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L’IMPORTANZA DI FARE ANCHE LAVORI MANUALI

Lettere lucane

Sono sempre più convinto che uno degli elementi più negativi di questa modernità sia la crescente scomparsa del lavoro fisico. Una società che vive principalmente di attività cerebrale rischia inevitabilmente di cadere nelle infinite trappole delle nevrosi, delle depressioni, delle ansie. Il lavoro fisico esalta energie positive e smaltisce energie negative, riduce l’elefantiasi speculativa, mette in armonia il corpo con la sua energia più profonda. Quando ero ragazzo io – ma già si era nella piena affermazione della società della smaterializzazione – aiutare i genitori nei campi e trovarsi un lavoro per i mesi estivi era qualcosa di ancora diffuso; poi, come sappiamo, le cose sono cambiate. Quando ero ragazzo gli adulti mi dicevano sempre questa frase: “Un uomo deve saper fare tante cose, sennò che uomo è?” All’epoca soffrivo molto, credo come tutti gli adolescenti, le regole e la disciplina; ma trovavo profondamente utile e veritiero questo “dover essere” di noi più giovani, e poco oggi m’importa che qualcuno possa definirlo maschilista o patriarcale. Per alcuni anni ho trascorso le mie estati in alcune falegnamerie di Rotonda. Nell’estate del 1991 lavorai in quella di Franco “’u paccio”, uno dei più grandi talenti artigianali del mio paese. Poiché non ero ancora pronto per lavorare alla fresa o alla sega elettrica, Franco mi metteva spesso a levigare porte e finestre con la carta vetrata. Era un lavoro noioso e sfiancante, eppure utile – ma in me prevaleva solo la noia. Un giorno venne in falegnameria un signore che osservò attentamente il mio modo di lavorare. A un certo punto mi disse: “Non stai facendo bene il tuo lavoro, non passi la carta vetrata in tanti angoli”. Gli risposi un po’ risentito che avevo solo quindici anni. E lui – duro, laconico, biblico: “A quindici anni un uomo non deve saper fare niente, a vent’anni deve saper fare tutto”.

diconsoli@lecronache.info

 

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