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«strage di Erba» rigettata l’opposizione proposta da BAZZI ROSA ANGELA e ROMANO OLINDO

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali

 UN CASO ALLA VOLTA FINO ALLA FINE 


Penale Sent. Sez. 1 Num. 35568 Anno 2020 Presidente: IASILLO ADRIANO

Relatore: APRILE STEFANO
Data Udienza: 17/11/2020

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:
BAZZI ROSA ANGELA nato a ERBA il 12/09/1963
ROMANO OLINDO nato a ALBAREDO PER SAN MARCO il 10/02/1962
avverso l’ordinanza del 03/02/2020 della CORTE ASSISE di COMO
udita la relazione svolta dal Consigliere STEFANO APRILE;
lette le conclusioni del PG Luigi GIORDANO che ha concluso per il RIGETTO DEI RICORSI;
dato avviso ai difensori
Corte di Cassazione

RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento impugnato, la Corte di Assise di Como, in funzione di giudice dell’esecuzione (sentenza della Corte d’Assise di Como in data 26/11/2008; confermata dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano con sentenza in data 20/04/2010; divenuta irrevocabile il 3/05/2011 a seguito della sentenza Sez. 1, n. 33070 del 3/05/2011 che ha rigettato i ricorsi in merito alla cd. «strage di Erba»), ha rigettato l’opposizione proposta nell’interesse di ROMANO Olindo e BAZZI Rosa avverso il decreto del 5/4/2019 con il quale erano state rigettate le istanze della difesa volte a ottenere:
– l’autorizzazione a procedere, ai sensi dell’articolo 391-decies cod. proc. pen., ad accertamenti tecnici non ripetibili su campioni biologici, reperti e sul corpo di reato, per il reperimento i profili genetici non rilevati durante le indagini svolte nel 2007;
– l’autorizzazione a procedere, ai sensi dell’articolo 391-septies cod. proc. pen., all’accesso ai luoghi presso la società SIO S.p.a., al fine di consentire l’individuazione dei server ove risiedono i file originali delle intercettazioni ambientali e, una volta individuati, ad accertamenti tecnici non ripetibili per l’individuazione delle intercettazioni ambientali di alcune conversazioni che non risultano registrate, ma che sarebbero avvenute e pure rilevanti per screditare l’attendibilità della parte offesa;
– l’autorizzazione a procedere, ai sensi dell’articolo 391-decies cod. proc. pen., ad accertamenti tecnici non ripetibili da eseguirsi su un apparato telefonico radio mobile, per l’analisi dei dati di traffico nonché per la individuazione di profili genetici in precedenza non rilevati.
2. Ricorrono, con unico atto, entrambi i condannati ROMANO Olindo e BAZZI Rosa a mezzo dei rispettivi difensori avv.ti Vincenzo Nico D’Ascola, Fabio Schembri e Luisa Bordeaux.
2.1. Con il primo motivo, i ricorrenti deducono la violazione di legge e il vizio della motivazione, con riferimento al rigetto da parte della Corte di Assise dell’istanza volta alla trattazione dell’opposizione in pubblica udienza, lamentando la violazione dell’art. 666, 667, comma 4 e 676 cod. proc. pen., nella formulazione che risulta all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 109 del 2015.
2.2. Con il secondo motivo, i ricorrenti hanno dedotto la violazione di legge e il vizio della motivazione, lamentando che l’ordinanza della Corte di Assise di Como abbia ritenuto irrevocabile il provvedimento di confisca dei reperti relativo alla sentenza di condanna passata in giudicato assunto dal giudice
dell’esecuzione in data 20/4/2015. Questo provvedimento sarebbe abnorme e comunque inficiato da nullità assoluta perché, in buona sostanza, adottato de plano.
In ogni caso, i provvedimenti del giudice dell’esecuzione, ancorché non impugnati, possono essere posti in discussione se si prospettano nuove questioni o nuovi elementi di fatto.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso, i ricorrenti hanno dedotto la violazione di legge e il vizio della motivazione, lamentando che l’ordinanza della Corte di Assise di Como non abbia adottato, per la trattazione dell’incidente di esecuzione proposto, il rito a contraddittorio immediato previsto dall’art. 666 cod. proc. pen., applicando quello a contraddittorio differito previsto dagli art. 667 e 676 cod. proc. pen.
2.4. Con il quarto motivo di ricorso, i ricorrenti hanno dedotto la violazione di legge e il vizio della motivazione, lamentando che l’ordinanza della Corte di Assise di Como abbia ritenuto necessario il presupposto della decisività delle prove per definire l’istanza della difesa volta allo svolgimento di indagini difensive finalizzate alla proposizione di una domanda di revisione, affermando, peraltro, di aver comunque assolto, in modo dettagliatissimo, all’adempimento di dimostrare tale decisività.
2.4. Con memoria del 10/11/2020, i difensori insistono nei motivi di ricorso e, dato atto del segnalato contrasto giurisprudenziale tra Sez. 1, n. 44591 del 03/05/2018, C., Rv. 273979 e Sez. 5, n. 44181 del 12/07/2018, R., Rv. 274122, e chiedono la rimessione della questione alle Sezioni unite ex art. 618 cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato per le ragioni che saranno esposte.
2. È utile sintetizzare lo sviluppo del procedimento, quanto meno con riguardo alla recente fase di esecuzione penale avente per oggetto i corpi di reato in sequestro e le istanze difensive finalizzate all’effettuazione di vari accertamenti tecnici in vista della proposizione dell’istanza di revisione della condanna irrevocabile.

2.1. La sentenza di primo grado e quella d’appello non hanno provveduto sui reperti e corpi di reato in sequestro nel procedimento a carico di ROMANO Olindo e BAZZI Rosa (c.d. “Strage di Erba”), definito con sentenza della Corte d’Assise di Como in data 26/11/2008, confermata dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano.
Il 12/1/2015, gli avvocati D’Ascola, Schembri e Bordeaux, difensori dei predetti imputati, depositavano istanza con cui chiedevano di essere autorizzati al prelievo di reperti biologici custoditi in parte presso il dipartimento di Medicina Forense dell’Università di Pavia e presso i RIS di Parma, ai fini di un’eventuale richiesta di ammissione al giudizio di revisione della sentenza di condanna, da tempo passata in giudicato. In data 20/2/2015, il direttore dell’Ufficio Corpi di reato presentava istanza relativa alla destinazione dei reperti ancora ivi custoditi, sui quali non si era provveduto in sentenza.
In data 20/4/2015, la Corte d’Assise provvedeva su entrambe le istanze, con separati provvedimenti, con i quali: rigettava l’istanza di autorizzazione al prelevamento dei reperti; ordinava la confisca e la distruzione dei corpi di reato ancora presenti presso il competente Ufficio del Tribunale, ma, considerato che i difensori avevano prospettato la possibilità di chiedere un giudizio di revisione (anche se l’istanza formulata a tal fine riguardava solo i reperti biologici) ne differiva l’esecuzione.
I suddetti provvedimenti non sono mai stati impugnati; riguardo all’ordine di confisca e distruzione dei corpi di reato i difensori hanno in seguito formulato istanze di differimento dell’esecuzione in ragione della pendenza del procedimento relativo alla richiesta di incidente probatorio finalizzato alla richiesta di revisione davanti alla Corte d’Appello di Brescia.
La Corte d’Assise, con ordinanza del 4/5/2016, accogliendo la richiesta difensiva, ha confermato l’ordine di distruzione, ma ne ha differito l’esecuzione decorsi nove mesi; con successiva ordinanza del 3/7/2017, ha nuovamente confermato la confisca e distruzione dei corpi di reato, ma ne ha sospeso l’esecuzione fino all’esito della decisione definitiva sull’istanza di incidente probatorio.
2.2. In seguito si è sviluppato il procedimento oggetto del presente ricorso.
Con una prima istanza alla Corte di Assise di Como, in funzione di giudice
dell’esecuzione, i difensori di BAZZI Rosa e ROMANO Olindo chiedevano
l’autorizzazione a procedere, in forza dell’art. 391-decies cod. proc. pen., ad accertamenti tecnici non ripetibili da eseguirsi su campioni biologici, reperti e corpi di reato raccolti nel procedimento penale al fine di isolare profili genetici non rilevati durante le indagini. Secondo la prospettazione difensiva, alcuni reperti non sarebbero mai stati analizzati, mentre altri erano meritevoli di nuove analisi. L’istanza traeva spunto dalla motivazione della sentenza della Corte di Cassazione (Sez. 5, n. 44181 del 12/07/2018, R., Rv. 274122) emessa sul ricorso proposto avverso l’ordinanza della Corte di appello di Brescia, che aveva dichiarato inammissibile la richiesta di incidente probatorio finalizzata alla richiesta di revisione: la Cassazione aveva rigettato il ricorso ma, in motivazione, avrebbe confermato l’esistenza di poteri di indagine difensiva, di tipo anche esplorativo, volti alla presentazione della domanda di revisione.
Con una seconda istanza i difensori chiedevano alla Corte di assise di autorizzare la difesa, in forza dell’art. 391-septies cod. proc. pen., all’accesso presso la sede della società SIO S.p.a. di Cantù al fine di consentire l’individuazione dei server ove risiederebbero i file originali delle intercettazioni ambientali e, una volta individuati, a procedere ad accertamenti non ripetibili su detti server. Secondo i difensori, dalle copie dei file delle intercettazioni consegnate dal consulente della Procura della Repubblica al dibattimento sarebbero mancanti numerosi file audio delle intercettazioni ambientali svolte presso l’Ospedale di Como (luogo di ricovero della persona offesa che aveva riconosciuto gli imputati) e presso l’abitazione di Erba (residenza degli imputati).
Con una terza istanza, integrativa della prima, i difensori chiedevano l’autorizzazione a procedere ad accertamenti non ripetibili su un telefono cellulare, su cinque coltelli e un affilacoltelli per analizzare i dati informatici e isolare profili genetici non rilevati nel corso delle indagini.
2.3. La Corte di Assise di Como rigettava, con decreto de plano in data 5/4/2019, la prima istanza in forza del principio di diritto in base al quale l’autorizzazione a svolgere attività investigativa finalizzata a una richiesta di revisione deve essere negata in presenza di istanze meramente esplorative ovvero mirate ad accertamenti che appaiano, all’evidenza, superflui o inidonei a determinare modificazioni sostanziali del quadro probatorio; principio che impone alla parte di dedurre la decisività dello specifico atto di indagine difensiva richiesto e di indicare l’utilità che si mira a conseguire attraverso l’esercizio del diritto. Secondo la Corte, i difensori non avevano dedotto la decisività dell’atto di 5 indagine richiesto e l’utilità che essi miravano a conseguire. Per di più, la prima istanza costituiva la riproposizione parziale di quella già valutata dalla Corte di appello di Brescia nel dichiarare inammissibile la richiesta di incidente probatorio finalizzato al giudizio di revisione; la Corte aveva ritenuto che l’impianto probatorio che aveva condotto alla condanna irrevocabile non sarebbe stato distrutto dall’accertata presenza di tracce biologiche di soggetti diversi rispetto a coloro che frequentavano o avevano avuto accesso all’abitazione.
Secondo la Corte di assise, poi, la seconda e la terza istanza erano del tutto immotivate, essendo stato nel frattempo acclarato, con riferimento alla seconda istanza, che la SIO non aveva la disponibilità delle registrazioni digitali delle intercettazioni, di cui aveva la disponibilità la Procura della Repubblica nei propri server, ai quali non poteva essere concesso l’accesso ai privati per la tutela della segretezza delle indagini passate e presenti e della riservatezza dei soggetti coinvolti; del resto, i difensori avevano già estratto la copia integrale delle registrazioni effettuate.
La Corte, infine, disponeva che, divenuto definitivo il provvedimento, fosse data esecuzione all’ordine di distruzione dei corpi di reato ancora in custodia dell’Ufficio dei Corpi di Reato.
2.4. Con separati atti i difensori dei condannati hanno proposto, avverso il provvedimento della Corte di Assise di Como del 5/4/2019, sia l’opposizione di cui all’art. 676 e 666, comma 4, cod. proc. pen., sia il ricorso per cassazione.
2.4.1. La Corte di cassazione, con ordinanza Sez. 1, n. 48475 del 12/09/2019, B. Rv. 278497, ha affermato il principio così massimato: «Avverso i provvedimenti di rigetto “de plano” delle istanze avanzate al giudice dell’esecuzione finalizzate all’espletamento di indagini difensive, il ricorso per cassazione è ammesso soltanto in caso di abnormità del provvedimento, mentre, nei casi ordinari, deve essere proposta opposizione davanti allo stesso giudice che li ha emessi», disponendo, previa riqualificazione del ricorso in opposizione, la trasmissione al giudice dell’esecuzione. Nella motivazione della sentenza, è stato rilevato che «… spetta al giudice dell’esecuzione la competenza a provvedere sulle istanze difensive di prelievo di campioni su reperti sequestrati e in custodia all’A.G. (Sez. 1, n. 1599 del 05/12/2006 – dep. 19/01/2007, Conti. comp. in proc. Piemonte, Rv. 236236: il principio è stato incidentalmente confermato con la sentenza di questa Sezione n. 40917/2017 di annullamento dell’ordinanza di inammissibilità dell’istanza di incidente probatorio), tale Giudice deve provvedere secondo le forme previste dal codice diritto: cosicché, per ogni provvedimento attinente alle cose sequestrate o confiscate, deve adottare ordinanza de plano ex art. 676, comma 1, cod. proc. pen., avverso la quale l’interessato può proporre opposizione ai sensi dell’art. 667, comma 4 cod. proc. pen.».
Secondo la Corte di cassazione, il principio esposto – la competenza del giudice dell’esecuzione sull’opposizione – deve essere applicato sia con riferimento alla prima istanza, che aveva ad oggetto accertamenti tecnici su campioni biologici, reperti e corpi di reato raccolti nel procedimento penale, sia in relazione alla terza istanza – relativa ai corpi di reato non distrutti – da considerarsi integrativa della prima; sia in ordine alla seconda istanza rispetto alla quale l’art. 391-septies cod. proc. pen., concernente l’accesso ai luoghi privati in mancanza del consenso di chi ne ha la disponibilità. Al riguardo, in base ai principi stabiliti dalle norme generali in materia di provvedimenti del Giudice (artt. 125 e 127 cod. proc. pen.), il decreto dovrebbe essere adottato senza particolari formalità (art. 125, comma 6 cod. proc. pen.), mentre la celebrazione di udienza in camera di consiglio sfocia nell’emissione di un’ordinanza (art. 127 cod. proc. pen.). Il coordinamento tra tali norme e l’art. 391 septies cit., quindi, induce a ritenere applicabile, anche nel caso di specie, la procedura di cui all’art. 667, comma 4 cod. proc. pen. che, da una parte, corrisponde alla tipologia del provvedimento adottato (decreto motivato), dall’altra permette una revisione della decisione da parte del giudice sulla base delle argomentazioni dell’opponente e, se del caso, di accertamenti che si rendessero necessari.
2.4.2. La Corte di Assise di Como provvedeva, quindi, a trattare unitariamente l’originaria opposizione e quella trasmessa dalla Corte di cassazione a seguito della esatta qualificazione del ricorso, definendole con il provvedimento del 3/02/2020, oggi impugnato.
In particolare, il giudice dell’esecuzione, con l’ordinanza del 3/02/2020, rigettava l’opposizione al provvedimento del 5/4/2019 adottato in funzione di giudice dell’esecuzione, rilevando, in sintesi, che:
– l’opposizione, secondo quanto deciso dalla stessa Corte di cassazione, con decisione non sindacabile dal giudice di merito, non doveva essere trattata in pubblica udienza;
– il provvedimento opposto non ha avuto ad oggetto la confisca dei reperti, disposta, invece, con provvedimento del 20/4/2015, ormai irrevocabile;
le indagini difensive mirano a riesaminare reperti e risultati delle intercettazioni che la difesa ha avuto a disposizione durante il procedimento di merito;
– il diritto del difensore dell’indagato di ascoltare le registrazioni di conversazioni o comunicazioni intercettate non comporta il diritto di accedere al server della Procura nella cui memoria sono conservate le tracce audio originali;
– la ricerca del motivo che avrebbe indotto una vittima ad accusare uno dei ricorrenti, comunque, non permetterebbe di superare la testimonianza della stessa vittima la cui credibilità è stata accertata con sentenza passata in giudicato.
3. Il primo motivo di ricorso è infondato.
3.1. È noto che la Corte costituzionale ha affermato che sono costituzionalmente illegittimi, per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in riferimento all’art. 6, paragrafo 1, della CEDU, così come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, gli artt. 666, comma 3, 667, comma 4, e 676 cod. proc. pen., nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento di opposizione contro l’ordinanza in materia di applicazione della confisca si svolga, davanti al giudice dell’esecuzione, nelle forme dell’udienza pubblica (Corte cost. n. 109 del 2015). Secondo la Consulta, la pubblicità del giudizio – specie di quello penale – rappresenta, infatti, un principio connaturato a un ordinamento democratico, la cui limitazione può avvenire solo in presenza di particolari ragioni giustificative, purché obiettive e razionali, e, nel caso del dibattimento penale, collegate ad esigenze di tutela di beni a rilevanza costituzionale. In particolare, nel procedimento di opposizione contro l’ordinanza in materia di applicazione della confisca, non sono ravvisabili ragioni atte a giustificare una deroga generalizzata e assoluta al principio di pubblicità delle udienze, atteso che il procedimento medesimo è finalizzato all’applicazione di una misura distinta ed ulteriore rispetto a quelle adottate in sede cognitiva: misura che incide su un diritto, ossia quello di proprietà, munito di garanzia convenzionale ai sensi dell’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU.
3.2. Deve rilevarsi, però, che il procedimento di esecuzione non ha a oggetto la statuizione della confisca dei reperti, oggetto invece del provvedimento della Corte di Assise di Como del 20/04/2015 e rispetto al quale i ricorrenti hanno chiesto solo il differimento dell’esecuzione, ma piuttosto l’autorizzazione a procedere, in forza dell’art. 391-decies cod. proc. pen., ad accertamenti tecnici non ripetibili da eseguirsi su campioni biologici, reperti e corpi di reato raccolti nel procedimento penale al fine di isolare profili genetici asseritamente non rilevati durante le indagini e l’accesso presso la sede della società SIO S.p.a. al fine di consentire l’individuazione dei server ove risiederebbero files originali delle intercettazioni ambientali, sicché la questione è estranea all’ambito applicativo della sentenza della Corte costituzionale n. 109 del 2015.
3.3. Neppure è ipotizzabile, come sembra adombrare la difesa, che la confisca non abbia colpito – o non possa avere colpito – i reperti e i beni, anche di terzi, che sarebbero stati rinvenuti dopo la distruzione degli altri corpi di reato.
Ebbene, in disparte la decisiva considerazione che il ricorso non deduce che la confisca abbia avuto un oggetto più limitato rispetto a tutti i beni in sequestro, sicché deve dedursi che li abbraccia tutti ancorché non li abbia specificamente indicati, è inammissibile e comunque manifestamente infondata la doglianza concernente l’illegittimità della confisca dei beni in sequestro appartenenti a terzi, poiché, anzitutto, non spetta al condannato reclamare la proprietà di beni che egli stesso attribuisce ad altri, e perché, in definitiva, si tratta di beni sottoposti a sequestro in quanto corpo di reato rinvenuto sulla scena del crimine (perciò sottoposti a sequestro), a nulla rilevando l’originaria appartenenza di essi a terzi là dove, come nel caso di specie, non siano stati reclamati dal legittimo proprietario e di fatto siano usciti dalla sfera dell’eventuale terzo possessore, in quanto rinvenuti abbandonati sul teatro dei fatti fin dal 2007.
Del resto, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito, in tema di legittimazione del solo terzo a proporre l’incidente di esecuzione per la restituzione del bene confiscato di cui vanti la proprietà, che «in sede di incidente di esecuzione, soltanto il terzo e non il condannato può rivendicare la legittima appartenenza del bene sottoposto a confisca» (Sez. 6, n. 29124 del 02/07/2012, Carlon, Rv. 253180).
3.4. Da quanto sopra esposto si desume, conclusivamente, la correttezza
della decisione assunta dal giudice dell’esecuzione che ha rilevato la definitività della confisca disposta dal giudice dell’esecuzione in data 20/4/2015, allorquando venne attivato il relativo procedimento esecutivo sulla base della segnalazione dell’ufficio corpi di reato del Tribunale di Como, ove i beni erano mantenuti in sequestro e custoditi.
È necessario evidenziare, perché il ricorso è volutamente oscuro sul punto, che il provvedimento di confisca adottato dal giudice dell’esecuzione in data 20/4/2015 dava atto dell’iniziativa del Pubblico ministero, pur impropriamente qualificata quale «parere favorevole», trattandosi piuttosto della richiesta di confisca avanzata in sede esecutiva dalla parte, cui la legge affida l’iniziativa in materia, venuta a conoscenza dell’esistenza dei corpi di reato a seguito della dovuta informazione proveniente dall’ufficio corpi di reato.
Deve, inoltre, essere sottolineato che anche la difesa, la quale contestualmente richiedeva l’accesso ai corpi di reato per compiere accertamenti, era perfettamente a conoscenza dell’iniziativa e del provvedimento poi assunto dal giudice dell’esecuzione, sicché detto provvedimento ablativo — assunto de plano in sede di esecuzione ex art. 676, comma 1, cod. proc. pen. a seguito di istanza di parte — è divenuto definitivo non essendo stato impugnato con lo specifico rimedio dell’opposizione ex art. 667, comma 4, cod. proc. pen.
Soltanto nell’ambito del giudizio di opposizione, che avrebbe dovuto essere intentato dagli odierni ricorrenti avverso il provvedimento di confisca assunto de
plano dal giudice dell’esecuzione a seguito dell’iniziativa del Pubblico ministero, poteva semmai chiedersi l’instaurazione dell’udienza pubblica anziché di quella camerale partecipata ex art. 127 cod. proc. pen. — che costituisce la regola per tali procedimenti -, con la conseguenza che, nell’attuale situazione processuale, in cui la parte richiede la revoca della disposta confisca, non è necessario procedere alla trattazione in udienza pubblica.
3.5. D’altra parte, la doglianza è infondata perché la Corte costituzionale, nella sentenza dapprima citata, ha affermato che l’art. 6 CEDU prevede eccezioni che permettono alle autorità giudiziarie di derogare al principio di pubblicità dell’udienza.
La Corte EDU, al riguardo, ha ritenuto che alcune situazioni eccezionali, attinenti alla natura delle questioni da trattare: – quale, ad esempio, il carattere «altamente tecnico» del contenzioso – possano giustificare che si faccia a meno di un’udienza pubblica, sempre che l’udienza a porte chiuse, per tutta o parte della durata, sia «strettamente imposta dalle circostanze della causa».
Ad avviso del Collegio l’istanza proposta rientra comunque nel novero delle questioni strettamente tecniche, trattandosi di domande finalizzate allo svolgimento di indagini difensive finalizzate alla proposizione di una richiesta di revisione di una sentenza passata in giudicato, che giustificano la deroga al principio di pubblicità delle udienze, fermo restando il rispetto del contraddittorio assicurato dall’udienza camerale cui hanno partecipato i difensori e il Pubblico ministero, svolgendo le proprie argomentazioni e conclusioni.
Si tratta, in altri termini, di istanze rispetto alle quali il controllo del pubblico
non costituisce una condizione necessaria alla garanzia del rispetto dei diritti dell’interessato.
4. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
È noto che, decorsi i termini per l’impugnazione, l’ordinanza del giudice dell’esecuzione acquisisce una sorta di stabilità rebus sic stantibus, cioè finché non siano prospettati nuovi dati di fatto o diverse questioni giuridiche.
A tal fine, si considerano nuovi non soltanto gli elementi sopravvenuti, ma anche quelli preesistenti dei quali non si sia tenuto conto ai fini della decisione anteriore (Sez. 1, n. 36005 del 14/6/2011, Branda, Rv. 250785; Sez. 1, n. 29983 del 31/5/2013, PG in proced. Bellin, Rv. 256406).
Rimarcando che una nuova pronuncia sulla medesima questione è possibile solo prospettando nuovi fatti o nuove questioni giuridiche, la giurisprudenza richiama il concetto di preclusione processuale (Sez. 1, n. 29983 del 31/5/2013, PG in proced. Bellin, Rv. 256406) e il principio del ne bis in idem che «permea l’intero ordinamento giuridico e fonda il preciso divieto di reiterazione dei procedimenti e delle decisioni sull’identica regiucanda, in sintonia con le esigenze di razionalità e di funzionalità connaturate al sistema» (Così Sez. 1, n. 12823 del 3/03/2011, De Martino, Rv. 12823).
La matrice del divieto del ne bis in idem è stata identificata nell’art. 666, comma 2, cod. proc. pen. che limita la riproposizione delle richieste al giudice dell’esecuzione (Sez. 1, n. 256793 del 23/05/2013, Serino, Rv. 256793).
4.1. Nella specie, appare decisiva la considerazione che la difesa non ha mai
formalmente chiesto al giudice dell’esecuzione la revoca della confisca dei reperti disposta in data 20/4/2015, né ha prospettato nuove questioni di fatto e di diritto la cui sussistenza sarebbe stata necessaria ai fini dell’ammissibilità di tale domanda, giungendo a denunciare, soltanto con il ricorso per cassazione, la presunta nullità dell’ordine di confisca del 2015 perché adottato d’ufficio in violazione dell’art. 178, comma primo, lett. b), cod. proc. pen.
Orbene, in disparte la questione dell’attivazione di ufficio — che è manifestamente infondata poiché il giudice dell’esecuzione, compulsato dal Pubblico ministero che richiedeva la confisca e dalla difesa che chiedeva l’accesso ai corpi di reato, ordinava la confisca e distruzione di tutto il materiale in sequestro, emanando un provvedimento comunicato alle parti e da queste non impugnato —, la difesa si è limitata a proporre istanze volte allo svolgimento di indagini difensive finalizzate alla proposizione di una richiesta di revisione di una sentenza passata in giudicato, senza mai porre in discussione la disposta confisca dei corpi di reato.
Queste indagini, peraltro, sono compatibili con la già disposta confisca dei reperti, tanto che la stessa Corte di Assise, su richiesta della difesa, ha più volte differito il provvedimento di distruzione di questi reperiti, logicamente e giuridicamente diverso da quello di confisca.
5. Il terzo motivo di ricorso è infondato.
È appena il caso di richiamare la stessa decisione della Corte di Cassazione emessa in questo procedimento che, con ordinanza Sez. 1, n. 48475 del
12/09/2019, Romano, Rv. 278497, ha ritenuto corretta la procedura de plano adottata, affermando il principio così massimato: «Avverso i provvedimenti di rigetto de plano delle istanze avanzate al giudice dell’esecuzione finalizzate all’espletamento di indagini difensive, il ricorso per cassazione è ammesso soltanto in caso di abnormità del provvedimento, mentre, nei casi ordinari, deve essere proposta opposizione davanti allo stesso giudice che li ha emessi».
5.1. Risulta, del resto, generica la doglianza, sviluppata nel ricorso per cassazione, secondo la quale non sarebbe stata disposta la confisca di taluni reperti, perché il ricorso omette di criticare specificamente il provvedimento impugnato il quale da’, invece, atto che in data 20/4/2015 è stata ordinata la confisca e distruzione dei corpi di reato posti in giudiziale sequestro nel corso delle indagini.
6. Anche il quarto motivo di ricorso è infondato.
6.1. La giurisprudenza di legittimità è orientata ad affermare che «in tema di indagini difensive finalizzate alla ricerca e all’individuazione di elementi di prova per l’eventuale promovimento del giudizio di revisione, è legittima l’ordinanza del giudice dell’esecuzione di rigetto dell’istanza del condannato nel caso in cui essa sia meramente esplorativa o mirata ad accertamenti che appaiono, all’evidenza, superflui o inidonei a determinare modificazioni sostanziali del quadro probatorio» (Sez. 1, n. 44591 del 03/05/2018, C., Rv. 273979).
La sentenza testé richiamata ha, tra l’altro, chiarito l’errata massimazione della sentenza Sez. 1, n. 16798 del 08/04/2008, Piemonte, Rv. 239581, che sembrerebbe affermare l’opposto principio («il giudice dell’esecuzione, competente a decidere sull’istanza con la quale il condannato, a mezzo del proprio difensore, chieda l’autorizzazione al prelievo di campioni da reperti tuttora in giudiziale sequestro, onde utilizzarli per indagini difensive in vista di una eventuale richiesta di revisione, non può negare la suddetta autorizzazione sol perché tale richiesta sarebbe, a suo avviso, destinata ad essere dichiarata inammissibile»), mentre la motivazione di essa chiarisce la conformità con il suddetto principio di diritto.
Si è, del resto, precisato, che spetta alla parte dedurre la decisività dell’atto d’indagine difensiva richiesto e l’utilità che si mira a conseguire attraverso l’esercizio del diritto, perché l’attività investigativa preventiva richiesta determina, per il necessario rispetto del principio del contraddittorio, il coinvolgimento del Pubblico ministero e della struttura giudiziaria nel suo complesso — con i correlati oneri economici per lo Stato —, sicché non è consentito ritenere che essa si possa svolgere senza nessun controllo e che tale potere sia esercitabile ad libitum lasciando la parte libera in ogni momento di instare per il compimento delle indagini che stimi utili.
6.2. Non costituisce, del resto, espressione di un orientamento contrastante quello che, secondo i ricorrenti, sarebbe affermato nella motivazione della sentenza Sez. 5, n. 44181 del 2018.
In realtà, la sentenza citata, dopo avere affermato che «la possibilità di svolgere investigazioni per ricercare e individuare elementi di prova (art. 327- bis, comma 1, cod. proc. pen.), anche al fine di promuovere il giudizio di revisione (art. 327 – bis, comma 3, cod. proc. pen.), implica all’evidenza che le attività possano avere carattere esplorativo e non debbano essere circoscritte ai soli casi nei quali gli elementi – la cui stessa esistenza non è nota nel momento in cui si agisce – abbiano con sicurezza o ragionevole certezza l’idoneità a fondare un giudizio di revisione», precisa che «tuttavia, siffatta libertà di ricerca esprime una proiezione del diritto di difesa individuale e interseca l’intervento dell’autorità giudiziaria solo nei casi nei quali il legislatore lo ritenga necessario».
Ciò rende palese come la pronuncia in discorso, lungi dal discostarsi dal ridetto prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità, abbia inteso confermarne la valenza sottolineando che il diritto di svolgere le indagini difensive può essere esercitato soltanto nei casi nei quali il legislatore lo prevede.
È, quindi, manifestamente infondata la richiesta di rimessione alle Sezioni unite, non sussistendo il paventato contrasto.
7. Ciò premesso, in presenza di una corretta applicazione della legge fatta dal giudice dell’esecuzione, non resta che esaminare la motivazione sottesa al provvedimento di rigetto dell’istanza difensiva.
Con motivazione ragionevole ed equilibrata, nel provvedimento impugnato la Corte di Assise ha spiegato:
– che le indagini difensive miravano a riesaminare i reperti e i risultati delle intercettazioni che la difesa aveva avuto a disposizione durante tutto il procedimento di merito, in disparte la considerazione che il successivo rinvenimento – dopo la distruzione di larga parte del materiale in sequestro – di un’ulteriore porzione dei reperti non implica affatto che non fosse stato possibile, come neppure la difesa deduce, esaminarli in precedenza. A ciò deve aggiungersi che, del resto, la presenza di elementi utili è soltanto ipotizzata, tanto è vero che la richiesta della difesa non poggia su alcun elemento di fatto o logico, ma si limita a rappresentare il rinvenimento di altri reperti, rispetto a quelli che già erano stati distrutti;
– che, secondo l’indirizzo giurisprudenziale consolidato, il diritto del difensore dell’indagato di ascoltare le registrazioni di conversazioni o comunicazioni intercettate non comporta il «diritto di accedere al server della Procura nella cui memoria sono conservate le tracce audio originali, in quanto tale accesso non è previsto dall’art. 268, comma 6, cod. proc. pen. e l’ascolto delle tracce originali può essere garantito attraverso opportuni sistemi tecnici, quale la duplicazione, eseguibile anche in remoto dalla polizia giudiziaria, dei file estratti dai supporti informatici su cui vengono riprodotte tali tracce» (cfr. Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, dep. 2019, Regione Emilia-Romagna in procedimento Battaglia, Rv. 275100). A ciò deve aggiungersi, valorizzando quanto già in precedenza esposto circa le corrette valutazioni del giudice dell’esecuzione, che la richiesta è meramente esplorativa poiché assume l’esistenza di registrazioni delle quali, tuttavia, non vi è traccia perché non sono indicate nei relativi brogliacci. Del resto, la natura esplorativa della richiesta emerge dallo stesso tenore dell’istanza che si limita a ipotizzare che possano emergere conversazioni utili a smentire la credibilità del teste escusso al dibattimento;
– che la ricerca del motivo che avrebbe indotto una delle vittime ad accusare uno dei ricorrenti non varrebbe a superare la testimonianza della stessa vittima, la cui credibilità è stata accertata con sentenza passata in giudicato, in disparte la decisiva considerazione che l’esistenza di tali conversazioni è solo ipotizzata sicché la richiesta ha carattere meramente esplorativo, mentre la responsabilità degli imputati è stata affermata anche in forza della confessione dai medesimi resa (cfr. sentenza Sez. 1, n. 33070 del 3/05/2011).
8. Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 17 novembre 2020


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