È giunta la sentenza del Tar, fulmine a ciel (non propriamente) sereno, a porre un “freno” al vorticoso “papocchio” di cui parlammo alcuni giorni fa, al centro di una gara, indetta originariamente nel 2017, per quanto concerne le affissioni pubblicitarie, per un totale di 3mila mq. In modo particolare, il Tribunale Amministrativo Regionale si è espresso sul ricorso proposto da un’azienda locale contro il Comune di Potenza, nei confronti di altre tre imprese dell’area del potentino. Così come vi avevamo raccontato, durante lo “stop and go” della gara, erano sorti diverse criticità relative non solo il canone d’ingresso, ma anche sulle difficoltà in relazione all’aggiudicazione degli 8 lotti restanti (nel 2017 ne erano stati aggiudicati solo 4 su 12).
I MOTIVI DEL RICORSO
In modo sostanziale, il Tar ha indicato che «con il ricorso in esame, depositato in data 22 febbraio 2021, la società deducente, autorizzata dal Comune di Potenza all’installazione di impianti pubblicitari di natura commerciale, ha impugnato gli atti» in relazione alla determina dirigenziale dello scorso 15 dicembre 2020, proprio in relazione alle citate affissioni.
In modo particolare, si legge nella sentenza del Tar, con la citata determina l’amministrazione comunale «ha dato avvio alla procedura comparativa per l’affidamento in regime di concessione, per la durata di anni cinque, di 8 lotti (da 250 mq ciascuno) di spazi pubblici per l’installazione e la gestione di impianti pubblicitari di affissioni dirette private».
Tra le motivazioni indicate in premessa dal Tribunale Amministrativo alla base del ricorso, «con il primo motivo di gravame», si legge che, secondo l’azienda ricorrente, vi sarebbe «l’erroneità del metodo di determinazione del canone concessorio a base di gara(pari ad euro 14.300,00, calcolato in base alla media delle offerte pervenute nel corso della procedura ad evidenza pubblica», oltre che «l’anti-economicità di detto canone, perché non in grado di remunerare l’attività in concessione» e «l’omessa considerazione, in sede di stima del canone, di circostanze idonee ad incidere sull’equilibrio economico della concessione, quali l’istituzione del canone unico patrimoniale e della soppressione dell’obbligo da parte dei Comuni di prevedere il servizio delle pubbliche affissioni».
Scorrendo la sentenza del Tar, tra le motivazioni in premessa si legge anche che «con il secondo motivo di gravame», sono indicate anche la «illegittimità dei termini previsti per la decadenza dei titoli autorizzatori relativi agli impianti per affissioni dirette private, tra cui quello vantato dalla ricorrente (fissata in data 21 febbraio 2021) e per la rimozione di detti impianti (fissata in data 15 marzo 2021)». In aggiunta, si legge nella sentenza del Tar, tra le “cause” del ricorso è indicata anche la «illegittimità della clausola di lex specialis secondo cui “qualora la procedura dovesse risultare infruttuosa per alcuni o per tutti i lotti, l’Amministrazione si riserva la possibilità di affidarli, anche provvisoriamente e agli stessi patti e condizioni agli attuali aggiudicatari, nelle more di eventuali modifiche regolamentari”, in quanto anticoncorrenziale, nonché violativa del Regolamento comunale per la pubblicità (che prescrive il limite di un solo lotto per soggetto affidatario)».
IL TAR SI È PRONUNCIATO
Il Tar ha ritenuto il ricorso «fondato solo in parte»: in modo particolare, rispetto al primo motivo, il Tribunale ha sottolineato che «la censura relativa alla determinazione del canone concessorio in base alla media delle offerte pervenute nel corso della procedura ad evidenza pubblica è inammissibile, in quanto detta scelta costituisce applicazione della prescrizione contenuta nella precedente determina secondo cui “per i lotti che risultassero ancora non assegnati (…) si procederà con la procedura negoziata senza previa pubblicazione di bando, ponendo a base d’asta il valore del canone medio determinato utilizzando il valore complessivo dei canoni di assegnazione suddiviso per il numero dei lotti assegnati con la procedura di gara”».
In aggiunta, il Tar ha sottolineato che «analogamente deve dirsi con riguardo alla censura deducente l’anti-economicità della concessione, tenuto conto che l’entità del canone è un elemento ormai consolidato all’interno della procedura di affidamento (unitariamente intesa) ed è la risultante di un criterio predeterminato dall’Amministrazione comunale».
In ogni caso, ha sottolineato il Tribunale, «né le deduzioni ricorsuali sono effettivamente idonee a comprovare la non remuneratività del canone concessorio, nonché della non secondaria circostanza per cui altri operatori economici hanno manifestato interesse e partecipato alla procedura di gara in esame». Per le stesse motivazioni, il Tar ha indicato la «reiezione del profilo di censura relativo al mancato apprezzamento, in sede di commisurazione del canone concessorio, delle innovazioni legislative (in punto di istituzione del canone unico patrimoniale e di soppressione dell’obbligo da parte dei Comuni di prevedere il servizio delle pubbliche affissioni), in quanto contestazione pur sempre volta, in modo inammissibile, a rimettere in discussione l’entità del canone». Il Tar, in aggiunta, ha indicato che le indicate «sopravvenienze normative» sono «improduttive di effetti giuridici e non recepite nell’ordinamento comunale» anche perché, come specifica il Tar, «la stessa ricorrente si limita ad ipotizzare le implicazioni di tali future occorrenze, allo stato tuttavia del tutto imprevedibili».
Tutt’altra storia invece per quanto concerne il secondo motivo di ricorso, che il Tribunale ha valutato come «fondato» in merito alla «dedotta violazione del Regolamento comunale per la pubblicità» da parte delle due determine citate, nella misura in cui con esse «si dispone che la decadenza dei preesistenti titoli autorizzatori (e la conseguente rimozione delle relative installazioni) debba avvenire a data fissa» dunque «ante tempus rispetto a quanto previsto nel richiamato paradigma normativo,che, invece, riconnette tale effetto al “completamento delle procedure ad evidenza pubblica” concernenti l’affidamento in concessione degli spazi pubblicitari». In aggiunta, il Tribunale amministrativo, ha asserito che «la prescrizione regolamentare invocata è univocamente interpretabile nel senso di configurare, con riferimento a ciascuno dei 12 lotti in gara (in specie gli 8 residui), una stretta consecutio tra il conseguimento dell’obiettivo della procedura di gara» e la successiva «cessazione della validità del titolo abilitativo insistente sugli spazi pubblicitari inclusi nel lotto concessorio».
Il che corrisponde, ha asserito il Tar «all’interesse erariale della stessa Amministrazione comunale che, diversamente, perderebbe unafonte di introito prima ancora di poter incassare il canone concessorio».
RICORSO ACCOLTO «IN PARTE» Per queste ragioni, il Tar ha accolto il ricorso in parte precisando che «la portata annullatoria va limitata agli spazi in uso alla ricorrente che non siano sovrapponibili o comunque interferenti con le superfici incluse nei lotti già aggiudicati in favore dei subentranti concessionari, per i quali, invece, l’effetto decadenziale deve dirsi pienamente maturato», sottolineando al contempo che «la possibilità di affidare i lotti vacanti “anche provvisoriamente e agli stessi patti e condizioni agli attuali aggiudicatari, nelle more di eventuali modifiche regolamentari” non è preclusiva della partecipazione alla procedura de qua (allo stato ancora in itinere), si riferisce ad un’attività amministrativa futura (perché condizionata dagli esiti della gara) e discrezionale (perché l’Amministrazione è facoltizzata a così determinarsi) e, dunque, non risulta immediatamente impugnabile».
Il Tar ha quindi accolto il ricorso e disposto l’annullamento della delibera comunale del 15 dicembre 2020, così come quella del 29 settembre 2020 «nella parte in cui si dispone la decadenza del titolo autorizzatorio vantato dalla ricorrente (e l’obbligo di rimozione delle corrispondenti installazioni) in una data antecedente al “completamento delle procedure ad evidenza pubblica”». In aggiunta, il Tar ha inoltre sottolineato un questione giurisdizionale in relazione all’istanza di parte ricorrente «diretta ad una statuizione circa la spettanza dell’esenzione dal pagamento del contributo unificatoin relazione all’atto di motivi aggiunti è manifestamente estranea al perimetro della giurisdizione amministrativa».