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PERCHÉ COSÌ TANTI LUCANI AI VERTICI DELLO STATO?

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Sta emergendo uno strano fenomeno, ovvero la presenza sempre più massiccia di lucani ai vertici dello Stato. Confesso però di affrontare l’argomento con fastidio, perché sono figlio della parte più anarchica e selvaggia della mia terra – quella, per intenderci, più refrattaria al mito dello Stato, dell’Ordine e delle Leggi. Per rendere l’idea di ciò di cui sto parlando farò tre nomi: Francesco Paolo Figliuolo (di Potenza), dal 2018 Comandante Logistico dell’Esercito italiano e da pochi giorni nuovo Commissario straordinario per l’emergenza Covid-19; Luciana Lamorgese (di Potenza), prefetto e attuale Ministro dell’Interno; Maria Teresa Sempreviva (di Chiaromonte), Vicecapo della Polizia. E potrei continuare. A differenza della Campania e della Calabria, giusto per citare due Regioni limitrofe più contradditorie e articolate, pochi lucani si sono resi protagonisti nel decennio 1968-1978 di lotte sociali e politiche; al contrario, si sono fatti strada – con rigore e zelo giuridico e amministrativo – nella pubblica amministrazione e nei più alti ranghi dello Stato, portando ai massimi livelli un assai diffuso culto dello Stato. Confesso di essermi più volte chiesto come mai nei ministeri e, in generale, nella macchina amministrativa dello Stato ci siano così tanti lucani. E la conclusione alla quale sono giunto è un ulteriore nome: Emilio Colombo. È grazie alla sua azione profonda e capillare – lunga più di quarant’anni – se in Basilicata si è radicato un così forte sentimento favorevole allo Stato e alle Istituzioni. Colombo non ha rappresentato soltanto un’idea di politica, ma anche una precisa identità culturale, che personalmente leggo come subalterna e paternalistica, ma che rappresenta indubbiamente un’ideologia dominante. Lo stesso Roberto Speranza, culturalmente figlio di Colombo, è incomprensibile al di fuori del suo magistero.

diconsoli@lecronache.info

 

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