Sono anch’io convinto che nel futuro prossimo della Basilicata il settore produttivo che darà maggiori risposte di fatturato sarà l’agroalimentare. Dai caciocavalli ai peperoni “kruschki”, dalle melanzane rosse all’Aglianico, dagli insaccati ai fagioli bianchi, dalla carne rossa al pane, dall’olio alle paste fresche, ecc., la Basilicata vanta una serie di prodotti di altissima qualità, ormai riconosciuti e valorizzati in ogni dove. E tuttavia anche nel settore agroalimentare i cambiamenti sono sempre più veloci; e non mi riferisco tanto ai processi produttivi e distributivi, che pure richiedono costanti aggiornamenti, ma soprattutto alle abitudini alimentari, che stanno subendo mutazioni radicali. La tradizione agroalimentare lucana è di grandissimo spessore, ma temo che in futuro sarà più mangiata con gli occhi che con la bocca. Prevedo infatti che nei prossimi anni aumenterà il consumo di frutta, verdura, carni bianche e prodotti integrali, e questo determinerà una riduzione del consumo, e dunque della produzione di latticini, pane, pasta, insaccati, carni rosse, ecc. Ma questo non deve allarmare, perché la Basilicata ha tutti gli strumenti e le competenze per adeguarsi alle nuove culture alimentari emergenti, che saranno sempre più vegetariane e sempre più attente alle indicazioni mediche (ormai è la medicina la vera cultura egemone). Ma per non trovarsi indietro bisogna predisporre in fretta piani, progetti e iniziative per orientare la filiera agroalimentare lucana in direzione “green” e “bio”, tralasciando senza pentimenti o nostalgie quei prodotti o quelle tradizioni culinarie che pur essendo molto identitarie e molto forti per sapore, odore e colore saranno sempre più rifiutate dal mercato in quanto dannose per la salute. Ovviamente dispiace mettere a fuoco un simile scenario, ma il futuro è sempre più forte dei nostri sentimenti.