Attualità

BALVANO, IL RICORDO DI UNA TRAGEDIA

Il pensiero del Sindaco Di Carlo, dopo 77 anni: “a tutti i viaggiatori del treno 8017 che non ci sono più, e alle loro famiglie”


Una ricorrenza ancora più silenziosa, quella della sciagura del 3 marzo 1944, quando la morte sorprende i passeggeri del treno 8017, che a soli 6 chilometri dalla fermata successiva, “Bella-Muro”, restò intrappolato in una delle 37 gallerie della linea Battipaglia-Potenza, la numero 20, la più lunga del percorso, quasi due chilometri e fatale.

Oggi la Basilicata è Zona rossa. Coprifuoco e silenzio. Ma il Sindaco Costantino Di Carlo non dimentica, e dedica in rete, un pensiero a tutte quelle vittime e alle loro famiglie. 

Sono trascorsi 77 anni, ma il suo nome è destinato a restare nella storia: “Galleria delle Armi”. Fu qui che per l’effetto combinato di monossido e biossido di carbonio e carenza d’ossigeno, morirono nel sonno o nella veglia, oltre 600 persone.

Il convoglio, partito da Napoli e diretto a Potenza, entrò nella galleria poco dopo la stazione di Balvano, per non uscirne mai più. Incominciò a slittare nel tunnel ferrato, lungo 1692 metri: chi vi stava viaggiando morì avvelenato dalle esalazioni delle due locomotive a vapore. La lunghezza eccezionale del convoglio composto da 47 vagoni, per un totale di 479,30 metri, che finì la sua lenta processione a un chilometro e mezzo dall’uscita del tunnel, «si arrese per carico– riportarono le cronache del tempo- massa trainata e pendenza del 14 per mille. Gli uomini che lavoravano sul treno già da molte ore, respiravano ormai da tempo i gas sprigionati dal carbone di non ottima qualità, utilizzato fino al 1943. Il peso delle merci trasportate e l’alto numero di persone salite a bordo, “più o meno regolarmente”, avrebbero dovuto imporre un diverso posizionamento delle due locomotive che, invece, viaggiavano accoppiate alla testa del treno, esercitando la trazione in maniera sbilanciata».

La “sciagura del treno 8017 si inserisce in una pagina di storia flagellata dalla guerra, spesso per questo accantonata, sepolta da storie più truci.

Da oltre cinque mesi la Basilicata era stata conquistata dagli Alleati, che continuavano l’avanzata verso nord. Per alcune zone, in quei giorni confusi, era difficile garantire l’approvvigionamento di viveri sul posto; per cui, come succedeva nel Napoletano, ogni giorno centinaia di persone partivano verso la Basilicata, dove il raccolto offriva farina e prodotti alimentari non disponibili altrove.

Una sorta di “baratto” in cui i contadini lucani cedevano generi alimentari ricevendo in cambio vestiario, posate, lenzuola, coperte. L’unico mezzo per arrivare sul posto era il treno: essendo scarso il traffico viaggiatori, gli affamati si riversavano sui treni merci. Anche per questi motivi, quella tragica notte viene spesso ricordata come “la strage degli affamati”. Accatastati sul marciapiede della stazione in attesa che in tutta fretta si scavassero le fosse comuni.

All’alba del 3 marzo, il primo macchinista, Espedito Senatore, uomo che con il treno era un tutt’uno, fu ritrovato al suo posto di comando, con il regolatore aperto, nell’estremo tentativo di chiedere alla macchina il massimo sforzo. Aveva fatto appena in tempo a spingere Luigi Ronga, il fuochista, giù dal predellino, dicendogli di mettersi in salvo, e difatti quando arrivarono i primi soccorsi, lo trovarono stordito e accovacciato in una cunetta dove un miracoloso rigagnolo con un rivolo d’acqua, gli fu salvifico.

Sul “Times” di Londra, si parla di “guasto ad un treno nel centro-sud dell’Italia”, di “Disastro a sud est di Napoli” sulla Gazzetta del Mezzogiorno. La faccenda è liquidata e archiviata . Ancora oggi molti percorrono quella tratta, per studio o lavoro a bordo di un Intercity o Regionale, e le fermate sono le stesse di quel 3 marzo: Picerno, Baragiano, Bella-Muro, Balvano-Ricigliano e poi Eboli, Battipaglia, Salerno.

 

 

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