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CONFERMATA LA CONDANNA PER STEFANUTTI

La Cassazione approva il verdetto della Corte d’Appello di Salerno: 18 anni di reclusione

LA TESI DELLA LEGITTIMA DIFESA NON REGGE


La Corte di Cassazione ha confermato la condanna a 18 anni di reclusione per il 61enne Rocco Dorino Stefanutti, giudicato colpevole per l’omicidio di Donato Abruzzese, ucciso a Potenza nella notte tra il 28 e il 29 aprile 2013. La prima condanna, dal Gup del Tribunale di Potenza nel 2014. Successivamente, nel marzo 2016, la Corte di Assise di Appello del capoluogo Potenza, adita con impugnazione dell’imputato, riformò solo parzialmente la sentenza. Poi la carambola giudiziaria. Nel 2017 la Cassazione aveva disposto l’annullamento della condanna a 20 anni, oltre all’omicidio Abruzzese, Stefanutti era stato ritenuto responsabile dei delitti, uniti nel vincolo della continuazione, di detenzione e porto in luogo pubblico di pistola con matricola abrasa, nonchè di minaccia nei confronti di Gerardino Acierno e Francesca Trivigno, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di Assise di Appello di Salerno. Così, nell’aprile del 2019, la Corte d’Assise d’Appello di Salerno condannò Stefanutti a 18 anni. Questa, la sentenza confermata, ora, dalla Cassazione.

La notte del 29 aprile 2013, intorno all’1 e 05, era stato rinvenuto lungo la via Parigi 12 in Potenza, il corpo di Abruzzese che giaceva riverso a terra poichè attinto da colpi di arma da fuoco. La vittima fu subito trasportata in ospedale, ma vanamente. Dall’autopsia risultò che Abruzzese era stato attinto da 5 colpi sparati da pistola calibro 9. La mattina del 29, invece, la polizia giudiziaria, avuta «la relativa indicazione da tale Acierno Gerardino», trovò in una aiuola prossima al palazzo di via Parigi 12, tre armi: una pistola calibro 6,35, una pistola calibro 9 e un revolver calibro 10,35. La sera dell’omicidio, via Parigi, come emerso a processo, si trasformò in Far West. Esaminando la posizione dei bossoli, la sparatoria fu così ricostruita: Abruzzese aveva sparato quattro colpi con pistola calibro 6.35 e uno con il revolver calibro 10.35, mentre Stefanutti aveva sparato undici colpi con pistola calibro 9.

Sulla pistola di Stefanutti, ci fu anche la conferma indiretta del collaboratore di giustizia Cossidente che riferì come già sapesse per certo che, «in passato», Stefanutti possedeva una pistola proprio calibro 9. Ad ogni modo, come dichiarato dalla moglie di Abruzzese, verso le ore 0.40, «uno sconosciuto aveva suonato al citofono chiedendo del marito», che subito scese. La donna, poi, affacciatasi al balcone aveva notato in strada un’auto e una persona, «riconosciuta nell’imputato Stefanutti» e «con una pistola in mano». Mentre stava scendendo anche lei al portone, sentì alcuni colpi di arma da fuoco e, una volta giunta al piano terra, trovò «il marito riverso a terra, e vicino a lui l’amico Acierno Gerardino». Abruzzese, disse la moglie, «impugnava una pistola, era sanguinante, ma ancora vivo». La circostanza fu notò anche «l’auto dello Stefanutti allontanarsi rapidamente». Per quanto riguarda Acierno, lo stesso motivò la sua presenza sul luogo del crimine con la seguente giustificazione. Disse di aver accompagnato Abruzzese a casa quella sera, «dopo la mezzanotte» e che, siccome era rimasto in strada, citofonò «per sapere se doveva attenderlo o se poteva allontanarsi».

Abruzzese gli rispose «di attendere». Nel frattempo, arrivò Stefanutti, che «minacciandolo con una pistola», lo fece allontanare. Rimase nei dintorni, come spiegò, salvo poi tornare dopo aver sentito i colpi d’arma da fuoco. Prima dell’arrivo dei soccorsi, lui stesso, come affermò, fece «sparire» la pistola impugnata da Abruzzese, l’altra che Abruzzese portava alla cintola e un’altra che si trovava a terra alla sinistra del corpo della vittima. Sempre Acierno fornì lo spunto del movente. La sera dell’omicidio, disse, Abruzzese aveva incontrato Stefanutti presso il ristorante Singapore, dove i 2 avevano litigato per via di «una passata collaborazione commerciale fra i due». Stefanutti aveva collocato sue macchinette da videogiochi presso la sala giochi dell’Abruzzese. Sulla ripartizione dei guadagni, il rapporto si deteriorò, come dichiarato da altra testimone, fino alla rottura dell’accordo commerciale.

Stefanutti, invece, ha sin dall’inizio prospettato la legittima difesa in relazione all’aggressione posta in essere da Abruzzese che comunque era armato di 2 pistole. Per il giudice, però, Stefanutti dopo la condotta provocatoria al ristorante, si sarebbe messo in situazione di pericolo presentandosi armato di pistola sotto l’abitazione di Abruzzese, «ed inoltre avrebbe avuto la possibilità di allontanarsi senza dover utilizzare la pistola». Stefanutti, inoltre, ha in più circostanze negato sia il litigio al ristorante che il movente legato al gioco d’azzardo, paventando tra i possibili motivi di rancore di Abruzzese nei suoi confronti, che forse, la vittima, in passato non aveva accettato le sue critiche per «l’atteggiamento nei confronti della moglie». Oltre sull’attendibilità dei testimoni, la difesa di Stefanutti ha molto puntato sulla riqualificazione del reato in eccesso colposo di legittima difesa. Tra gli elementi a favore della versione secondo cui l’agguato era a Stefanutti e non il contrario, quelli relativi alle cellule telefoniche agganciate dal telefono di Abruzzese che lo avrebbero collocato, al momento dell’omicidio, in altra zona della città. Come se lo stesso, in sintesi, avesse voluto costruirsi un alibi.

Da allora la tesi dell’agguato “inverso” è stata un’ombra che aleggiava persistente sull’accaduto. Ad ogni modo Stefanutti si consegnò alla Polizia, il 3 maggio del 2013. Dopo quasi 8 anni, la Cassazione ha confermato la condanna a 18 anni di reclusione per Rocco Dorino Stefanutti.

Ferdinando Moliterni

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