CONCESSIONI: «PATUANELLI E BARDI RENDANO PUBBLICO L’ACCORDO PRIMA DELLA FIRMA CON ENI»
Dalle associazioni ambientaliste l’allarme: «Non possiamo trovarci come con Total con un pugno di mosche»
POTENZA. È passato più di un anno e il rinnovo delle concessioni petrolifere di Eni in Basilicata continua a rimanere in un singolare limbo amministrativo. Le autorizzazioni per sfruttare i giacimenti sulla terraferma più ricchi d’Europa, in Val d’Agri, sono infatti scadute il 26 ottobre 2019. L’impasse negoziale ruota attorno alle richieste economiche della Regione. Il presidente della Regione Basilicata Bardi, nella consueta conferenza stampa di fine anno ha però annunciato che l’accordo cpn la multinazionale del petrolio è stato trovato e che a gennaio verrà defintivamente chiuso.
Ad oggi però bocche cucite sulla portata del “negoziato”. Motivo che ha indotto le associazioni ambientaliste ad accendere un campanellino di allarme. Infatti, dalle associazioni “No scorie Trisaia”, “Cova Contro” e “Mediterraneo no Trivi” la richiesta è la stessa: «Il presidente della regione Basilicata renda pubblico con informazione trasparente i contenuti dell’accordo stesso a comuni e comunità prima di ogni firma sul rinnovo della concessione Val d’Agri».
«Questo accordo di natura pubblica interessa milioni di persone che utilizzano l’acqua lucana e il futuro della stessa regione Basilicata che rischia di vedere ipotecati i suoi territori per decine di anni -spiegano le associazioni-. Stesso discorso vale per il ministro del Mise Patuanelli, ministro che insieme ad altri organi istituzionali non ha redatto ancora il Ptseai (il piano delle aree), piano delle aree dove andrebbe proibito di realizzare ricerca e estrazione di petrolio e gas nelle zone ricche di bacini idrici e sorgenti e per le zone che hanno, quindi, la conformazione geologica della Val d’Agri. Un piano che a nostro avviso avrebbe condizionato pesantemente qualsiasi accordo su nuove trivellazioni compreso questo in Val d’Agri».
«Chiediamo ( visto che nessuno amministratore pubblico lo fa ) di sapere -continuano-: cosa prevede questo accordo pubblico al di là delle misere royalties ridotte all’osso dal prezzo del barile; quanti pozzi intende trivellare in Val d’Agri la compagnia petrolifera, di tipo verticale o orizzontale anche sulle piattaforme dei pozzi esistenti; qual’è lo stato della bonifica dell’area dopo lo sversamento di 400 ton di greggio vicino il centro Oli; quanti rifiuti in quantità e qualità produrrà questo rinnovo; come saranno smaltiti i rifiuti solidi, liquidi e gassosi; nel rinnovo si prevede anche un’area di stoccaggio adiacente il centro oli di 13000 mq di rifiuti pericolosi e non pericolosi come da Via già presentato al Ministero dell’ Ambiente. I rifiuti solidi e soprattutto i reflui sono altamente tossici e hanno una radioattività naturale difficile da trattare nei corsi d’acqua dove si producono accumuli di dosi nei fanghi, nei sedimenti dei fiumi e che rischiano di finire nella catena alimentare .Radioattività che la regione Basilicata non ha mai monitorato nei sedimenti dei corsi d’acqua . Sullo smaltimento nei pozzi di reinezione resta il rischio e il pericolo connesso alla presenza faglie sismiche (presenti in Val D’Agri) che potrebbero generare terremoti e l’inquinamento delle falde. Esiste poi un piano di bonifiche sui pozzi e condotte dismesse /funzionanti ?
Esistono dei fondi già stanziati per le bonifiche al fine di evitare che a fine ciclo del petrolio ci ritroviamo altre valli da bonificare come la Val Basento ? Che tutele si adotteranno per l’inquinamento in atmosfera, considerato che leggi altamente restrittive sulle emissioni non sono mai state redatte e monitoraggi di tipo pubblico/diretti sui camini non sono mai stati effettuati? E per la tutela della salute delle popolazioni alla luce della indagine epidemiologica fatta in Val d’Agri cosa prevede questo accordo?».«Dal punto di vista economico abbiamo già visto cosa non ha ottenuto il presidente Bardi dalla trattativa Tempa Rossa, in meno di un anno gli stessi sindaci della concessione favorevoli si sono ribellati perché si ritrovano con un pugno di mosche in mano. Non è tollerabile poi ascoltare che alcuni amministratori regionali affermino che se non ci sono le royalties del petrolio la sanità regionale non funzionerebbe. In Basilicata i lucani pagano le tasse come in tutto il resto d’Italia e hanno diritto ad equa assistenza sanitaria nazionale.
Le altre regioni come fanno? Non svendono mica il proprio territorio per assicurare al cune forme di prevenzione? Quindi come spende il proprio bilancio la regione Basilicata? Ma su questo ritorneremo in seguito anche interpellando il ministro Speranza» concludono “No Scorie Trisaia”, “Cova Contro” e “Mediterraneo No Triv”.