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Omicidio di Lidia Macchi: l’analisi della lettera anonima “IN MORTE DI UN’AMICA” della criminologa Ursula Franco

“ Pertanto, attribuire a qualcuno questa poesia equivale ad escludere che lo stesso sia l’autore dell’omicidio della povera Lidia”

UN CASO ALLA VOLTA FINO ALLA FINE

LIDIA MACCHI

Omicidio di Lidia Macchi: l’analisi della lettera anonima “IN MORTE DI UN’AMICA” della criminologa Ursula Franco 

Il 5 gennaio 1987, Lidia Macchi, una studentessa universitaria di 21 anni, viene uccisa con 29 coltellate nel bosco di Cittiglio (Varese).
Stefano Binda, un conoscente della Macchi, 19enne all’epoca dei fatti, viene arrestato il 15 gennaio 2016, condannato all’ergastolo in primo grado dalla Corte d’Assise di Varese nell’aprile 2018 e poi assolto dalla Corte d’Appello di Milano, il 24 luglio 2019.

Stefano Binda

Hanno sostenuto l’accusa con le loro consulenze la psicologa Vera Slepoj, il criminologo Franco Posa e la grafologa Susanna Contessini. Secondo la Procura l’assassino avrebbe scritto IN MORTE DI UN’AMICA, una lettera che era stata recapitata a casa Macchi all’indomani dell’omicidio.
Secondo la grafologa Susanna Contessini quella lettera era stata scritta da Stefano Binda.

La consulente della difesa, la grafologa Cinzia Altieri, ha da sempre contestato le conclusioni della collega.

All’indomani della condanna di primo grado gli avvocati Patrizia Esposito e Sergio Martelli hanno chiesto una consulenza alla criminologa Ursula Franco che ha escluso che l’assassino avesse scritto IN MORTE DI UN’AMICA.

Ad oggi le motivazioni della sentenza di secondo grado hanno dato ragione alla difesa di Stefano Binda.

Pubblichiamo di seguito, uno stralcio della consulenza fornita dalla criminologa Franco 

Criminologa URSULA FRANCO

Una poesia anonima dal titolo “IN MORTE DI UN’AMICA” fu recapitata a casa Macchi il giorno 10 gennaio 1987, la busta all’interno della quale si trovava reca il timbro dell’ufficio postale di Varese Centro del 9 gennaio 1987 alle ore 16.00, ben oltre le 48 ore dal ritrovamento del corpo di Lidia Macchi che fu individuato nella mattinata del 7 gennaio, pertanto, nel momento in cui la lettera fu inviata erano già noti, ad amici, conoscenti e giornalisti, non solo alcuni dei dettagli relativi al suo omicidio ma anche l’ipotesi principale riguardante il movente, peraltro errata.

La riprova è in un articolo del giornalista Enrico Bonerandi dal titolo “UCCISA COME MARIA GORETTI”, pubblicato sul quotidiano “La Repubblica”, il 9 gennaio 1987, nel quale l’autore fa riferimento sia all’accoltellamento che ad un ipotetico movente:

“VARESE Le dieci pugnalate che hanno ucciso Lidia non sono per la famiglia Macchi solo una tragedia privata, ma anche un martirio, un tributo di sangue che il mondo ha preteso da una ragazza d’altri tempi, brava, studiosa, impegnata nell’aiutare gli altri, fervidamente religiosa: “Sono orgoglioso, contento della figlia che ho avuto, perché ci ha insegnato la strada del bene. Per lei la verginità era un valore supremo assoluto. Sono certo che è morta per questo, per difendere questo valore in cui credeva”. Così dice il padre, Giorgio Macchi, funzionario della Sip, convinto che la figlia sia stata uccisa da un maniaco, da qualcuno che, dopo aver cercato inutilmente di violentarla, ha sfogato la sua rabbia, la sua frustrazione, ammazzando in modo bestiale la sua vittima”. Per gli inquirenti è solo un’ipotesi tra le tante possibili, ma in casa Macchi non ci sono dubbi. La villetta sulla collina che degrada sul lago di Varese, con vista stupenda sul Monte Rosa, ieri era aperta a tutti gli amici di Lidia, i colleghi di università e i militanti di Comunione e Liberazione, il movimento nel quale la ragazza militava. Nel salottino dai mobili moderni, con ingenui quadri naif alle pareti, Giorgio Macchi accoglie ed abbraccia i giovani in giacca a vento e blue-jeans che arrivano per dire una parola di conforto, mentre gli altri familiari vanno e vengono per la casa con gli occhi gonfi di pianto. “Era una ragazza aperta, dalle idee moderne, nella sua serietà e nel suo rigore”, continua il padre. “Studiava legge perché voleva entrare nella magistratura, fare il giudice. Sarebbe stata un ottimo giudice, con tanta umanità e voglia di capire gli altri. Era innato in lei il senso dell’equità, della giustizia. Scriveva anche poesie: proprio per Natale ci aveva preparato un bigliettino d’ auguri, uno per noi genitori e gli altri per i fratelli, con delle poesie delicatissime”. Dell’impegno di Lidia in CL, il padre dice: “Rispettavo la sua scelta, ne avevamo parlato. Avevo espresso dei dubbi: non mi piace, le avevo detto, quando la religione diventa fanatismo. Lei mi aveva rassicurato. Credeva in Dio, ma non era una bigotta. E adesso che mi accorgo di come può essere cattivo questo mondo, capisco di più questi giovani, che si trovano per pregare, per stare insieme”.
La vicinanza del gruppo di CL Lidia Macchi era stata anche capo guida degli scout si era fatta sentire subito dopo che era scattato l’allarme per la scomparsa della ragazza. Lidia era uscita di casa lunedì pomeriggio per andare a trovare un’ amica, Paola Bonari, ricoverata all’ospedale di Cittiglio. “Torno per cena”, aveva detto al padre, che le aveva dato 10 mila lire per fare benzina. Era salita sulla Panda verde e aveva preso la statale.

L’ultima persona che l’ha vista viva è stata Paola: “Era serena, come al solito. Abbiamo chiacchierato un’oretta e poi se ne è andata”. Quando la famiglia non l’ha vista tornare, a sera, ha cominciato a preoccuparsi, perché Lidia era una ragazza precisa, e mai avrebbe fatto tardi senza avvertire. A notte sono stati chiamati carabinieri e polizia. I genitori speravano in una scappatella amorosa ma Lidia pare non avesse alcun flirt o in un’improvvisa crisi mistica, visto che la figlia aveva manifestato più volte il proposito di farsi suora. Hanno telefonato a Milano, in via Sila, dove Lidia condivideva un appartamentino con altre amiche, dove ogni tanto si fermava dopo le lezioni all’ università statale, dove studiava legge. Hanno chiamato un camping a Santa Maria del Monte, dove la famiglia ha una roulotte. Hanno provato con amici, amiche e parenti, e pure con le suore del Sacro Monte. Niente: sparita. Martedì sono cominciate le battute, anche con l’aiuto di un elicottero, di carabinieri e polizia. Una trentina di amici e ciellini si sono organizzati in gruppetti, perlustrando la zona intorno all’ ospedale, la strada del lago, i dintorni di Varese. Alle 10 e mezzo di mercoledì mattina Roberto, Maria Pia e Antonio hanno notato la Panda tra le sterpaglie del Sass Pinì, una zona frequentata la notte da drogati e qualche coppietta. Oltre il passaggio a livello di Cittiglio, per quella strada che si inerpica tra gli sterpi bruciati, la gente per bene non mette mai piede. Per terra c’ è un tappeto di siringhe, brandelli di riviste porno, lerciume. La Panda era lì, messa per traverso, con il sedile di destra e quello posteriore sporchi di sangue. A pochi metri, riverso, il corpo di Lidia martoriato dalle pugnalate: al torace, alla gola. Morta probabilmente da due giorni, lo stesso lunedì sera della scomparsa.

Gli inquirenti si trovano ora di fronte un giallo di non facile soluzione.

Chi può avere ucciso questa ragazza per bene, dalla vita senza ombre? Intorno all’ ospedale di Cittiglio circolano molti tossicomani.

Racconta il cappellano dell’ ospedale:

“È un grosso problema. Spesso si abbandonano a vandalismi. In chiesa hanno bruciato tutti gli arredi sacri e aperto le cassette per l’elemosina”

Un’ipotesi: Lidia, uscendo dopo la visita all’amica, si è fidata concedendo un passaggio in macchina a uno di loro, che ha tentato di rapinarla. Non trovando soldi nella borsetta, si è vendicato uccidendola. Oppure è stato un maniaco sessuale, come dice la famiglia. Gli investigatori stanno seguendo tutte le piste, però non c’ è nulla di concreto. Gli amici di Lidia, quelli che le volevano bene, si sono trovati ieri nel Duomo di Varese: per pregare e chiedere pietà a Dio. Anche per l’assassino”.
Il testo della poesia anonima:

IN MORTE DI UN’AMICA
LA MORTE URLA
CONTRO IL SUO DESTINO.
GRIDA DI ORRORE
PER ESSERE MORTE:
ORRENDA CESURA,
STRAZIO DI CARNI.
LA MORTE GRIDA
E GRIDA
L’UOMO DELLA CROCE.
RIFIUTO,
IL GRANDE RIFIUTO.
LA LOTTA
LA GUERRA DI SEMPRE.
E LA MADRE,
LA TENERA MADRE
COI FRATELLI IN PIANTO.
PERCHÉ IO.
PERCHÉ TU.
PERCHÉ, IN QUESTA NOTTE DI GELO,
CHE LE STELLE SON COSI’ BELLE,
IL CORPO OFFESO,
VELO DI TEMPIO STRAPPATO,
GIACE.
COME PUOI RIMANERE
APPESO AL LEGNO .
IN NOME DELLA GIUSTIZIA,
NEL NOME DELL’UOMO
NEL NOME DEL RISPETTO PER LUOMO
PASSI DA NOI IL CALICE.
MA LA TETRA SIGNORA
GRIDA ALTE
LE SUE RAGIONI.
CONSUMATUM EST
QUESTO LO SCOTTO
DELL’ANTICHISSIMO ERRORE.
E TU
AGNELLO SENZA MACCHIA.
E TU
AGNELLO PURIFICATO
CHE PIEGHI IL CAPO
TIMOROSO E DOCILE ,
AGNELLO SACRIFICALE,
CHE NULLA STREPITI,
NON UN LAMENTO.
EPPURE UN SUONO,
PERSISTE UNA BREZZA
RISTORO ALLE NOSTRE
ARIDE VALLI
IN QUESTA NOTTE DI PIANTI.
NEL NOME DI LUI ,
DI COLUI CHE CI HA PRECEDUTI,
CROCIFISSA ,
SOSPESA A DUE TRAVI .
NEL NOME DEL PADRE
SIA LA TUA VOLONTÀ 

PREMESSA

Si sappia che solo nel caso in cui in una missiva anonima siano presenti informazioni sul delitto non di pubblico dominio, si può attribuire la lettera all’autore del reato in quanto l’omicida ed un eventuale mitomane possono apparire sovrapponibili da un punto di vista psicopatologico tanto da risultare indistinguibili.

ANALISI

– lo “STRAZIO DI CARNI” e la “NOTTE DI GELO” non erano un segreto per nessuno.
– “RIFIUTO, IL GRANDE RIFIUTO” è un riferimento alla sessualità; prima che venissero rivelati i risultati autoptici, gli amici ciellini di Lidia, il giornalista Enrico Bonerandi e l’autore anonimo della missiva condividevano evidentemente il pensiero del padre della Macchi, ovvero che Lidia fosse morta nell’opporsi ad uno stupro.
L’autopsia ha rivelato che Lidia aveva avuto un rapporto sessuale quel giorno ma non ha riscontrato, né i segni di un tentativo di violenza, né quelli di una violenza vera e propria.
Sono pertanto proprio queste quattro parole “RIFIUTO, IL GRANDE RIFIUTO” che ci permettono di escludere che l’autore di questa poesia anonima sia l’omicida, Lidia, infatti, non venne uccisa durante un tentativo di violenza.
– È facile escludere che “VELO DI TEMPIO STRAPPATO” sia un riferimento alla perdita delle verginità della vittima.
VELO DI TEMPIO STRAPPATO” è una citazione del Vangelo secondo Matteo attraverso la quale l’autore anonimo equipara la morte di Lidia a quella di Gesù Cristo: “Ed ecco che il velo del Tempio si squarciò in due, dall’alto in basso, e la terra si scosse, e le pietre si spezzarono, e si aprirono le tombe, e molti santi, i cui corpi riposavano, risuscitarono e, usciti dalle tombe, dopo la sua risurrezione entrarono nella città santa e apparvero a molti” (27, 51).

Tempio Parokhet : sinagoga di Pisa

Il velo del Tempio è il Parokhet, un tessuto prezioso che nella sinagoga protegge l’Aron Kodesh, un armadio sacro dove si conservano i rotoli della Torah.
L’apostolo ed evangelista Matteo intende dire che, alla morte di Cristo, Dio si manifestò attraverso lo squarcio del velo del Tempio, il terremoto e la risurrezione dei corpi dei santi sepolti.
Tra questi eventi di natura teofanica, lo squarcio del Velo del Tempio corrisponde all’eliminazione della distanza tra l’uomo e Dio, rappresentato dai rotoli della legge mosaica. In pratica, Matteo intende affermare che con la morte del Signore tutti gli uomini ebbero libero accesso alla salvezza attraverso la lettura della Torah.

– “CONSUMATUM EST” è una locuzione latina trascritta male (senza una M) che significa “tutto è compiuto”.
CONSUMMATUM EST” è la traduzione in latino dell’originale greco “Τετέλεσται” (Tetelestai), le ultime parole di Gesù morente in croce raccolte nel Vangelo di San Giovanni (XIX, 30) e rappresenta un ulteriore parallelismo tra la morte di Lidia e quella di Gesù Cristo.
– “AGNELLO SENZA MACCHIA” è un parallelismo con la vergine Maria nota come “agnella senza macchia”. 
Il fatto che l’autore della lettera, con tutta probabilità un soggetto vicino al Movimento di Comunione e Liberazione, abbia definito Lidia un “AGNELLO SENZA MACCHIA” ci conferma che “VELO DI TEMPIO STRAPPATO” non è un riferimento alla verginità perduta perché sarebbero affermazioni in contraddizione tra loro.
– “UNA BREZZA RISTORO ALLE NOSTRE ARIDE VALLI” è una frase di intento consolatorio, la “BREZZA” rappresenta, infatti, la speranza legata alla fede.

CONCLUSIONI

IN MORTE DI UN’AMICA” è semplicemente una lettera di un soggetto religioso che equipara la morte di Lidia a quella di Cristo, che ritiene che Lidia sia morta difendendo la propria verginità e che, a parte chiedersi come Cristo possa rimanere “APPESO AL LEGNO”, accetta di buon grado che sia fatta la volontà divina in nome del padre.
L’autore anonimo vive in armonia la sua religiosità, egli, infatti, non solo accetta di buon grado che sia fatta la volontà divina in nome del padre ma, a differenza di Lidia, non fa alcun riferimento ad un vissuto di pulsioni in contrasto con le regole di Comunione e Liberazione.


Nella poesia “IN MORTE DI UN’AMICA” non sono presenti né una eventuale ammissione tra le righe né una confessione.
L’autore anonimo non solo non fornisce informazioni riguardanti l’omicidio che non fossero note a tutti, ma mostra di non conoscerne il movente, si può pertanto escludere che questa poesia sia stata scritta dall’assassino di Lidia Macchi.
La poesia “IN MORTE DI UN’AMICA” è stata scritta da un soggetto, con tutta probabilità vicino al Movimento Comunione e Liberazione, che considerava Lidia Macchi “UN’AMICA”, che rimase colpito dalla sua morte e che pescò tra ciò che, all’indomani del ritrovamento del corpo, era di pubblico dominio relativamente alla dinamica dei fatti e tra ciò che ipotizzarono, sbagliandosi, familiari ed amici riguardo ad un eventuale movente. 
Pertanto, attribuire a qualcuno questa poesia equivale ad escludere che lo stesso sia l’autore dell’omicidio della povera Lidia.

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