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RIESAME AIA EX FCA E RENDINA: LA REGIONE NON CONOSCE NEANCHE LE PROPRIE LEGGI

All’immobilismo sulla bonifica, si aggiunge la figuraccia al Tar: dall’ex Dg Busciolano stravolta una norma dalla «comprensione immediata»

Al Dipartimento ambiente, sotto la guida dell’ex Dg Michele Busciolano, attualmente capo di Gabinetto del presidente Bardi, si è consumato il paradosso dei paradossi: la Regione Basilicata non ha prodotto corretta «esegesi» per la giusta applicazione, in relazione a casi specifici, di stesse leggi regionali.

I casi specifici in questione, che il Tribunale amministrativo regionale (Tar) di Basilicata si è trovato a giudicare, sono quelli inerenti all’avvio dei procedimenti di riesame dell’Autorizzazione integrata ambientale (Aia) di due stabilimenti produttivi entrambi ubicati nell’area industriale di San Nicola di Melfi: l’ex Fca, oggi Stellantis, e il termovalorizzatore ex Fenice, oggi Rendina. I due procedimenti citati sono stati avviati rispettivamente nel 2016 per l’ex Fca e l’anno prima per Rendina. Da anni arenato, inoltre, l’iter procedurale per dare l’ok al progetto di bonifica ambientale «del suolo e della falda» che interessa parte dell’area industriale citata.

Ad ogni modo, nel gennaio del 2020, dalla Regione la, sospeso il pregresso, e inviata una nota sia all’allora Fca che a Rendina: l’Ente ha chiesto, ai del comma 2 dell’articolo 33 della legge regionale 35 del 2018, di «presentare istanza di riesame dell’Aia». Le 2 note dallo stesso contenuto sono state entrambe impugnate dai rispettivi gruppi industriali destinatari delle stesse. Sia l’ex Fca che Rendina, al Tar hanno vinto a mani basse. Il riferimento normativo richiamato dalla Regione, riguarda le autorizzazioni in siti con accertato superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione (Csc).

L’ex Dg Busciolano, lette le parole chiave, autorizzazioni e inquinamento, ha fatto un 1 più 1 che non fa 2 se applicato a Rendina e all’ex Fca. Per cui, come hanno spiegato i giudici amministrativi, nella prospettiva «da cui muove la Regione», lo spettro applicativo del richiamato articolo 33 «si estenderebbe anche a impianti già esistenti, previamente autorizzati e operativi». Così, però, non è e non può essere. Tant’è che il Tar ha valutato «l’interpretazione della norma offerta dall’Ente regionale», col conseguente precipitato della sua estensione al caso di specie, «sia pienamente erronea».

Del resto, «l’esegesi qui si presenta di immediata comprensione». Maggiormente stigmatizzando poi, il Tar ha precisato anche che «già l’interpretazione letterale, dunque, stante il limite esterno costituito dal “significato palese delle parole”, non lascia residuare margine alcuno per l’approdo cui è pervenuto l’Ente resistente». Al Dipartimento ambiente, su una legge regionale sono riusciti nell’impresa di complicare ciò che «è agevole osservare» e cioè che dalla legge regionale invocata «non sia previsto alcun riferimento al rinnovo o al riesame di titoli autorizzatori già in essere, e, altresì, come neppure sia stato ivi considerato il caso di installazioni già realizzate».

Dal senso letterale a quello razionale, tecnicamente «teleologico», comunque la tesi della Regione è risultata completamente «sprovvista di addentellati» e quindi illogica. Ciò poichè era ed è evidente che la norma regionale è volta ad evitare che la costruzione di «nuovi impianti» su siti contaminati possa pregiudicare o rendere problematico «il completamento e l’esecuzione degli interventi di messa in sicurezza d’emergenza, operativa o permanente e di bonifica», nonché determinare nuovi o ulteriori «rischi per la salute dei lavoratori e degli altri fruitori dell’area».

Quando, per esempio, ricorre il pericolo concreto i di «rischi per la salute dei lavoratori e degli altri fruitori dell’area», una determinata fabbrica viene chiusa. Nel caso dell’area industriale di Melfi, sia l’ex Fca che Rendina sono, invece, stabilimenti operativi. Sulla bonifica, dal centrosinistra al centrodestra è ancora tutto fermo, ma in più il centrodestra sul rinnovo dell’Autorizzazione integrata ambientale (Aia) ha commesso il pasticcio di non aver saputo capire la «mens legis» di una legge regionale

Ferdinando Moliterni

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