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MATERA, «NON SOLO TURISMO: LA CULTURA TRAINO DELL’ECONOMIA NEL POST 2019»

Dopo l’intervento di Santochirico la riflessione di Cardinale, professore dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro

DI EUSTACHIO CARDINALE

Enzo Santochirico invita, da par suo, ad aprire una discussione sul futuro di Matera e sul lascito del fenomeno epico di Matera 2019, che non appare avere eguali nella plurimillenaria storia della Città dei Sassi. Lodevole l’iniziativa di una discussione aperta e plurale, lodevole la disponibilità di Cronache Lucane ad ospitarla. In realtà la riflessione si spinge verso riferimenti più ampi sia sul piano territoriale, sia su quello dell’oggetto, poiché evoca la necessità di strategie culturali e la cultura ha il buon vizio – per propria definizione di non poter essere costretta in spazi definiti, a meno che non si acceda ad una prospettiva meramente consumeristica.

Quindi non solo l’affermazione di un brand culturale, ma una nuova consapevolezza della città e del territorio materano da parte dei loro cittadini come veri protagonisti del processo di sviluppo sociale ed economico. La cultura non solo come “prodotto”, ma anche come veicolo dell’esercizio delle attività economiche, della loro organizzazione (cc.dd. imprese creative driven), con effetti dirompenti sul welfare che da aziendale diventa sociale, in un ciclo virtuoso che, una volta avviato, naturalmente si autoalimenta. Tutti questi si candidano ad essere ingredienti per affermare un nuovo percorso di sviluppo che deve consentire quanto meno di arrestare, se non di invertire il flusso migratorio dei materani e dei lucani (ormai soprattutto laureati) verso altri lidi per evitare il dissanguamento dei territori della popolazione attiva.

Questa inversione, tuttavia, è pur sempre un risultato di politiche attive di formazione e sviluppo tanto da riuscire ad affinare sensibilità e capacità di realizzare progetti originali diffusi e la loro implementazione. Consapevolezza delle caratteristiche socio culturali del territorio, capacità di proiezione in un quadro articolato e complesso (di qui il fondamentale ruolo della cultura) di opportunità: a partire dal coordinamento tra le politiche di coesione (con i FSC) ed il programma Next Generation EU, a giungere al c.d. quadrilatero ZES del Mezzogiorno Continentale. Insomma, al centro di tutti tali interventi (così come previsto nel Piano Sud 2030 ed evidenziato altresì nel Piano Nazionale di Rinascita e Resilienza) c’è il meridione italiano e, per noi, Matera e la Basilicata, come parte non solo del Meridione, ma dell’Italia. Proprio lo sviluppo culturale diffuso nel senso della consapevolezza impedisce che tali poderosi interventi economici inseguano antistorici localismi e collochino invece il meridione nella storia futura dell’Italia e dell’Europa come lo è stato nella storia passata (e Matera ne è un fulgido esempio). Se è vero da un lato che il fattore inerziale della fama confermerà l’afflusso turistico, dall’altro lato è altrettanto vero che non cancella la domanda di fondo e cioè quale sia il futuro della città e, aggiungo, dei materani.

O meglio, quanto può generare in termini di sviluppo sociale, economico e, per dirla con l‘art. 4 Cost., spirituale questa seconda vita dei Sassi di Matera per i materani? Anzi, il coinvolgimento dell’intero territorio lucano nella programmazione degli eventi di Matera 2019 impone l’estensione dell’interrogativo alle comunità che occupano l’intero territorio della Basilicata. D’altronde l’epifania culturale lucana ha ottenuto altrettanti riconoscimenti sul piano internazionale.Si avverte allora, come sottolineato anche nel Rapporto Svimez 2020, l’esigenza di una politica ordinaria che si impegni nell’utilizzare tali potenti opportunità in un’ottica di azione di sviluppo sia strutturale sia corrente.

Qui emerge il limite dell’azione della Fondazione Matera Basilicata 2019, vale a dire l’aver avuto un raggio di azione ampio, con riferimento alla spesa anche in investimenti, ma ristretto sul piano dell’orizzonte temporale; il che produce la necessità di manutenzione degli investimenti e di altre risorse per replicare gli eventi di successo. É evidente che il punto è politico e democratico. La scelta di uno strumento “esterno” alla macchina amministrativa certamente ha agevolato il passaggio dalla progettualità alla realizzazione, tuttavia questo si accompagna ad una vera e propria cessione di sovranità dagli enti locali (Regione compresa) ad una organizzazione tecnocratica.

Di fronte ad una accresciuta complessità dei fenomeni e delle prospettive (ben illustrate nell’Allegato alla Relazione Programmatica della Regione Basilicata del marzo 2021), occorrono risposte del decisore politico altrettanto complesse anche nell’adozione di adeguati modelli di governance.Quello che si osserva oggi è che è forte la tentazione di limitarsi ad attivare ed investire nel marketing territoriale.

Ciò per ossequiare l’equazione per la quale all’aumento dei flussi turistici corrisponderebbe uno sviluppo economico ed in qualche modo sociale. Per questa via l’elemento cultura sarebbe un traino per l’economia nella sua dimensione di “prodotto” competitivo rispetto agli stessi offerti dalle altre mete turistiche del bel Paese. In questo caso, la soluzione apparirebbe duttile e adattabile; sul piano politico si connota dalla stessa dimensione temporale delle consigliature e, sul piano democratico può integrare un programma di governo retto dalle maggioranze elette. Necessiterebbe, poi, solo di un coordinamento tra i vari programmi turistici locali.

Che sia questo il futuro della Fondazione? Il rischio di sovrapposizioni con altri enti di promozione territoriale appare evidente, a meno che non si voglia cogliere l’opportunità di una profonda revisione degli enti sub regionali al servizio di un vero piano industriale (in senso onnicomprensivo) per la Basilicata. Ma vi è di più. L’efficiente allocazione delle risorse imporrebbe una profonda analisi in ordine alla verifica dell’effettivo sviluppo sociale generato dalle scelte di politica meramente turistica circa le modalità di distribuzione di tale benessere nella comunità di riferimento (ad es. misurando la qualità della nuova occupazione, i livelli di sostenibilità dei luoghi di lavoro, il rispetto dei luoghi di interesse culturale, paesaggistico e storico, l’incremento dell’entrate locali e le relative destinazioni a servizi sociali, la capacità di sviluppare impresa nei settori oggetto della promozione, lo sviluppo di nuove famiglie, la qualità dell’immigrazione etc..).

Ma tale verifica ha tempi (ed obiettivi) incompatibili con scelte declinate (giocoforza) elettoralisticamente con l’effetto collaterale di generare vere e proprie barriere all’entrata sulle quali si infrangono le nuove iniziative non ancora consolidate e quindi non in grado di generare attività di lobbying. In fin dei conti questo modello di scelta finirebbe per assumere una portata di mera gestione dell’esistente e a me sembra che la comune riflessione, che auspico sempre più diffusa, intenda proprio abbandonare alla sola letteratura le lucide intuizioni di Tomasi Principe di Lampedusa.

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