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L’ORGANICO ATTUALE DI 11 MAGISTRATI, COME NEL 1861

Corte d’Appello di Potenza, 160° anniversario: l’intervento della Presidente Sinisi all’inaugurazione dell’anno giudiziario

La Presidente della Corte di Appello di Potenza, Rosa Patrizia Sinisi (in foto), ha aperto la cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario 2021, con un’articolata ricostruzione storica che oltre che celebrativa del 160° anniversario, è statasi è rivelata funzionale a far emergere un dato: «L’organico attuale di soli 11 magistrati corrisponde alla pianta organica del 1861». Di seguito l’intervento della Presidente Sinisi, in versione sintetica, ma contenente tutti i passaggi salienti, poichè non riproducibile


DI ROSA PATRIZIA SINISI

Proprio all’Italia voglio fare cenno, perché il 17.3.1861 a Torino il Parlamento proclamò Vittorio Emanuele II re d’Italia “per grazia di Dio e volontà della Nazione” e quest’anno ricorre il 160° anniversario dell’ Unità d’ Italia. È un passaggio storico di rilievo, soprattutto per la Basilicata e per il Meridione in generale, un territorio per secoli identificato con “Regno di Napoli” che divenne “Regno d’Italia”. In questo contesto vorrei raccontare una storia “celata”, perchè poco studiata, ma importante per coloro che vivono e operano nel distretto di Potenza. Furono molti i cambiamenti dovuti alla nuova realtà politica avviatasi nel 1861, tra cui i codici post-unitari e la nuova organizzazione giudiziaria, che dovevano costituire un insieme: unificate da nord a sud, per amministrare la giustizia. In Basilicata, prima ancora che Garibaldi attraversasse lo stretto di Messina, ci fu un’insurrezione contro i Borboni e il 18 agosto 1860 a Potenza si insediò il governo pro-dittatoriale di Giacinto Albini e Nicola Mignogna. In tutti i Comuni lucani si costituì una Giunta Municipale insurrezionale con i poteri necessari per attuare le disposizioni emanate dal Governo pro-dittatoriale con sede a Potenza. Il 5 settembre 1860, ad Auletta, Giuseppe Garibaldi ricevette Giacinto Albini e lo nominò Governatore della Basilicata.

Questi con due suoi provvedimenti esonerò dall’impiego tutti i magistrati di nomina borbonica, sostituendoli con avvocati e laureati in giurisprudenza, che entrarono a fare parte della magistratura nel nuovo regime. A dimostrazione di quanto all’epoca fosse percepito come strategico il settore giustizia, il neonato regno d’Italia ritenne indispensabile sia un nuovo ordinamento giudiziario, sia un riassetto degli uffici giudiziari, ritenuto maggiormente impellente in Basilicata anche per esigenze correlate al brigantaggio. Il 26 novembre 1861 fu pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia il Regio Decreto del 20 novembre 1861 con il quale la Corte di Appello di Napoli veniva suddivisa in due “sezioni” una delle quali aveva sede in Potenza e vennero istituiti i Tribunali Circondariali di Potenza, Melfi, Lagonegro e Matera per le cause civili e correzionali.

Nasce così, da una “costola” della Corte di Appello di Napoli, che all’epoca era anche sede della Corte di Cassazione, la Corte di Appello di Potenza che aveva competenza territoriale sui quattro circondari con un estensione di kmq.385. Il 1° maggio del 1862 venne inaugurata con una solenne cerimonia la nuova Corte di Appello composta da un vice presidente, Giovanni Rossi, trasferitosi dalla Corte di Appello di Trani, che assunse poi il titolo di presidente, tre sostituti procuratori generali e 10 consiglieri, in numero ben superiore al minimo previsto dal nuovo ordinamento giudiziario del Regno d’Italia di otto consiglieri e 1 presidente.

A tal proposito, con un balzo nei tempi moderni, si pensi che prima del D.M. 1.12.2016 la pianta organica della Corte di Appello di Potenza era composta da 1 presidente, 3 presidenti di sezione e 10 consiglieri. Venne inaugurata anche la Corte di Assise di Potenza il 17 luglio 1862 con cerimonia solenne e per vari anni operò con una sezione ordinaria e una sezione straordinaria, talvolta spostandosi presso gli altri Tribunali circondariali. Nelle more venne promulgata la legge 15 agosto 1863, n. 1409, nota anche come legge Pica dal nome del suo promotore, il deputato abruzzese Giuseppe Pica, concepita come “mezzo eccezionale e temporaneo di difesa” per contrastare il brigantaggio. Introdusse il reato di camorrismo, il reato di brigantaggio e di eccitamento al brigantaggio su cui avevano competenza funzionale i tribunali militari istituiti in Abruzzo, Basilicata, Benevento, Calabria, Capitanata e Molise. La legge Pica ebbe applicazione retroattiva, fu più volte prorogata e rimase in vigore fino al 31 dicembre 1865. Emblematica fu la vicenda della sacerdote Liborio Palagano di Latronico che fu assolto il 30 settembre 1865 dall’accusa di complicità con briganti dal tribunale militare della Calabria Citra, ma dopo le rivelazioni di Serafina Cimminelli, amante del brigante Antonio Franco, venne condannato il 30 dicembre 1865 in contumacia dal Tribunale militare della Basilicata a vent’anni di lavori forzati. Sul prete pendeva anche un processo avanti la magistratura ordinaria che però venne definito dalla Corte di Cassazione di Napoli 17 giugno 1867 con declaratoria di estinzione dell’azione penale per cosa giudicata. Nihil sub sole novi quanto a conflitti di giurisdizione.

Tra le ragioni esposte per il mantenimento della Corte di Appello a Potenza fu evidenziato il significativo carico di lavoro che l’ufficio giudiziario nel primo quadrimestre del 1867 aveva deciso 66 cause civili, 182 appelli correzionali e pronunziato 549 sentenze istruttorie penali, inoltre pendevano 198 cause civili, 546 appelli correzionali e 1617 processi criminali in istruttoria presso la Sezione di Accusa. La commissione di salvaguardia della Corte di Appello allegò alla memoria anche una statistica comparata da cui risultava che nel 1865 erano stati trattati ben 1366 affari civili e penali contro appena 310 della Corte di Appello di Firenze e 1457 della Corte di Appello di Milano.

Questa la situazione in estrema sintesi degli uffici giudiziari lucani dopo l’unità d’Italia: non solo processi penali e processi militari ai briganti. Anche oggi la realtà giudiziaria della Corte di Appello di Potenza rimane “celata” agli occhi dei più e perciò stesso sottovalutata, come la sua storia, sebbene colleghi illustri abbiano lavorato a Potenza come il Procuratore del Re, Francesco Saverio Borrelli, il quale il 7 gennaio 1891 espose la relazione annuale di cui si conserva una copia nella Biblioteca Nazionale di Potenza, e poi divenne Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione di Napoli, o come il presidente della Corte di Appello, Guido Capozzi (gennaio 1984 dicembre 1988).

La Corte di Appello di Potenza “vive” da 160 anni con vicende alterne, di corsi e ricorsi storici, fino ai nostri giorni, allorquando con il riordino della geografia giudiziaria negli anni 2013-2016 si profilava nuovamente una proposta di soppressione. La Corte di Appello di Potenza ha superato periodi drammatici come il terremoto del 23 novembre 1980, noto come il devastante sisma dell’ Irpinia, che distrusse la Basilicata centro-settentrionale. Ancora oggi i colleghi più anziani ricordano di avere amministrato per anni la giustizia in gelidi prefabbricati dopo che il terremoto aveva distrutto anche il palazzo di giustizia e di avere fronteggiato l’ondata di contenzioso collegato alla ricostruzione post-sismica. Negli ultimi mesi dell’anno giudiziario trascorso ci siamo imbattuti in un terribile agente virale, battezzato Covid-19, portatore di una grave pandemia che ha disseminato ovunque migliaia di morti e ha destabilizzato la vita e l’economia persino delle più grandi potenze mondiali.

I suoi effetti ancora oggi sono pericolosamente vivi e la battaglia è tutt’altro che vinta. Le relazioni personali e sociali, la sostenibilità della mobilità sui territori, il sistema organizzativo di intere comunità sono d’un colpo mutati in funzione dell’obiettivo primario di tutelare la vita e la salute degli abitanti del globo. Il sistema giustizia, in quanto caratterizzato da scambi e contatti continui tra soggetti, ha risentito dell’irrompere sulla scena del terribile virus, dovendo cambiare improvvisamente riti processuali e organizzazione giudiziaria, acutizzando i “mali” non risolti e imponendoci un salto nel futuro con nuovi sistemi di comunicazione e di informatizzazione del processo civile e penale, dei servizi di cancelleria e amministrativi. In conclusione può affermarsi che, ancorchè vessato dai soliti e inveterati problemi quotidiani, l’anno giudiziario trascorso non si è rivelato catastrofico come si immaginava a seguito del blocco dell’attività, dovendo affrontare un nuovo “nemico”, del tutto imprevisto e imprevedibile, rappresentato dall’ emergenza sanitaria. Al netto dall’impreparazione della scienza ad affrontare subito con successo il Covid 19 e delle nostre difficoltà oggettive connesse alla spaventosa diffusività del morbo che ha colpito indistintamente anche coloro che lavorano nei palazzi di giustizia del distretto, il microcosmo dei nostri uffici giudiziari finora ha retto all’impatto, sia pure con affanno, ed ora non dobbiamo farci sopraffare dalla stanchezza o dallo scoramento, ma rafforzare le sinergie tra tutti i protagonisti del mondo giustizia (magistratura, avvocatura, personale amministrativo, polizia giudiziaria, consulenti, cittadini) non solo per mettere in opera rimedi organizzativi, ma soprattutto per tutelare di diritti costituzionalmente garantiti e soddisfare nuove e più pressanti domande di giustizia. È questa la sfida che nel pros-

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