Lettere Lucane

CHI EBBE FUOCO CAMPÒ, CHI EBBE PANE MORÌ

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A Roma, da poco più di tre anni, vivo in una zona che si trova tra il Pigneto e Torpignattara. È una zona umile, popolare, dove un tempo vivevano i profughi di guerra, i baraccati, i “ragazzi di vita” di Pasolini. Da quando ho smesso di fumare – ormai da quasi quaranta giorni – mi càpita di uscire più volte durante il giorno per fare delle lunghe passeggiate, principalmente a via del Mandrione, che è una lunga strada – stretta tra l’Acquedotto e la Ferrovia – quasi per intero chiusa al traffico. Sopratutto la sera, sento forte l’odore di fumo da camino, e devo dire che negli anni passati raramente mi era capitato di sentirlo così forte, tanto che non so se la cosa sia dovuta al fatto che smettendo di fumare l’olfatto è migliorato, oppure a questa nuova abitudine di trascorrere molto tempo, anche a tarda sera, per strada, annusando a pieni polmoni angoli remoti di questo piccolo quartiere in penombra che si chiama La Certosa. Quando esco con mia figlia in certe sere umide e nebbiose, e forte è l’odore di legna bruciata, lei mi dice sempre – un po’ per entusiasmo, un po’ perché sa che mi fa piacere –: “Papà, c’è il profumo di Rotonda!” E io ogni volta chiudo gli occhi e mi godo a fondo l’identico odore della mia contrada lucana, sempre più consapevole che anche le cose più lontane, se le ami, ogni tanto vengono a farti visita. Per la prima volta da quando vivo a Roma ho trascorso il Natale in città, e devo dire che mi ha molto sorpreso, in queste notti invernali, l’odore di camino in questa parte di Roma, tanto che camminando ho più volte sentito una carezza inaspettata. “Chi ebbe fuoco campò, chi ebbe pane morì” si diceva anticamente in alcuni paesi della Basilicata. E io condivido in pieno. Se dovessi dire qual è l’immagine più potente del mio ritorno immaginario direi questa: un fuoco acceso nella notte fredda e silenziosa.

diconsoli@lecronache.info

 

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