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OMICIDIO DI LIDIA MACCHI, UN VECCHIO ARTICOLO AL GIORNO IN ATTESA DELLA CASSAZIONE (14ª parte): LA REAZIONE DELL’AVVOCATO DELLA PARTE CIVILE

Ad oggi le motivazioni della sentenza di secondo grado hanno dato ragione alla difesa di Stefano Binda

UN CASO ALLA VOLTA FINO ALLA FINE 

LIDIA MACCHI

OMICIDIO DI LIDIA MACCHI, UN VECCHIO ARTICOLO AL GIORNO IN ATTESA DELLA CASSAZIONE (14ª parte): LA REAZIONE DELL’AVVOCATO DELLA PARTE CIVILE

 

Il 5 gennaio 1987, Lidia Macchi, una studentessa universitaria di 21 anni, viene uccisa con 29 coltellate nel bosco di Cittiglio (Varese).
Stefano Binda, un conoscente della Macchi, 19enne all’epoca dei fatti, viene arrestato il 15 gennaio 2016, condannato all’ergastolo in primo grado dalla Corte d’Assise di Varese nell’aprile 2018 e poi assolto dalla Corte d’Appello di Milano, il 24 luglio 2019.

Hanno sostenuto l’accusa con le loro consulenze la psicologa Vera Slepoj, il criminologo Franco Posa e la grafologa Susanna Contessini.
Secondo la Procura l’assassino avrebbe scritto IN MORTE DI UN’AMICA, una lettera che era stata recapitata a casa Macchi all’indomani dell’omicidio.
Secondo la grafologa Susanna Contessini quella lettera era stata scritta da Stefano Binda.

La consulente della difesa, la grafologa Cinzia Altieri, ha da sempre contestato le conclusioni della collega.

All’indomani della condanna di primo grado gli avvocati Patrizia Esposito e Sergio Martelli hanno chiesto una consulenza alla criminologa Ursula Franco che ha escluso che l’assassino avesse scritto IN MORTE DI UN’AMICA.

Criminologa URSULA FRANCO

Ad oggi le motivazioni della sentenza di secondo grado hanno dato ragione alla difesa di Stefano Binda.

Abbiamo deciso di pubblicare un vecchio articolo al giorno sul caso Macchi, lo faremo fino al 26 gennaio 2020.

Il 27 gennaio infatti si esprimeranno i giudici della Suprema Corte.

Il 22 Ottobre 2019 Andrea Camurani su VARESENEWS:

Il legale dei Macchi: “Sentenza che lascia sbalorditi e sconcertati
Secondo Daniele Pizzi i giudici hanno “sbagliato ad aver criticato l’operato dei poliziotti e dei magistrati che si sono occupati sinora della morte di Lidia“

Indagini fatte male, con indizi assurti a “prove dichiarative per lo più esauritesi in pochi e insignificanti fatti concreti e moltissime personali congetture, talune anche di astratto buonsenso”, ma che sempre congetture rimangono.

Fa discutere la sentenza dei giudici d’Appello di Milano inferito all’assoluzione di Stefano Binda dall’ergastolo inflittogli dai giudici di Varese in primo grado per l’omicidio di Lidia Macchi.

A criticare le argomentazioni dei giudici Milanesi è l’avvocato di parte civile, il legale della famiglia Macchi, Daniele Pizzi, che parla di «una sentenza che lascia totalmente sbalorditi e sconcertati, ma non per il fatto di aver assolto Stefano Binda (e lo sottolineo a caratteri cubitali). Ciò che, di questa sentenza, ha infatti stupito più di ogni altra cosa è l’aver criticato, con un’efferatezza davvero inimmaginabile ed inaccettabile, l’operato dei poliziotti e dei magistrati che si sono occupati sinora della morte di Lidia».

«Con il senno di poi è davvero troppo facile e semplicistico definire “inutili” operazioni come quelle attuate dalla Dott.ssa Manfredda per ricercare l’arma del delitto sulla collina del Sass Pinì piuttosto che al parco Mantegazza: tutti eravamo consapevoli delle difficoltà di una simile impresa, ma era giusto e doveroso che nulla rimanesse intentato».

Secondi Pizzi poi, «se non fosse stato per la tenacia della dottoressa Gualdi (Gemma Gualdi, il procuratore generale che rappresentava la pubblica accusa ndr) che ha fatto qualsiasi cosa affinché non rimanesse inesplorato un solo angolo delle medicine legali del nostro paese, ad oggi parti del corpo di Lidia giacerebbero ancora impolverate in un armadio».
«Ha, inoltre, fatto davvero molto male leggere le parole che questa sentenza ha riservato ai poliziotti della squadra mobile e al comandante della polizia locale: si tratta di validissimi investigatori che hanno dedicato un impegno e una professionalità davvero encomiabili a questo caso: a loro la famiglia di Lidia è e sarà per sempre grata.
Per non parlare della gravità delle parole riservate al sottoscritto, che mai mi sarei immaginato di leggere all’interno di una sentenza: evidentemente il fatto di aver ricusato la Corte è stato un colpo accusato in maniera molto forte dai giudici d’Appello, ma – fosse anche quella la ragione – determinate affermazioni non sarebbero mai dovute entrare in una sentenza».

«Quando ricusammo la Corte, lo facemmo poiché l’andamento del processo di appello ci era apparso estremamente chiaro sin dalla prima udienza, oltre che perché ritenevano alquanto sbrigativo liquidare – in sole tre udienze nell’arco di soli dieci giorni – anni e anni di indagini oltre a venti udienze di dibattimento di primo grado.
Detto questo, la famiglia Macchi sarà sempre al fianco delle persone perbene che hanno profuso, e ancora profonderanno, ogni sforzo ed energia per giungere a Giustizia e Verità sulla morte di Lidia», conclude l’avvocato Daniele Pizzi.

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