La Caritas di Potenza ha diffuso i dati sul trimestre luglio-ottobre, e devo dire che la situazione è sconfortante per due motivi: primo, perché stanno aumentando vertiginosamente le famiglie che hanno bisogno di cibo per sopravvivere; secondo, perché a retrocedere nella fascia povera sono pezzi di classe media, principalmente liberi professionisti. Paradossalmente questo dato mi conforta, perché in una città – per quanto piccola – la povertà fa vergognare meno, e chiedere aiuto è più facile, in quanto si è più facilmente “anonimi”. Il vero problema invece è nei piccoli centri – dove pure la povertà è fortemente mitigata dal fatto che chi vi risiede ha spesso la casa di proprietà, un piccolo terreno dove coltivare qualcosa o un familiare con la pensione –, perché ammettere di avere bisogno, di non avere da mangiare in un piccolo paese dove tutti ti conoscono è molto complicato. Un assessore comunale di un piccolo comune lucano mi ha detto che nei mesi scorsi l’amministrazione di cui fa parte ha messo a disposizione molti buoni spesa per le famiglie in difficoltà, ma praticamente nessuno ne ha fatto richiesta. Dico sempre che ci vuole più umiltà a chiedere la carità che non a farla, perché chiedere aiuto rende nudi, scoperti, totalmente esposti allo sguardo del prossimo. Infatti quando in televisione vedo i pranzi e le cene che durante le feste religiose si organizzano per i poveri – che brutta cosa che vengano ripresi dalle telecamere –, io penso sempre che la vera esperienza spirituale non è servire i poveri, ma sedersi insieme a loro, essere anonimi come loro, osservati e compatiti come loro da chi sta bene e non è costretto a umiliarsi. Chi fa del bene lo faccia in silenzio e nella discrezione; ma chi ha difficoltà non si vergogni, perché la povertà non è mai una vergogna, né una colpa.