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BASILICATA, COME CAMBIA LA CULTURA DEL VINO

Lettere lucane

Buona notizia. Quasi un milione di euro finirà in Basilicata grazie al Piano nazionale di sostegno per il settore vitivinicolo. Questi soldi serviranno per incrementare la riconversione varietale, per ricollocare i vigneti in posizioni maggiormente favorevoli e per migliorare le tecniche di gestione. La Basilicata dei vini è conosciuta principalmente grazie all’Aglianico, un vino esportato e apprezzato in tutto il mondo. Le cantine che lo producono – nella zona del Vulture – hanno ormai raggiunto standard qualitativi molto alti, e questo fa ben sperare per il futuro del comparto, in costante ascesa. Mentre leggevo di questo importante finanziamento, mi sono ricordato della piccola cantina domestica di mio nonno Angelo. All’epoca il vino si faceva ancora in tutte le case, e ordinare al ristorante un vino imbottigliato era qualcosa riservato a pochi – mio nonno riempiva ogni anno sei botti da un quintale. In quegli anni il vino si consumava più di adesso, perché si beveva anche durante i lavori in campagna. Ho conosciuto zappatori che non bevevano quasi mai acqua, e che riuscivano a zappare dalla mattina alla sera bevendo nell’arco di una giornata anche un litro e più di vino. Altri tempi, altra tempra. Ricordo nitidamente mio nonno seduto davanti a una botte che tira il tappo di salice appuntito e riempie una bottiglia di vino da offrire agli amici. Era un vino semplice, umile, che spesso sapeva di aceto. Ma a me piaceva, perché conoscevo solo quello. Poi quando andai a fare il cameriere scoprii che c’era una più vasta cultura e industria vinicola. Una volta tornando da Maratea portai a casa un buon Aglianico imbottigliato, ma mio padre e alcuni suoi amici si rifiutarono di berlo, perché mi dissero che dentro non sapevano cosa ci fosse. Scansarono la mia bottiglia e mi offrirono un bel bicchiere di vino rosso fatto con le uve della vigna di Fratta.

diconsoli@lecronache.info

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