Ieri ho rivisto su Rai Movie “La giusta distanza” (2007) di Carlo Mazzacurati, un regista che amo molto, e che purtroppo ci ha lasciati troppo presto. Di Mazzacurati ho sempre apprezzato le atmosfere provinciali e l’ambientazione delle sue storie nei paesi del Nordest – come dimenticare la crepuscolare malinconia de “Il toro”? Mentre riguardavo il film a tredici anni dall’uscita nei cinema, riflettevo sul fatto che Mazzacurati sapeva raccontare come pochi le nebbie del Nord. Nel 2009 Einaudi pubblicò nei Millenni una bellissima antologia curata da Umberto Eco e Remo Ceserani intitolata “Nebbia”; ne rimasi così folgorato che per molti mesi, sia parlando in pubblico che scrivendo sui giornali, non feci altro che citarlo, ai limiti dell’ossessione. L’ho sempre amata, la nebbia. A un certo punto mi sono ricordato che nel 2004, sulla rivista “Zibaldoni e altre meraviglia”, scrissi un breve “Elogio della nebbia” nel quale parlavo di “Quaderno a cancelli” di Carlo Levi e, a proposito di me, di “poetica della nebbia” – di una persuasa e matura accettazione del non capire, del non vedere. Quando si pensa al Sud, si pensa sempre alla luce; e invece se penso alla mia Basilicata d’inverno mi viene sempre incontro la nebbia, una nebbia scura, densa – e tuttavia calorosa, avvolgente. Chiudo gli occhi e la rivedo – all’alba, o a notte fonda, mentre guido negli anni: ancora adolescente, e poi via via sempre più adulto – imboccando la Sinnica a Lauria Nord, oppure intorno alla centrale Enel della Valle del Mercure; ma la rivedo anche alla diga di San Giuliano, oppure a Potenza, sulla Basentana, quasi gialla per il riverbero dei lampioni e delle pompe di benzina dell’Eni. La nebbia rende più umile il nostro sguardo, e c’impedisce di illuderci, di credere davvero di possedere il mondo non appena si abbraccia con gli occhi un paesaggio terso o un orizzonte più largo.