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ALL’ASP UN MAXI DANNO ERARIALE DA CAPOGIRO

Tra Campania e Basilicata, Granito ha fatto incetta di incarichi grazie a autodichiarazioni false: dalla Corte dei Conti nessuno sconto

All’Azienda sanitaria locale di Potenza (Asp), un danno erariale da capogiro: 533mila e 286 euro. A tanto ammonta l’importo complessivo che il medico Giuseppe Granito dovrà restituire per emolumenti «ingiustamente percepiti» e che lui, data la «cosciente volontà di violare le regole», sapeva essere tali. La Corte dei Conti di Basilicata rispetto alla quantificazione del danno erariale effettuata dalla Procura regionale, non ha fatto sconti, neanche di 1 centesimo: l’accusa contestava 533mila e 286 euro e Granito 533mila e 286 euro dovrà tornare indietro al Sistema sanitario. Per gli stessi fatti, inoltre, come evidenziato dall’accusa, la Procura della Repubblica di Lagonegro ha «dato corso ad un procedimento penale a carico di Granito per i reati di truffa e falso ideologico».

Ad ogni modo, tornando sui binari della Giustizia contabile, il seguente, in sintesi, è l’addebito: ingiuste retribuzioni percepite in conseguenza dello svolgimento di «plurimi incarichi professionali contemporaneamente svolti presso diverse strutture del Servizio sanitario nazionale (Ssn) ed ottenuti mediante la produzione di false attestazioni e dichiarazioni circa l’assenza di cause di incompatibilità ostative al conseguimento degli stessi» incarichi. In relazione all’«irragionevole ed ingiustificato esborso di denaro pubblico», Granito è stato ritenuto dolosamente responsabile di una «pluralità di illecite condotte, poste in essere in maniera artata e reiterata», attraverso cui ha indotto in errore l’Asp di Potenza. I rapporti di lavoro, non erano in regime esclusivo.

Di conseguenza violato ii principio di «unicità del rapporto lavorativo con il Ssn». Più precisamente e in riferimento all’arco temporale dal 2002 al 2011, Granito risultava aver svolto contemporaneamente incarichi professionali nella veste di dirigente medico dipendente a tempo determinato e nella veste di medico convenzionato per la continuità assistenziale e per l’assistenza primaria del Servizio Sanitario nella regione Campania e nella regione Basilicata. Dalla continuità assistenziale a Montesano sulla Marcellana e a Campagna nel distretto di Eboli, a quella di San Chirico Raparo e San Martino d’Agri, passando per gli incarichi di Dirigente medico della disciplina di Igiene e sanità pubblica, «con contratto a tempo determinato e rapporto pieno ed esclusivo», presso l’«Azienda Usl numero 3 di Lagonegro-Potenza.

Proprio per quest’ultimo caso, per esempio, Granito pur essendo, dal 2002, già titolare di un incarico a tempo indeterminato presso l’Asl di Salerno quale medico di assistenza primaria, all’atto della stipula del contratto, con dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, sottoscriveva “di non aver in corso altro rapporto dipendente di lavoro, sia di natura pubblicistica che privatistica, né di trovarsi in uno degli stati di incompatibilità» previsti dalla legge. L’apice, nel 2010, quando Granito, come ricostruito dall’accusa, svolse «contemporaneamente la propria attività professionale» sia presso l’Asl di Salerno, in riferimento all’incarico di guardia medica presso l’ex Usl di Montesano sulla Marcellana e all’incarico di assistenza primaria presso l’ex Usl di Eboli Campagna, sia presso «l’attuale Asp di Potenza» nella duplice veste di «dirigente medico presso l’ex Usl di Lagonegro», nonchè «titolare di guardia medica presso i presidi sanitari di San Chirico Raparo e San Martino D’Agri».

LA DIFESA DEL MEDICO: COLPA DEI CONTROLLORI CHE NON CONTROLLANO

Più che una linea difensiva, quella del medico Granito, è apparsa una indiretta ammissione di consapevolezza. Appigli normativi assenti, Granito ha come attribuito ai vertici aziendali delle Asl, «una palese condotta omissiva», per non aver svolto dei controlli, «anche minimi», che «facilmente “evidenziato” le doppie attività ed i molteplici incarichi svolti». Anche un «minimo controllo diligente», avrebbe agevolato il «“disvelamento”» delle illegittimità. La «immediata conoscibilità» delle sovrapposizioni di incarico, sarebbero emerse, è stato sostenuto da Granito, tramite semplice «consultazione banca dati».

Per cui, seguendo il ragionamento, l’omessa vigilanza e l’assenza di controllo da parte dell’Asp, «aveva reso possibile la tacita continuazione dell’incarico lavorativo». Più che un esonero di responsabilità, muovendosi nell’alveo della linea difensiva, quanto detto, a limite, sembrerebbe utile, in maniera astratta e puramente teorica, a una chiamata in correità. Ma non è tutto. Perchè nell’assalto finale dell’arringa, il massimo sforzo concettuale.

Va bene le false dichiarazioni a monte e le indebite percezioni a valle, ma comunque Granito ha lavorato. Il medico, ha così chiesto alla Corte dei Conti di Basilcata di valutare i «vantaggi comunque conseguiti dall’Asp» per effetto delle «effettive prestazioni lavorative», essendo stati tali incarichi da lui svolti «al fine di rispondere a reali esigenze emergenziali presenti in “zone” nelle quali risultava difficile reperire medici disposti a svolgere attività di continuità assistenziale». LA

“MAZZATA” DAI GIUDICI: «COSCIENTE VOLONTÀ DI VIOLARE LE REGOLE»

Trancianti e laconici i giudizi della Corte dei Conti. Il collegio giudicante ha ricordato a Granito che la gestione regolare e corretta delle pubbliche risorse, «anche nella chiave della puntuale garanzia della “giustizia” dei corrispettivi erogati a fronte di prestazioni lavorative rese per l’assolvimento di finalità pubbliche», si invera «non soltanto attraverso il riconoscimento del risultato prestazionale assicurato, ma anche attraverso il rispetto delle regole preordinate a garantire la corretta modalità di formazione degli obblighi dai quali le stesse derivano». Per cui il regolare conferimento di un incarico di lavoro pubblico, come spiegato dalla Corte dei Conti, non mira solo ad assicurare il conseguimento del risultato programmato, ma «esige, anche, che la prestazione sia eseguita in forza di procedimenti di selezione e conferimento posti a salvaguardia del rispetto delle norme sulla concorrenza, sulla efficienza ed efficacia, donde la “unicità” del rapporto, sulla lealtà e sulla trasparenza, donde il dovere di veridicità delle dichiarazioni».

La «mera effettività» del lavoro svolto non regge e non potrebbe essere altrimenti, poichè, tra le altre cose, le norme poste a «presidio» del principio di buon andamento dell’azione amministrativa, non puntano esclusivamente al risultato, poichè, alla base, sono «ostative alla formazione di condizioni di intollerabile privilegio». Lette le carte, scritta la sentenza. Per la Corte dei Conti di Basilicata, nessun dubbio: rilevata la «chiara responsabilità» del medico Granito «per le ingiuste retribuzioni percepite in chiave di corrispettività inficiata da manifesta illegittimità ed illiceità».

Di qui la «cosciente volontà di violare le regole informanti la esclusività e la unicità del “proprio” rapporto lavorativo “pubblico”». Fatta la sommatoria delle somme indebitamente percepite, il risultato del danno erariale: 533mila e 286 euro da maggiorare della rivalutazione monetaria e degli interessi fino all’effettivo pagamento.

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