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COME INCIDE LA SCALDA POLTRONE SUGLI EQUILIBRI POLITICI IN REGIONE

L’analisi sulle “debolezze” sulla nuova rappresentanza: il ruolo dei consiglieri supplenti

DI ENZO SANTOCHIRICO


Sarà la filosofica intelligenza delle cose o l’esoterica corrispondenza degli intenti o più semplicemente la casuale coincidenza delle circostanze, sta di fatto che, poco più di una settimana fa, nelle periodiche revisioni degli archvi cartacei di studio, la segretaria indica una decina di faldoni e mi chede: “E di quelli, avvocato, che ne facciamo?”.

Do un’occhiata e, letto sul dorso dei raccoglitori l’annotazione a mano “Regione”, d’istinto rispondo: “Buttiamoli”. Lei mi guarda perplessa, colgo al volo e correggo: “Va bene, li sfoglio e poi decidiamo”. Due giorni dopo, la direttrice di Cronache Lucane mi chiede un’opinione sulla “rappresentanza dei supplenti”, ricordandomi che fui già io a occuparmene circa 10 anni fa in occasione della revisione dello Statuto Regionale, e mi compiaccio di non aver mandato al macero quei faldoni riguardanti, in buona parte, proprio tale materia.

All’epoca (2010-2011) si era nel pieno dell’ondata antipolitica che, in nome della riduzione dei costi, portò alla drastica riduzione degli organismi di rappresentanza degli enti locali. In Basilicata si passava da 30 a 20 consiglieri regionali. Con un sol colpo, si limitava la rappresentanza, soprattutto quella dei territori già penalizzati dalla bassa densità demografica, e si restringeva il drappello dei consiglieri dediti all’attività consiliare, ridotti in pratica a 15, al netto di quelli nominati assessori, totalmente assorbiti da quella dell’esecutivo. Inoltre, con lo Statuto in corso di revisione si voleva distinguere con più nettezza ruoli e funzioni fra Giunta e Consiglio, accentuando il carattere gestionale e operativo della prima e quello di indirizzo e controllo del secondo.

A queste diverse ed eterogene esigenze rispondeva pienamente l’incompatibilità fra consigliere e assessore, prima inesistente. I modelli disponibili erano due: quello della decadenza (introdotto per i consiglieri comunali dalla l. 81/1993 sull’elezione diretta del Sindaco) ovvero quella della sospensione dalla carica di consigliere con surroga (temporanea) del primo non eletto della stessa lista. La prima rispondeva parzialmente alle esigenze da soddisfare (non a quella di ampliamento della rappresentanza) e conteneva quegli effetti rischiosi, politici ed istituzionali, già sperimentati nei comuni superiori a 15.000 abitanti.

Il consigliere decaduto che diventa assessore è completamente succube del Sindaco o Presidente regionale (già onnipotente per l’investitura elettorale diretta), così accentuando la personalizzazione della politica e ulteriormente disancorando la compagine esecutiva dalla sua base di appartenenza politica, percò aumentando la conflittualità interistituzionale e vanificando il mandato elettorale. La seconda, invece, corrispondeva più coerentemente alle esigenze di rappresentanza e distinzione dei ruoli. Nella bozza di Statuto del 2012, predisposta con l’ausilio dell’ISSIFRA-CNR, che coinvolsi come consulente, l’art. 52 prevedeva il meccanismo della surroga.

L’interruzione anticipata alla consiliatura, a causa delle improvvide dimissioni del Presidente della Regione, impedirono che lo Statuto fosse approvato nella IX legislatura. Conservandone l’impianto e l’articolazione, vedrà la luce nella successiva (2015-2016), ma senza l’incompatibilità di carica fra consigliere e assessore regionale. Sarà introdotta solo con l’art. 23 della legge elettorale regionale 20 agosto 2018 n. 20. Non so perchè questa disposizione sia stata omessa nello Statuto e poi prevista nella legge elettorale. Probabilmente pesavano ancora incertezze, rivenienti da precedenti pronunce sfavorevoli della Corte costituzionale (2004). D’altronde, a parte le Marche, regione antesignana nel 2015, è proprio negli anni 2017 e 2018 che, oltre alla Basilicata, anche Abruzzo, Lombardia, Molise e Veneto scelgono di introdurre questo meccanismo. Critiche e opposizioni, anche successive, a proposte simili in altre regioni non sono mancate.

Non regge quella secondo cui sarebbe uno stratagemma per eludere il numero massimo dei consiglieri assegnati ad ogni regione perché la somma dei componenti di Giunta e Consiglio non cambia se si consente la nomina degli assessori esterni, da nessuno contestata. Ha un pò più peso quella che vedrebbe la violazione del divieto imperativo ex art. 67 Cost. perchè si consentirebbe alla Giunta o al Presidente di “condizionare” l’attività del consigliere suppplente, cosicché si avrebbe una rappresentanza dimezzata o sotto tutela. C’è un fondo di verità. Ma all’origine vi è l’elezione diretta del Presidente. Non è forse sotto tutela l’assessore nominato – decaduto dalla carica di consigliere che può essere revocato dal Presidente “ad libitum”, come accade nei comuni con più di 15.000 abitanti, ma anche in regioni come la Toscana? Sia detto incidentalmente, il rimedio vero a questa come ad altre contraddizioni e storture – è l’eliminazione dell’elezione diretta del Presidente, accompagnata dalla “sfiducia costruttiva”. Con il direttore dell’ISSIRFA, prof.

Mangiameli, osammo inserire tale ipotesi nella bozza del 2012, ma nessuno dei tanti, diffusi e celati consensi vide mai la luce (tranne qualche coraggioso ex consigliere regionale). Nè pare avere maggior pregio la critica inerente alla violazione del principio di immediatezza del voto, che vede sottratta all’elettorato, a vantaggio di partiti e Presidente, la composizione del Consiglio. A parte che accade anche se si prevede la decadenza e, in tale logica, anche gli assessori esterni non discendono dalla voto, in verità, il Presidente, stante la interdipendenza fra il suo mandato e quello del Consiglio, a causa dell’ezione diretta, è per ciò stesso “arbiter” delle dinamiche politico-istituzionali.

Vero, invece, è che il Consigliere supplente, esposto alle fluttuanti decisioni dei gruppi consiliari, dei partiti e del Presidente, rischia di avere uno status differenziato, meno garantito, ricattabile addirittura. Non c’è dubio che un consigliere supplente sarà portato a sostenere l’esecutivo di cui è parte l’assessore di cui ha preso il posto. Ma può seriamente sostenersi che ciò sarà decisivo per le sorti di quell’assessore o della Giunta del momento? E, d’altra parte, se al posto del consigliere supplente vi fosse quello nominato assessore non vi sarebbe differenza, anzi. L’alternativa ritornerebbe ad essere la decadenza del nominato assessore dalla carica di consigliere, ma si sono già evidenziate le controindicazioni.

E allora rimarrebbe o il ricorso agli assessori esterni, con le prevedibili fibrillazioni consiliari, o la compatibilità fra le cariche, con la confusione istituzionale e l’ulteriore appannamento della funzione della rappresentanza rispetto a quella di governo. Sembra quindi da ritenersi un “male necessario”, se comparato con le alternative possibili: coincidenza assessore/consigliere o decadenza da consigliere. Meccanismi che forse sono meno contraddittori e fragili dal punto di vista istituzionale o ordinamentale, ma equivalenti, se non addirittura, più pericolosi e dannosi, sotto il profilo politico. Una scelta che segue il consiglio del saggio gesuita Baltasar Graciàn: «Avanza dunque con grande cautela l’accorto e preferisce peccare per difetto che per eccesso» (“Oracolo manuale ovvero l’arte della prudenza”, Adelphi, 2020).

E, per tornare in Basilicata, i consiglieri regionali supplenti cambiano o condizionano significativamente dinamiche e rapporti politici o sono solo inutili appendici? L’esperienza me ne fa dubitare e, pur non seguendo la vita politica regionale, vedo – senza con ciò esprimere alcuna valutazione che i “supplenti” sono tutt’altro che marginali (uno é capogruppo, una é delegata alle attività culturali e il mio amico Enzo Acito é uno dei più attivi e intraprendenti consiglieri). In realtà, il pendolo continua ad oscillare fra stabilità (maggioritario e/o elezione diretta capo dell’esecutivo, comunale, regionale o nazionale che sia) e rappresentanza perchè il sistema Paese continua a essere incerto.

L’affannosa, e finora inconcludente, ricerca di supplire con alchimie ingegneristiche istituzionali al deficit politico non ha prodotto grandi risultati (le bicamerali per la riforma della costituzione docent), spesso facendo venire meno quel soffio vitale che é decisivo per le istituzioni, come ci ricorda il filosofo Roberto Esposito nel suo recente libro “Istituzione” ( Il Mulino, 2021). Insomma, se la politica non riprende le redini del gioco, si corre il rischio di servire carte di poco valore ad un banco sempre meno interessante e attraente, salvo per chi spregiudicatamente vive d’azzardo. E, infatti, mi chiedo se non avrei fatto bene a ignorare i dubbi della segretaria e lasciare i faldoni d’archivio al loro destino.

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