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LE PAROLE MANCATE SUL DISASTRO DI BALVANO

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Ho trovato anch’io triste che il Presidente Bardi, ovvero il suo distratto entourage, non abbia sentito la necessità di dire una sola parola sulla ricorrenza del disastro ferroviario di Balvano del 3 marzo 1944; e l’ho trovato triste non già per ragioni formali – noto che un pezzo di cultura italiana si è ormai ridotto a commemorare ricorrenze – ma perché è stata l’ennesima testimonianza di un profondo scollamento tra la storia della Basilicata e il suo massimo esponente politico, che sicuramente “sente” poco la storia di questa terra e di questo popolo. Tutto l’opposto di ciò che accadeva a personaggi illustri della diaspora lucana che ho avuto la fortuna di conoscere. Qualche mese fa, proprio in questa rubrica, ho ricordato il pittore Rocco Falciano. Rocco era nato a Potenza nel 1933, e una delle memorie che più lo tormentavano della sua infanzia e giovinezza potentina era proprio quella del disastro del treno 8017, che costò la vita a circa 600 persone. Io Rocco me lo ricordo ancora – come fosse ieri – davanti a me nello studio della mia vecchia casa romana; e me lo ricordo con gli occhi vivi e accesi, la bocca contratta dai tormenti, la voce calda e accorata. Ci tornava spesso, su quella tragica memoria. Aveva poco più di dieci anni, e sempre mi diceva che a un certo punto portarono le bare a Potenza, e le disposero in fila non so dove, e che quella lunga, infinita fila di bare lo tormentò per il resto della sua vita. La cosa che più mi ha sempre dilaniato del disastro di Balvano – al di là della tragedia in sé – è il fatto che a morire furono centinaia di persone che proprio in quei mesi si muovevano da una parte all’altra per ritornare a casa, per trovare un po’ di cibo, per fare un po’ di borsa nera, per cercare qualche famigliare disperso o momentaneamente allontanato. Un’Italia ferita a morte ma gonfia di speranze e di sogni di rinascita.

diconsoli@lecronache.info

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