la perdita di biodiversità dovuta all’attività umana; le diverse componenti biologiche funzionino in modo equilibrato; gli apporti antropogenici di sostanze ed energia, compreso il rumore, nell’ambiente marino non causino effetti inquinanti.
Criteri del buono stato ambientale. Il buono stato ambientale è il concetto chiave della MSFD.
Tale status ambientale è da conseguirsi per ciascuna regione e sub- regione marina identificata dalla direttiva, che individua per la regione marina Mar Mediterraneo, quattro sub-regioni associate: i) Mediterraneo occidentale, ii) Adriatico, iii) Ionio e Mediterraneo centrale, e iv) Mar Egeo orientale.
Il GES è da determinarsi sulla base di 11 descrittori qualitativi dell’ambiente marino che fanno riferimento a molteplici aspetti degli ecosistemi marini, tra cui la biodiversità, l’inquinamento, l’impatto delle attività produttive. I descrittori (Tabella 1) sono specificati nell’allegato I alla direttiva.
La CE ha emanato nel settembre 2010 una Decisione che, sulla base della consulenza scientifica e tecnica di esperti indipendenti, sviluppa ulteriormente i descrittori delineando 26 criteri e 56 indicatori associati, tali da consentire agli Stati membri di determinare il GES per i propri ecosistemi marini e valutare in che misura esso è conseguito67. Tali criteri e indicatori comprendono una combinazione di elementi relativi allo stato, impatti e pressioni.
I criteri sono accompagnati dagli standard metodologici necessari per renderli operativi. Tuttavia, mentre alcuni criteri sono già adeguatamente sviluppati e operativi, per altri è necessario un ampliamento delle conoscenze scientifiche e si rimanda perciò a una successiva revisione di tale decisione della CE.
66 COM 2007(575) definitivo
67 Decisione della Commissione 2010/477/UE del 1° settembre 2010 sui criteri e gli standard metodologici relativi al buono stato ambientale delle acque marine
Tabella 1: Descrittori qualitativi per la determinazione del buono stato ambientale (Allegato I, Direttiva 2008/56/CE)
1. La biodiversità è mantenuta. La qualità e la presenza di habitat nonché la distribuzione e l’abbondanza delle specie sono in linea con le prevalenti condizioni fisiografiche, geografiche e climatiche.
2. Le specie non indigene introdotte dalle attività umane restano a livelli che non alterano negativamente gli ecosistemi.
3. Le popolazioni di tutti i pesci e molluschi sfruttati a fini commerciali restano entro limiti biologicamente sicuri, presentando una ripartizione della popolazione per età e dimensioni indicativa della buona salute dello stock.
5. È ridotta al minimo l’eutrofizzazione di origine umana, in particolare i suoi effetti negativi, come perdite di biodiversità, degrado dell’ecosistema, proliferazione dannosa di alghe e carenza di ossigeno nelle acque di fondo.
6. L’integrità del fondale marino è ad un livello tale da garantire che le strutture e le funzioni degli ecosistemi siano salvaguardate e gli ecosistemi bentonici, in particolare, non abbiano subito danni.
7. La modifica permanente delle condizioni idrografiche non influisce negativamente sugli ecosistemi marini.
8. Le concentrazioni dei contaminanti presentano livelli che non danno origine a effetti inquinanti.
9. I contaminanti presenti nei pesci e in altri frutti di mare destinati al consumo umano non eccedono i livelli stabiliti dalla legislazione comunitaria o da altre norme pertinenti.
10. Le proprietà e le quantità di rifiuti marini non provocano danni all’ambiente costiero e marino.
11. L’introduzione di energia, comprese le fonti sonore sottomarine, è a livelli che non hanno effetti negativi sull’ambiente marino.
Attuazione. Il cardine attuativo della MSFD è costituito dall’elaborazione delle strategie marine, che rappresentano dei piani d’azione per l’applicazione di un approccio ecosistemico per la gestione delle attività antropiche. In tale senso, la MSFD individua per gli Stati membri un percorso di cinque passaggi da attuare secondo uno specifico calendario:
Valutazione iniziale dello stato ambientale corrente e dell’impatto ambientale delle attività umane che insistono su di esso (entro il 15 luglio 2012);
Determinazione del buono stato ambientale (entro il 15 luglio 2012);
Definizione di una serie di traguardi ambientali e degli indicatori associati (entro il 15 luglio 2012);
Elaborazione e attuazione di programmi di monitoraggio per la valutazione continua dello stato ambientale, in funzione dei traguardi ambientali (entro il 15 luglio 2014);
Predisposizione di programmi di misure individuati per il conseguimento o il mantenimento del buono stato ambientale (entro il 2015), tenendo conto dell’impatto socio-economico delle misure proposte. I programmi dovranno essere operativi entro un anno (2016).
La cooperazione regionale è richiesta per ciascuno dei passaggi attuativi della MSFD.
I rilievi generali per ciascuno di questi elementi sono definiti nel testo
4. Tutti gli elementi della rete trofica marina, nella misura in cui siano noti, sono presenti con normale abbondanza e diversità, e con livelli in grado di assicurare l’abbondanza a lungo termine delle specie e la conservazione della loro piena capacità riproduttiva.
della direttiva, insieme ad altre prescrizioni relative alle eccezioni, raccomandazioni per un’azione comunitaria, comunicazioni e valutazione della CE, aggiornamento, relazioni e informazione al pubblico. La CE riveste un ruolo formale nella valutazione delle azioni intraprese dagli Stati membri per l’attuazione della MSFD e fornisce consulenza promuovendo una strategia comune d’attuazione. Agli Stati membri si richiede di garantire nell’ambiente marino l’uso sostenibile delle risorse e dei servizi ecosistemici, in considerazione dell’interesse generale.
Gli ambiti normativi e politici di riferimento. La MSFD ha una natura “olistica”, considera perciò tutte le politiche tematiche e settoriali suscettibili di provocare effetti sull’ambiente marino attraverso “pressioni” e “impatti” che si ripercuotono sullo “stato” delle acque marine. L’obiettivo della direttiva va inquadrato, pertanto, nel perseguimento di una gestione adattativa, cioè di un “equilibrio dinamico” tra un “buono stato ambientale” delle acque marine e uno sviluppo “sostenibile”, mediante l’uso appropriato sia delle risorse marine sia dell’ambiente marino (inteso anche come uso spaziale e potenziali fonti d’inquinamento).
Per realizzare tale obiettivo occorre contribuire alla coerenza delle diverse politiche e promuovere l’integrazione delle problematiche ambientali in ogni altra politica rilevante a livello comunitario e internazionale. Numerose politiche comunitarie riguardano l’applicazione di principi e norme del settore ambientale che vanno tenute in considerazione nella preparazione delle strategie marine. Tra questi, ad esempio, il principio di prevenzione, il principio di precauzione, il principio “chi inquina paga”, la valutazione ambientale strategica, l’applicazione dell’approccio ecosistemico alla gestione delle attività umane, la Direttiva “Acque reflue”, la Direttiva “Nitrati”, la Direttiva sulle “Acque di balneazione”, la Strategia dell’UE sulla tutela della biodiversità, le norme che pongono limiti alle emissioni atmosferiche o che proteggono habitat o specie particolari. In aggiunta, particolare rilevanza è assunta dalle relazioni con la Direttiva quadro 2000/60/CE e le Direttive “Habitat” (92/43/CEE) e “Uccelli selvatici” (79/409/CE). In relazione agli accordi internazionali, le strategie marine sono da sviluppare su base regionale, per esempio sulla regione marina mar Mediterraneo, promuovendo la cooperazione con gli Stati membri confinanti e i Paesi terzi appartenenti alla medesima regione marina. In tal senso, assume particolare rilevanza la Convenzione per la protezione dell’ambiente marino e la regione costiera del Mediterraneo (Barcellona, 1995) che ricade sotto l’egida del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, Piano d’azione per il Mediterraneo (UNEP-MAP).