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LAVELLO: PER “DONNA IMMA” E MARITO ENTRAMBE LE CONDANNE CONFERMATE

I ricorsi di Di Noia e Di Cosmo respinti dalla Cassazione: 4 e 6 anni di carcere per la violenta aggressione contro il presunto «infame»

La 40enne di Venosa, Angela Di Noia, si faceva chiamare “Donna Imma” come la moglie del boss Pietro Savastano nella serie tv “Gomorra”: per lei e suo «marito» Michele Di Cosmo, sebbene da tempo separati, i due continuavano a condividere «intimamente le “sorti”», la Cassazione ha confermato le rispettive condanne a 4 e 6 anni di carcere. In origine la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Potenza riteneva che l’episodio alla base della vicenda processuale, avvenuto a Lavello, fosse da qualificare come tentato omicidio.

In realtà, il Tribunale del capoluogo, il Gup per rito abbreviato in primo grado, e la Corte d’Appello, nel febbraio dell’anno scorso, riconobbero Di Noia e il 41enne Di Cosmo, responsabili del reato di lesioni gravissime, aggravate dall’uso di arma: «una spranga di ferro». La vittima, che subì un danneggiamento tale della milza, che fu necessario asportarla, un uomo che, secondo “Donna Imma”, era l’autore di una grave «infamata». Il riferimento dell’infamata è all’arresto del venosino Di Cosmo per illecita detenzione di stupefacenti.

Questo il movente individuato dagli inquirenti. Il giorno della “vendetta”, il 09 aprile del 2017, prima della violenta aggressione, Di Cosmo continuò a infierire sulla vittima anche quando era a terra, tanto che solo «l’intervento di un passante impediva ai 2 coniugi di portare a compimento l’azione omicida», “Donna Imma” e compagno pranzarono insieme. Poi, prima dell’aggressione, un «fitto scambio telefonico» tra Di Noia e il presunto autore dell’«infamata», nel quale, “Donna Imma”, «reiteratamente lo aveva minacciato di morte».

Anche per la Cassazione, infondata la prospettazione sia della provocazione subita che della legittima difesa, anche, ma non solo, per l’«assenza di qualunque lesione in danno del Di Cosmo», poichè nella ricostruzione data dallo stesso aggressore, ammesso che avesse disarmato l’antagonista, «non era giustificabile il fatto di averlo colpito volontariamente», continuando ad accanirsi sulla vittima. Per gli “ermellini”, dal processo è emerso il concorso morale di Di Noia, nonchè la responsabilità materiale di Di Cosmo in relazione al reato di lesioni gravissime, aggravate dall’uso di arma. Per la difesa di “Donna Imma”, i giudici del capoluogo, però, sul conto di Di Noia c’erano soltanto indizi della mera consapevolezza della condotta delittuosa posta in essere da Di Cosmo, ma nessuna prova attestante il «concorso», tanto che in sede di determinazione della pena era stata valorizzata la minima partecipazione dell’imputata.

Per Di Cosmo, invece, la difesa ha evidenziato, tra l’altro, 2 circostanze in particolare: che non c’era prova che l’arma, la «spranga di ferro», fosse stata portata sul luogo dell’incontro con la vittima, proprio dall’aggressore, e che dal «balcone» di 2 testimoni oculari, data la visuale coperta da una folta vegetazione, non era possibile osservare l’area dello scontro. La Cassazione, però, ha confermato per Angelo Di Noia e per Michele Di Cosmo le rispettive condanne a 4 e 6 anni di carcere.

Ferdinando Moliterni

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