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Omelia, Angelus e benedizione con Papa Francesco, domenica 22 novembre 2020

Cari giovani cari fratelli e sorelle, non rinunciamo ai grandi sogni, non accontentiamoci del dovuto

 

XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)
Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo


Conosciamo questo testo che, ai giorni nostri, è uno dei più citati e discussi. Per alcuni esso riassume quasi tutto il Vangelo. Questa tendenza non dipende da una moda o da una certa ideologia, ma corrisponde a qualcosa di assai più profondo che già esiste in noi. Quando siamo colpiti e sorpresi da un’idea, da un avvenimento o da una persona, sembriamo dimenticare tutto il resto per non vedere più che ciò che ci ha colpiti. Cerchiamo una chiave in grado di aprire tutte le porte, una risposta semplice a domande difficili.
Se leggiamo questo passo del Vangelo con questo spirito, il solo criterio di giudizio, e di conseguenza di salvezza o di condanna, è la nostra risposta ai bisogni più concreti del nostro prossimo. Poco importa ciò che si crede e come si crede, poco importa la nostra appartenenza o meno a una comunità istituzionale, poco importano le intenzioni e la coscienza, ciò che conta è agire ed essere dalla parte dei poveri e dei marginali.
Eppure, questa pagina del Vangelo di san Matteo è inscindibile dal resto del suo Vangelo e del Vangelo intero. In Matteo troviamo molti “discorsi” che si riferiscono al giudizio finale. Colui che non si limita a fare la volontà di Dio attraverso le parole non sarà condannato (Mt 7,21-27). Colui che non perdona non sarà perdonato (Mt 6,12-15; 1-35). Il Signore riconoscerà davanti a suo Padre nei cieli colui che si è dichiarato per lui davanti agli uomini (Mt 10,31-33). La via della salvezza è la porta stretta (Mt 7,13). Per seguire Cristo bisogna portare la propria croce e rinnegare se stessi. Colui che vuole salvare la propria vita la perderà (Mt 16,24-26). San Marco ci dice anche: Colui che crederà e sarà battezzato, sarà salvato. Colui che non crederà sarà condannato (Mc 16,15-16). Queste parole ci avvertono di non escludere dal resoconto finale la nostra risposta ai doni soprannaturali e alla rivelazione. Guarire le piaghe del mondo, eliminare le miserie e le ingiustizie, tutto questo fa parte integrante della nostra vita cristiana, ma noi non rendiamo un servizio all’umanità che nella misura in cui, seguendo il Cristo, liberiamo noi stessi e liberiamo gli altri dalla schiavitù del peccato. Allora solamente il suo regno comincerà a diventare realtà.

Gesù Cristo Re dell’Universo
Anno A

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. […]».

Una scena potente, drammatica, quel “giudizio universale” che in realtà è lo svelamento della verità ultima del vivere, rivelazione di ciò che rimane quando non rimane più niente: l’amore. Il Vangelo risponde alla più seria delle domande: che cosa hai fatto di tuo fratello? Lo fa elencando sei opere, ma poi sconfina: ciò che avete fatto a uno dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me! Straordinario: Gesù stabilisce un legame così stretto tra sé e gli uomini, da arrivare a identificarsi con loro: l’avete fatto a me! Il povero è come Dio, corpo e carne di Dio. Il cielo dove il Padre abita sono i suoi figli. Evidenzio tre parole del brano: 1). Dio è colui che tende la mano, perché gli manca qualcosa. Rivelazione che rovescia ogni precedente idea sul divino. C’è da innamorarsi di questo Dio innamorato e bisognoso, mendicante di pane e di casa, che non cerca venerazione per sé, ma per i suoi amati. Li vuole tutti dissetati, saziati, vestiti, guariti, liberati. E finché uno solo sarà sofferente, lo sarà anche lui. Davanti a questo Dio mi incanto, lo accolgo, entro nel suo mondo. 2). L’argomento del giudizio non è il male, ma il bene. Misura dell’uomo e di Dio, misura ultima della storia non è il negativo o l’ombra, ma il positivo e la luce. Le bilance di Dio non sono tarate sui peccati, ma sulla bontà; non pesano tutta la mia vita, ma solo la parte buona di essa. Parola di Vangelo: verità dell’uomo non sono le sue debolezze, ma la bellezza del cuore. Giudizio divinamente truccato, sulle cui bilance un po’ di buon grano pesa di più di tutta la zizzania del campo. 3). Alla sera della vita saremo giudicati solo sull’amore (San Giovanni della Croce), non su devozioni o riti religiosi, ma sul laico addossarci il dolore dell’uomo. Il Signore non guarderà a me, ma attorno a me, a quelli di cui mi son preso cura. «Se mi chiudo nel mio io, pur adorno di tutte le virtù, e non partecipo all’esistenza degli altri, se non sono sensibile e non mi impegno, posso anche essere privo di peccati ma vivo in una situazione di peccato» (G. Vannucci). La fede non si riduce però a compiere buone azioni, deve restare scandalosa: il povero come Dio! Un Dio innamorato che ripete su ogni figlio il canto esultante di Adamo: «Veramente tu sei carne della mia carne, respiro del mio respiro, corpo del mio corpo». Poi ci sono quelli mandati via. La loro colpa? Hanno scelto la lontananza: lontano da me, voi che siete stati lontani dai fratelli. Non hanno fatto del male ai poveri, non li hanno umiliati, semplicemente non hanno fatto nulla. Indifferenti, lontani, cuori assenti che non sanno né piangere né abbracciare, vivi e già morti (C. Péguy).
(Letture: Ezechiele 34,11-12.15-17; Salmo 22; 1 Corinzi 15,20-26.28; Matteo 25,31-46)

La verità ultima del vivere: l’amore
Padre Ermes Ronchi commenta il brano del Vangelo di domenica 22 Novembre 2020.

Una scena potente, drammatica, quel “giudizio universale” che in realtà è lo svelamento della verità ultima del vivere, rivelazione di ciò che rimane quando non rimane più niente: l’amore. Il Vangelo risponde alla più seria delle domande: che cosa hai fatto di tuo fratello?

Lo fa elencando sei opere, ma poi sconfina: ciò che avete fatto a uno dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me! Straordinario: Gesù stabilisce un legame così stretto tra sé e gli uomini, da arrivare a identificarsi con loro: l’avete fatto a me! Il povero è come Dio, corpo e carne di Dio. Il cielo dove il Padre abita sono i suoi figli.

Evidenzio tre parole del brano:

  1. Dio è colui che tende la mano, perché gli manca qualcosa. Rivelazione che rovescia ogni precedente idea sul divino. C’è da innamorarsi di questo Dio innamorato e bisognoso, mendicante di pane e di casa, che non cerca venerazione per sé, ma per i suoi amati. Li vuole tutti dissetati, saziati, vestiti, guariti, liberati. E finché uno solo sarà sofferente, lo sarà anche lui. Davanti a questo Dio mi incanto, lo accolgo, entro nel suo mondo.
  2. L’argomento del giudizio non è il male, ma il bene. Misura dell’uomo e di Dio, misura ultima della storia non è il negativo o l’ombra, ma il positivo e la luce. Le bilance di Dio non sono tarate sui peccati, ma sulla bontà; non pesano tutta la mia vita, ma solo la parte buona di essa. Parola di Vangelo: verità dell’uomo non sono le sue debolezze, ma la bellezza del cuore. Giudizio divinamente truccato, sulle cui bilance un po’ di buon grano pesa di più di tutta la zizzania del campo.
  3. Alla sera della vita saremo giudicati solo sull’amore (San Giovanni della Croce), non su devozioni o riti religiosi, ma sul laico addossarci il dolore dell’uomo. Il Signore non guarderà a me, ma attorno a me, a quelli di cui mi son preso cura.

[…]

Il Signore non vuole che restringiamo gli orizzonti, non ci vuole parcheggiati ai lati della vita ma in corsa verso traguardi alti con gioia e con audacia.

Non siamo fatti per sognare le vacanze o i fine settimana ma per realizzare i sogni di Dio, in questo mondo egli ci ha resi capace di sognare per abbracciare la bellezza della vita.

Le opere di misericordia sono le opere più belle della vita.

Le opere di misericordia vanno proprio al centro dei nostri sogni grandi, dei nostri grandi sogni, se i sogni di vera gloria, non della gloria del mondo che viene e va, ma della gloria di Dio, questa è la strada.

Leggi il brano del Vangelo di oggi, perché le opere di misericordia danno gloria a Dio, più di ogni altra cosa.

Le opere di misericordia danno gloria a Dio più di ogni altra cosa.

Sulle opere di misericordia in fine saremo giudicati

Angelus e benedizione con Papa Francesco, domenica 22 novembre 2020. dalle h.12.00

Angelus Domini

Angelus Dómini nuntiávit Mariæ.
Et concépit de Spíritu Sancto.
Ave Maria…

Ecce ancílla Dómini.
Fiat mihi secúndum verbum tuum.
Ave Maria…

Et Verbum caro factum est.
Et habitávit in nobis.
Ave Maria…

Ora pro nobis, sancta Dei génetrix.
Ut digni efficiámur promissiónibus Christi.

Orémus.
Grátiam tuam, quǽsumus, Dómine, méntibus nostris infunde; ut qui, Ángelo nuntiánte, Christi Fílii tui incarnatiónem cognóvimus, per passiónem eius et crucem, ad resurrectiónis glóriam perducámur. Per eúndem Christum Dóminum nostrum.

+SEGNO DELLA CROCE Amen.

Benedictio Apostolica seu Papalis

Dominus vobiscum.
Et cum spiritu tuo.

Sit nomen Domini benedictum.
Ex hoc nunc et usque in sæculum.

Adiutorium nostrum in nomine Domini.
Qui fecit caelum et terram.

(Benedizione)

Papa Francesco all’Angelus: “Gesù è presente nel prossimo e ci chiede di riconoscerlo in tutti i fratelli”

Oggi celebriamo la solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo, con la quale si chiude  l’anno  liturgico,  ha ricordato Papa Francesco all’inizio dell’Angelus di questa domenica – la  grande  parabola  in  cui  si  dispiega  il  mistero  di  Cristo.  Egli  è  l’Alfa  e  l’Omega, l’inizio e il compimento della storia; e la liturgia odierna si concentra sull’“omega”, cioè sul traguardo finale.

Le parole di Papa Francesco prima della recita dell’Angelus
Papa-Francesco-Angelus 17 novembre 2019
Papa Francesco Angelus
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Oggi celebriamo la solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo, con la quale si chiude  l’anno  liturgico,  la  grande  parabola  in  cui  si  dispiega  il  mistero  di  Cristo.  Egli  è  l’Alfa  e  l’Omega, l’inizio e il compimento della storia; e la liturgia odierna si concentra sull’“omega”, cioè sul traguardo finale. Il senso della storia lo si capisce tenendo davanti agli occhi il suo culmine: la fine è anche il fine. Ed è proprio questo che fa Matteo, nel Vangelo di questa domenica (25,31-46), ponendo  il  discorso  di  Gesù  sul  giudizio  universale  all’epilogo  della  sua  vita  terrena:
Lui,  che  gli  uomini stanno per condannare, è in realtà il supremo giudice.
Nella sua morte e risurrezione, Gesù si mostrerà il Signore della storia, il Re dell’universo, il Giudice di tutti. Ma il paradosso cristiano è che il Giudice non riveste una regalità temibile, ma è un pastore pieno di mitezza e di misericordia. Gesù,  infatti,  in  questa  parabola  del  giudizio  finale,  si  serve  dell’immagine  del  pastore,  richiamando  le  profezie  di  Ezechiele,  il  quale  aveva  parlato  dell’intervento  di  Dio  in  favore  del  popolo,  contro  i  cattivi  pastori  d’Israele  (cfr  34,1-10).
Questi  erano  stati  crudeli  e  sfruttatori,  preferendo pascere sé stessi piuttosto che il gregge; pertanto Dio stesso promette di prendersi cura personalmente del suo gregge, difendendolo dalle ingiustizie e dai soprusi. Questa promessa di Dio per il suo popolo si è realizzata pienamente in Gesù Cristo, il Buon Pastore, che dice di sé: «Io sono il buon pastore» (Gv 10,11.14).  Nella pagina evangelica di oggi, Gesù si identifica non solo col re-pastore, ma anche con le pecore perdute, cioè con i fratelli più piccoli e bisognosi. E indica così il criterio del giudizio: esso sarà preso in base all’amore concreto dato o negato a queste persone, perché Lui stesso, il giudice, è presente  in  ciascuna  di  esse.  Dice  Gesù:  «In  verità  io  vi  dico:  tutto  quello  che  avete  fatto  (o  non  avete  fatto)  a  uno  solo  di  questi  miei  fratelli  più  piccoli,  l’avete  (o  non  l’avete)  fatto  a  me»  (vv.  40.45). Saremo giudicati sull’amore. Non sul sentimento, no: sulle opere, sulla compassione che si fa vicinanza e aiuto premuroso.
Dunque, il Signore, alla fine del mondo, passerà in rassegna il suo gregge, e lo farà non solo dalla  parte  del  pastore,  ma  anche  dalla  parte  delle  pecore,  con  le  quali  Lui  si  è  identificato.  E  ci  chiederà: “Sei stato un po’ pastore come me?”.
Chiediamo alla Vergine Maria di insegnarci a regnare nel servire. La Madonna, assunta in Cielo,  ha  ricevuto  dal  suo  Figlio  la  corona  regale,  perché  lo  ha  seguito  fedelmente  nella  via  dell’Amore. Impariamo da lei a entrare fin da ora nel Regno di Dio, attraverso la porta del servizio umile e generoso.
saluti del Papa dopo l’Angelus della Festa di Cristo Re
Il Santo Padre, oggi, domenica 22 novembre, nel corso delle sue parole subito dopo la recita dell’antifona mariana ha sottolineato un suo pensiero speciale per le popolazioni della Campania e della Basilicata che 40 anni fa furono colpite da un grave e devastante terremoto.
Il Santo Padre ha voluto sottolineare anche la ricostruzione e le gravi mancanze e ritardi.
Francesco ha rinnovato la sua vicinanza alle famiglie e persone colpite dalla pandemia dal punto di vista socio-economico.

 

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