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«ANZIANI TRATTATI COME FONTE DI GUADAGNO DA SPREMERE FINO ALL’ULTIMO RESPIRO VITALE»

La Rsa degli orrori a Marsicovetere: «un altoforno di Covid». In carcere i soci Ramagnano e Varallo accusati di epidemia colposa e di 22 casi di omicidio colposo

Trattavano gli ospiti della Rsa di Marsicovetere come «come se gli anziani fossero per loro, come in effetti erano, solo e soltanto una insostituibile fonte di guadagno da spremere in qualsiasi modo fino all’ultimo respiro vitale privandoli delle scarse risorse economiche in cambio di una assistenza che non fornivano e che anzi si traduceva nella mera accelerazione della loro morte».

È questo uno dei passaggi più incisivi dell’ordinanza cautalere di trasferimento in carcere emessa dal Gip di Potenza nei confronti dei due soci titolari della Rsa citata: il 50enne di Marsicovetere, Nicola Ramagnano, e la 45enne di Polla, Romina Varallo. Nei loro confronti, i Pm della Procura di Potenza, Maurizio Cardea e Anna Gloria Piccininni, hanno elevato accuse pesantissime: cooperazione in epidemia colposa e cooperazione in 22 casi di omicidio colposo. C’è di più. Ramagnano è accusato anche di circonvenzione di incapaci, poichè ha indotto un anziano ospite a “donargli” il proprio patrimonio che come accertato dalle indagini era di natura rilevante: circa mille acri di terreno, più vari immobili.

La madre dell’anziano “ospite-benefattore” era anche lei ricoverata nella Rsa, ma po trasferita all’ex Don Uva a Potenza. Fino ai primi del novembre scorso, la Basilicata contava poco più di una cinquantina di deceduti dall’inizio dell’emergenza Covid: ben 22, però, erano gli anziani ospiti della Rsa di Marsicovetere.

Ospiti deceduti in un lasso temporale brevissimo, tra il 29 settembre e il 2 novembre: «Una vera e propria strage con pochi sopravvissuti», viene riportato negli atti dell’inchiesta condotta dai Carabinieri del Nas di Potenza e coordinata dal Procuratore capo Francesco Curcio che ha definito la Casa di riposo un «altoforno Covid». Nella struttura, a fronte del numero massimo di 22 ospiti, in realtà erano presenti 49 persone. Questo il numero delle persone individuate dai Nas, anche se per gli inquirenti, data la «sistemica falsificazione dei documenti», l’elenco potrebbe non essere completo. Anche la vita degli operatori è stata gravamente messa rischio: 8 su 10 risultarono positivi al Covid. Operatori e inservienti che seppur positivi continuavano a prestare assistenza agli anziani, anche a quelli non positivi, e così in questo modo «continuavano a infettare».

«Abbiamo trovato ha spiegato il Procuratore capo Francesco Curcio una situazione da terzo mondo con persone anziane, quindi soggetti deboli e fragili, ammassate in poste di fortuna e anche in sale mortuarie» Gli inquirenti hanno ricostruito una «situazione determinatasi per il modo criminale con cui la stessa era gestita», aggiungendo che l’amministrazione della Rsa «non procedeva in alcun modo ad attivare le apposite procedure sanitarie previste dall’attuale normativa» come sanificazioni, isolamento, sottoposizione a tampone di tutti gli effettivi ospiti, anzi. Fu deciso, per esempio, il trasferimento, senza alcuna precauzione e senza comunicazione agli organi sanitari, di una donna che era già risultata positiva.

Secondo gli investigatori, inoltre, «in presenza di epidemia accertata» all’interno della Casa di riposo di Marsicovetere, i titolari trasferirono «abusivamente» e «clandestinamente» l’anziana donna in un’altra struttura, la “San Giuseppe” di Brienza dove si è diffuso un altro focolaio che ha portato alla morte di cinque persone. L’Rsa di Brienza è gestita dalle Suore Missionarie Catechiste del Sacro Cuore ed è indagata anche l’80enne suora responsabile che probabilmente, hanno ipotizzato al momento gli inquirenti, ha agito con superficialità. Ramagnano e Varallo, in nome del «profitto» non avevano nè limiti nè scrupoli. Neanche l’intervento dei Nas e il sequestro della struttura ad ottobre li aveva fermati, perché subito dopo attivavano «abusivamente» altre due case alloggio, ubicate in zone limitrofe a Marsicovetere, poi chiuse anche loro. Il 20 novembre scorso, Romina Varallo è stata fermata dai carabinieri mentre si trovava in auto con due anziani che stava trasferendo dalla struttura abusiva di Marsicovetere segnalata dai carabinieri in un’altra sempre «abusiva» dove già si trovavano altri anziani.

La donna, ignara di essere intercettata, chiamò Ramagnano per spiegare la vicenda e chiedere consigli: «Digli che li hai portati a fare un giro». Le case di riposo «abusive» e occulte, potrebbero essere state utilizzate, è solo un’ipotesi investigativa al momento, per superare i controlli durante la prima ondata, a seguito dei quali l’Rsa risultò in regola. La coppia di soci puntava a fare “incetta” di anziani facendo leva su una retta mediamente bassa: dagli 800 ai mille e 100 euro mensili. Non solo si prodigavano per predisporre altri luoghi, come abitazioni, a Rsa improvvisate, ma attuavano tutte le modifiche per accettare quanti più ospiti possibili.

Le indagini hanno accertato che persino locali come la medicheria, palestra e addirittura la camera ardente erano stati adibiti a stanze da letto per gli ospiti in sovrannumero. In questi locali «erano presenti dei divani utilizzati anche come letti». I sopralluoghi effettuati dalle autorità sanitarie hanno inoltre appurato che la permanenza in quei luoghi aveva generato negli anziani delle gravi conseguenze: agli investigatori, uno dei medici ha raccontato che «appariva evidente che gli anziani ospitati presso la detta struttura e da lui visionati sembrava non ricevessero un’assistenza adeguata difatti venivano notati in loro segni di stordimento e paura».

Ai militari, i dipendenti della Rsa di Marsicovetere hanno dichiarato che non c’era nessuno addetto al rilevamento della temperatura, non c’era un termoscanner o un termometro digitale, non era stato fornito alcun tipo di dispositivo di protezione individuale: loro autonomamente dovevano comprare mascherine e guanti. Nessuno indossava tutte protettive né tantomeno visiere.

E anche quando era stata accertata la presenza di casi positivi non era mai stata disposta alcuna sanificazione degli ambienti. L’input investigativo non è arrivato dai familiari degli ospiti della Rsa di Marsicovetere: buona parte di loro ha iniziato a collaborare soltanto quando investigatori e inquirenti hanno fatto irruzione nella casa di riposo. Per la complessità e la delicatezza dell’inchiesta, gli esami autoptici sono stati eseguiti dall’ospedale Spallanzani di Roma specializzato in analisi Covid. Quella della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Potenza è la prima inchiesta del genere in Italia che punta a dimostrare il nesso tra una gestione sanitaria dei ricoverati scellerata e dissennata con la lunga scia di morte e positivi

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