Quest’anno, per la prima volta da quando vivo a Roma – ottobre 1996 – non trascorrerò il Natale in Lucania. Non ho particolari abitudini o riti natalizi, ma mi è sempre piaciuto trascorrere questi giorni di festa religiosa nella nostra casa di Fratta, leggendo libri sul letto o rimanendo in silenzio attorno al fuoco. Ovviamente sarei potuto scendere facendo un tampone e facendolo fare ai miei figli, ma ho preferito rispettare i timori dei miei genitori e della comunità rotondese, che da qualche mese sento assai spaventata. Questo Natale dunque non potrò stare coi miei genitori, e la cosa mi dispiace molto, perché da quando è iniziata quest’epidemia li ho visti soltanto una volta, nel mese di agosto. Ma saranno tanti quest’anno gli emigrati che rimarranno lontani dalla Basilicata per precauzione, rendendo ancora più desolati i nostri paesi. Tristezza e speranza si spartiscono i pensieri dei miei conterranei, dilaniati – soprattutto i più grandi d’età – dalla paura superstiziosa che questo poteva essere l’ultimo Natale ancora insieme, e dalla speranza che l’anno venturo tutto potrà essere come prima. Saranno tanti i vecchi genitori che trascorreranno il Natale da soli, in silenzio, attorno al fuoco, davanti alla Tv, in estrema frugalità; e saranno tanti i figli ormai adulti che rimarranno a Modena, a Varese, a Siena, a Torino, a Roma e trascorreranno il Santo Natale con le nuove famiglie – per chi ce l’ha – o in solitudine, perché non è difficile rimanere soli su questa terra, anche se a guardare i social o la televisione sembrerebbe impossibile. Purtroppo i silenzi dei vecchi genitori e dei figli ormai adulti sparpagliati di qua e di là non saranno nemmeno legati e accarezzati dalle parole della Bibbia, un Libro che leggiamo sempre meno, tanto che i nostri figli a malapena sanno di che si tratta.