Se i morti parlano e dall’oltretomba si mettono finanche a intestare i terreni ad altri, allora il tranello sui Fondi Ue è dietro l’angolo. Ancora una volta, in Basilicata, la Guardia di Finanza ne ha scoperto un altro e il buco erariale ai danni della Comunità europea è stato confermato anche in Appello: 36mila e 872euro di finanziamenti comunitari indebitamente percepiti. Questa la cifra che Antonello Verdone aveva incassato relativamente agli anni 2011, 2012 e 2013 per accesso al Fondo europeo agricolo di Garanzia tramite l’Ente statale italiano, Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea). In Appello confermata la sentenza della Corte dei Conti di Basilicata così come emessa l’anno scorso.
Il finanziamento Ue era relativo alla coltivazione di alcuni terreni, siti in agro di Stigliano, dichiarati da Verdone, «attraverso autocertificazione», come posseduti e personalmente condotti a titolo di “comodato verbale gratuito”. La circostanza, però, risultò totalmente smentita dalle indagini della Guardia di Finanza. Non solo i proprietari indicati nella dichiarazione non «corrispondevano a quelli indicati in catasto, dove i terreni risultano di proprietà altrui o in comproprietà con altri soggetti», ma soprattutto risultavano «deceduti in data anteriore a quella di decorrenza della conduzione, 1° gennaio 2011, attestata dal produttore». Nello specifico, i decessi risalgono al 2007 e al 2008. Le irregolarità delle dichiarazioni, quindi, non riguardavano tanto, o solo, la sostenuta conduzione dei terreni in virtù di contratti verbali, ma la loro «fittizietà» suffragata dagli atti anagrafici e catastali acquisiti dal Nucleo di Polizia Tributaria della GdF. Per i giudici contabili, di conseguenza, ineccepibile la responsabilità di Verdone per condotta «dolosamente orientata» alla indebita percezione del contributo comunitario. Verdone, da parte sua, ha rilevato come già l’Agea avesse a lui chiesto, in autotutela, la restituzione di oltre 6mila euro. In Appello, tuttavia, è stata ritenuta nuovamente infondata la doglianza poichè l’attività di recupero da parte dell’amministrazione «non preclude l’esercizio dell’azione contabile».
L’una non esclude l’altra. Secondo assalto della difesa: l’intervenuta prescrizione, per il difetto di prova riguardante l’occultamento doloso del danno. Anche questo motivo del ricorso, è stato giudicato infondato in quanto la riscontrata non veridicità delle domande relative alle annualità 2011, 2012, 2013, «implica logicamente», oltre all’indebita percezione dei finanziamenti pubblici, «anche l’occultamento del pregiudizio economico sopportato dell’Ente pubblico». Per quanto riguarda la prescrizione, invece, l’esordio della stessa coincide con il momento della scoperta delle falsificazioni e delle dichiarazione non veritiere, e nel caso in questione con la conclusione dell’indagine della GdF, avvenuta nell’aprile del 2016. Per questi e altri motivi confermata la condanna al pagamento della somma di 36mila e 872 euro, con l’aggiunta della rivalutazione monetaria, a favore dell’Agea.