Prof. Tondi cosa è successo realmente il 23 novembre 1980 alle ore 19:34?
Le istituzioni, sia nazionali che locali, non hanno idea di cosa può succedere se si verificasse un evento di forte magnitudo in qualsiasi parte d’Italia
A distanza di 40 anni dal sisma devastante che ha interessato la Campania e Basilicata abbiamo chiesto in esclusiva per CRONACHE LUCANE il parere al Professore Emanuele Tondi *
In prima ed a pagina 13 edizione del 23 novembre 2020
Prof. Tondi cosa è successo realmente il 23 novembre 1980 alle ore 19:34?
Il 23 novembre del 1980 alle ore 19:34 si è verificato uno dei più forti terremoti mai avvenuti in Italia.
Un terremoto di magnitudo 6,9 che ha distrutto una ampia zona dell’Appennino Campano-Lucano, un’area estesa tra le province di Avellino, Salerno e Potenza.
L’evento sismico è stato generato da una grande zona di frattura della crosta terrestre (faglia o sistema di faglie) che si estende per circa 80 km da San Gregorio Magno, in provincia di Salerno, a Caposele, in provincia di Avellino.
Questo sistema di faglie è orientato in direzione nord-ovest/sud est e immerge verso nord-est, separando due blocchi della crosta terrestre di circa 10-12 km di spessore che, quando viene superata la resistenza di attrito sui piani di faglia, scorrono rapidamente uno su l’altro liberando energia sotto forma di onde sismiche.
Queste si propagano in tutte le direzioni determinando lo scuotimento del terreno che è, appunto, il terremoto.
Era prevedibile con l’informazione scientifica del 1980?
Dobbiamo specificare cosa si intende per “prevedibile”
Se intendiamo la previsione che in quella data o periodo si sarebbe verificato un terremoto di magnitudo 6,9 in Irpinia la risposta è no, questo tipo di previsione non è possibile neanche oggi.
Mentre se intendiamo la previsione che in quell’area poteva verificarsi, prima o poi, un terremoto di forte magnitudo allora la risposta è si.
E questo era possibile principalmente sulla base della conoscenza dei terremoti avvenuti in passato, uno su tutti il forte terremoto dell’8 settembre 1694 di magnitudo stimata 6,7 che colpì e distrusse più o meno la stessa area appenninica.
L’Italia ha da sempre una grande tradizione per lo studio dei terremoti storici e questo evento sismico era ben noto in letteratura già a fine ‘800 e inizi del ‘900, si veda il Baratta del 1901.
Una ricostruzione degli effetti dell’evento sismico del 1694 è disponibile a questo link:
Diversa era, invece, la situazione per quanto riguarda le conoscenze sulle faglie attive e sismognetiche in Italia.
Un forte impulso a queste conoscenze fu dato da un importante progetto scientifico nazionale attivo all’epoca, il “Progetto Finalizzato Geodinamica” del CNR presieduto da Franco Barberi e a cui partecipavano numerosi ricercatori di Enti e Università di tutta Italia.
Qui una interessante testimonianza di Massimiliano Stucchi sugli sviluppi, anche politici, seguiti al terremoto irpino:
Dopo 40 anni, cosa è cambiato circa la prevenzione, per cercare di salvare vite umane?
Gli strumenti che, da sempre, abbiamo per difenderci dai terremoti sono due: 1. la valutazione della pericolosità sismica, cioè conoscere la sollecitazione sismica che si può avere in una specifica zona e in un determinato periodo di tempo e 2.
Le norme tecniche da utilizzare affinché queste sollecitazioni non facciano danni alle opere antropiche.
Le nuove Norme Tecniche per le Costruzioni aggiornate al 2018 (NTC, 2018) sono sicuramente all’avanguardia da un punto di vista ingegneristico.
Si basano tuttavia su una valutazione della pericolosità simica (MPS04) pubblicata quasi 20 anni fa.
All’epoca sicuramente conteneva le più avanzate conoscenze e informazioni sul fenomeno terremoto in Italia ma è sicuramente auspicabile una revisione e un aggiornamento.
È servita la terapia d’urto, nell’uso quotidiano delle tecniche e norme antisismiche, nella realizzazione delle strutture ed infrastrutture pubbliche e private?
Per rendere meno vulnerabili le nuove opere sicuramente sì, almeno per quanto riguarda la salvaguardia della vita umana.
Diverso è il discorso sulle opere preesistenti, centri storici ma anche tutto il costruito pre-1984, dove poco o nulla è stato fatto e che rappresentano un enorme rischio sismico per l’Italia.
Cosa c’è ancora da fare oltre la microzonazione sismica?
Prima di andare oltre direi che è necessario completare la microzonazione simica in tutto il territorio nazionale.
Poi, va usata!
La microzonazione sismica è uno strumento utile per la pianificazione territoriale e la sicurezza di ciò che verrà fatto in futuro.
Per il costruito, deve essere utilizzata per definire gli scenari di rischio e quindi per pianificare sia l’emergenza in caso di evento ma soprattutto per progettare azioni mirate alla riduzione del rischio sismico.
Questo non viene fatto e, invece, occorrerebbe farlo e in fretta.
Le istituzioni, sia nazionali che locali, non hanno idea di cosa può succedere se si verificasse un evento di forte magnitudo in qualsiasi parte d’Italia.
Quanti edifici crollerebbero e/o danneggerebbero, quante persone morirebbero e quante sarebbero sfollate, stessa cosa per le infrastrutture, come ponti, gallerie etc.
Tutte informazioni che si potrebbero avere con le conoscenze attuali e che dovrebbero rappresentare una priorità nazionale.
Serve informazione, prevenzione e conoscenza del rischio oltre la campagna IO NON RISCHIO cosa serve realmente?
La campagna IO NON RISCHIO fa sicuramente la sua parte per informare e far crescere la cultura della prevenzione.
Ma non basta, i cittadini per lo più rimangono ignari della pericolosità sismica e del relativo rischio che corrono.
Altrimenti non abiterebbero o frequenterebbero edifici che possono ucciderli da un momento all’altro.
Oltre ad una azione di riduzione del rischio sismico sistemica su tutto il territorio nazionale, penso al sisma bonus, per esempio, serve un piano nazionale che utilizzi le più avanzate tecniche per la valutazione della pericolosità sismica, che indichi le aree in cui sia più probabile un forte evento sismico in tempi brevi.
In queste zone, individuate come prioritarie, andrebbe poi sviluppato un vero e proprio processo di “ricostruzione”, ma prima che si verifichi il terremoto, quando le case sono ancora in piedi.
Credo che questo sia l’unico modo per non rivivere tragedie come quella del 1980 in Irpinia o le successive, fino all’ultima in Italia centrale.
* Prof. Emanuele Tondi
Sezione di Geologia, Scuola di Scienze e Tecnologie ~ Università di Camerino, MC ~ Direttore Sede INGV di Unicam
http://istituto.ingv.it/it/sede-unicam.html
POST sisma 23novembre1980 ore19e34 40ºanniversario un mio INTERVENTO di PUNTELLAMENTO Chiesa di San ROCCO in Potenza eseguito con i mezzi e le maestranze Impresa PADULA geom. Giuseppe
IO NON DIMENTICO #ionondimentico
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